L’Armata Internazionale Islamica da trenta anni assume denominazioni diverse ma quasi sempre viene strumentalizzata nell’interesse dell’Impero del Caos.
Anche la sua recente e rapidissima espansione in Libia appare a occhi non abbacinati dalla propaganda come una resistibilissima ascesa. I guerrieri di Allah lanciano i loro blindati leggeri muniti di cannoncino o mitragliatrice in colonne che varcano deserti. Per i moderni caccia ed elicotteri guidati dai satelliti, folgorarli sarebbe un facilissimo tiro al bersaglio.
Questi terribili guerrieri che fanno perdere i sonni a noi tremebondi occidentali, non hanno né aviazione, né sistemi antiaerei, né artiglierie pesanti, né flotte. Tutt’al più potrebbero effettuare sul nostro territorio qualche attentato, di quelli che provocano un numero di vittime molto minore degli eccidi quotidiani per odio coniugale, per delinquenza comune, per risse da tasso alcolico, per demenza di ultras del calcio, per incidenti stradali da guida forsennata, per suicidi da “società del benessere”.
Il Califfato diventa però una cosa seria se lo consideriamo non dal punto di vista militare ma nella realtà di uno Stato, con la sua amministrazione, la sua economia, le sue leggi, il suo controllo del territorio, il suo esercizio della giustizia.
Il Califfato esercita la sua autorità su un vasto territorio fra Siria e Iraq e ora anche in zone ampie della Libia. Si calcola che i guerrieri siano dai 30 ai 50 mila in tutte quelle aree del vicino Oriente. Ora, non è pensabile che un numero in fondo così esiguo di militanti possa contemporaneamente combattere e amministrare uno Stato. Se il Califfato può reggere un apparato complesso, significa che conta su un importante consenso popolare.
Questo è il punto su cui troppo spesso si sorvola. La nostra propaganda fa credere che soltanto col terrore i guerrieri di Allah impongano la loro legge. Non può essere così. Poche migliaia di persone non ne tengono a freno milioni solo incutendo paura. Evidentemente portando ordine ed esercitando i rigori di una legge che a noi provoca un sentimento di orrore ma che altre culture vedono come la giusta severità di una regola voluta da Dio, ottengono consenso. Probabilmente attraggono e coinvolgono nella gestione della cosa pubblica anche strati della popolazione che godono dell’assistenza resa obbligatoria dalla legge divina e dalla proibizione delle pratiche usuraie. Non abbiamo informazioni precise a tal proposito, ma proprio gli indirizzi di governo del Califfato dovrebbero essere oggetto di attento studio.
Assistiamo a un fatto impressionante su cui non si riflette abbastanza: sembra ripetersi tale e quale quella straordinaria e rapidissima avanzata che 1.400 anni fa portò prima il Profeta e poi i suoi immediati successori (califfo significa proprio successore) a conquistare un grande impero. Il cristianesimo impiegò tre secoli per affermarsi ed ebbe bisogno del sostegno del potere politico, a partire da Costantino. L’Islam travolse ogni ostacolo in pochi anni. Fu una cavalcata di guerrieri feroci e fanatici, spietati soprattutto nella conquista dell’Iran, ma le popolazioni si convertirono facilmente perché i nuovi venuti le sollevavano dai pesi troppo gravosi delle tasse dell’Impero bizantino, stroncavano la speculazione dei prestiti a interesse, praticavano la zakà, obbligo coranico che impone la redistribuzione di parte del reddito a favore dei bisognosi.
Lo Stato Islamico di quei primi Califfi, i “ben guidati”, probabilmente è stato idealizzato, come sempre avviene quando si vagheggia un passato felice contrapposto alle miserie del presente. C’è dunque molto di mitico in quell’immagine di società ordinata, giusta, prospera, affratellata nella fede. Resta tuttavia il fatto che quel mito è rimasto impresso nelle coscienze dei musulmani, soprattutto in quelle degli arabi, attraverso i secoli. Per loro non è mito ma storia. Chi ha frequentato musulmani praticanti, sa quanto è forte quel richiamo al passato. I tempi dei primi Califfi sono la perfezione della legge divina realizzata. Il ritorno a quei tempi, dopo la caduta determinata dagli scismi e dallo smarrimento della Via, realizzerebbe finalmente e nuovamente il Regno della giustizia, della pace, della corretta distribuzione delle ricchezze.
Ebbene, l’analogia fra la cavalcata di quei guerrieri antichi e l’irruzione delle colonne dei blindati dei guerrieri moderni, probabilmente è còlta immediatamente dalle masse che di quel mito si sono alimentate, che lo hanno coltivato e tramandato nei secoli.
Se le cose stanno così, lo Stato Islamico diventa una cosa seria. Passeranno decenni prima che possa diventare una minaccia per l’Europa. A meno che la forza del mito non si trasmetta a una generazione di occidentali che, finalmente insofferenti della porcheria che siamo diventati, finalmente indifferenti alla propaganda liberalsocialdemocratica ma anche alla finta opposizione della sinistra delle quote rosa e dei matrimoni gay, e della destra identitaria che si nutre di nostalgie anacronistiche e di un neopaganesimo estetizzante, rispondano al richiamo di una fede che offre certezze e riscatto sociale.
Nel frattempo, non tocca a noi combattere il Califfato nelle sue terre. Abbiamo già fatto abbastanza guasti col nostro interventismo. Le forze che possono opporsi ai guerrieri sunniti traendo linfa dalla storia, dalle tradizioni, dalla cultura di quei luoghi, che non hanno bisogno del nostro paternalismo, ci sono. Sono gli sciiti, sostanzialmente estranei al mito dei primi Califfi, sono i curdi, sono quegli Stati laici e nazionalisti che noi abbiamo distrutto ma i cui residui continuano a battersi coraggiosamente. Sono anche Stati come l’Egitto, la Tunisia, l’Algeria, che sarebbero minacciati se la Libia finisse in mano al Califfato.
Egitto e Algeria sono ben armati, tocca a loro “mettere gli stivali sul terreno” e non a Renzi, Gentiloni e Pinotti. Siamo già lo zimbello delle genti, non aggiungiamo altro ridicolo alla nostra pessima fama.
Anche la sua recente e rapidissima espansione in Libia appare a occhi non abbacinati dalla propaganda come una resistibilissima ascesa. I guerrieri di Allah lanciano i loro blindati leggeri muniti di cannoncino o mitragliatrice in colonne che varcano deserti. Per i moderni caccia ed elicotteri guidati dai satelliti, folgorarli sarebbe un facilissimo tiro al bersaglio.
Questi terribili guerrieri che fanno perdere i sonni a noi tremebondi occidentali, non hanno né aviazione, né sistemi antiaerei, né artiglierie pesanti, né flotte. Tutt’al più potrebbero effettuare sul nostro territorio qualche attentato, di quelli che provocano un numero di vittime molto minore degli eccidi quotidiani per odio coniugale, per delinquenza comune, per risse da tasso alcolico, per demenza di ultras del calcio, per incidenti stradali da guida forsennata, per suicidi da “società del benessere”.
Il Califfato diventa però una cosa seria se lo consideriamo non dal punto di vista militare ma nella realtà di uno Stato, con la sua amministrazione, la sua economia, le sue leggi, il suo controllo del territorio, il suo esercizio della giustizia.
Il Califfato esercita la sua autorità su un vasto territorio fra Siria e Iraq e ora anche in zone ampie della Libia. Si calcola che i guerrieri siano dai 30 ai 50 mila in tutte quelle aree del vicino Oriente. Ora, non è pensabile che un numero in fondo così esiguo di militanti possa contemporaneamente combattere e amministrare uno Stato. Se il Califfato può reggere un apparato complesso, significa che conta su un importante consenso popolare.
Questo è il punto su cui troppo spesso si sorvola. La nostra propaganda fa credere che soltanto col terrore i guerrieri di Allah impongano la loro legge. Non può essere così. Poche migliaia di persone non ne tengono a freno milioni solo incutendo paura. Evidentemente portando ordine ed esercitando i rigori di una legge che a noi provoca un sentimento di orrore ma che altre culture vedono come la giusta severità di una regola voluta da Dio, ottengono consenso. Probabilmente attraggono e coinvolgono nella gestione della cosa pubblica anche strati della popolazione che godono dell’assistenza resa obbligatoria dalla legge divina e dalla proibizione delle pratiche usuraie. Non abbiamo informazioni precise a tal proposito, ma proprio gli indirizzi di governo del Califfato dovrebbero essere oggetto di attento studio.
Assistiamo a un fatto impressionante su cui non si riflette abbastanza: sembra ripetersi tale e quale quella straordinaria e rapidissima avanzata che 1.400 anni fa portò prima il Profeta e poi i suoi immediati successori (califfo significa proprio successore) a conquistare un grande impero. Il cristianesimo impiegò tre secoli per affermarsi ed ebbe bisogno del sostegno del potere politico, a partire da Costantino. L’Islam travolse ogni ostacolo in pochi anni. Fu una cavalcata di guerrieri feroci e fanatici, spietati soprattutto nella conquista dell’Iran, ma le popolazioni si convertirono facilmente perché i nuovi venuti le sollevavano dai pesi troppo gravosi delle tasse dell’Impero bizantino, stroncavano la speculazione dei prestiti a interesse, praticavano la zakà, obbligo coranico che impone la redistribuzione di parte del reddito a favore dei bisognosi.
Lo Stato Islamico di quei primi Califfi, i “ben guidati”, probabilmente è stato idealizzato, come sempre avviene quando si vagheggia un passato felice contrapposto alle miserie del presente. C’è dunque molto di mitico in quell’immagine di società ordinata, giusta, prospera, affratellata nella fede. Resta tuttavia il fatto che quel mito è rimasto impresso nelle coscienze dei musulmani, soprattutto in quelle degli arabi, attraverso i secoli. Per loro non è mito ma storia. Chi ha frequentato musulmani praticanti, sa quanto è forte quel richiamo al passato. I tempi dei primi Califfi sono la perfezione della legge divina realizzata. Il ritorno a quei tempi, dopo la caduta determinata dagli scismi e dallo smarrimento della Via, realizzerebbe finalmente e nuovamente il Regno della giustizia, della pace, della corretta distribuzione delle ricchezze.
Ebbene, l’analogia fra la cavalcata di quei guerrieri antichi e l’irruzione delle colonne dei blindati dei guerrieri moderni, probabilmente è còlta immediatamente dalle masse che di quel mito si sono alimentate, che lo hanno coltivato e tramandato nei secoli.
Se le cose stanno così, lo Stato Islamico diventa una cosa seria. Passeranno decenni prima che possa diventare una minaccia per l’Europa. A meno che la forza del mito non si trasmetta a una generazione di occidentali che, finalmente insofferenti della porcheria che siamo diventati, finalmente indifferenti alla propaganda liberalsocialdemocratica ma anche alla finta opposizione della sinistra delle quote rosa e dei matrimoni gay, e della destra identitaria che si nutre di nostalgie anacronistiche e di un neopaganesimo estetizzante, rispondano al richiamo di una fede che offre certezze e riscatto sociale.
Nel frattempo, non tocca a noi combattere il Califfato nelle sue terre. Abbiamo già fatto abbastanza guasti col nostro interventismo. Le forze che possono opporsi ai guerrieri sunniti traendo linfa dalla storia, dalle tradizioni, dalla cultura di quei luoghi, che non hanno bisogno del nostro paternalismo, ci sono. Sono gli sciiti, sostanzialmente estranei al mito dei primi Califfi, sono i curdi, sono quegli Stati laici e nazionalisti che noi abbiamo distrutto ma i cui residui continuano a battersi coraggiosamente. Sono anche Stati come l’Egitto, la Tunisia, l’Algeria, che sarebbero minacciati se la Libia finisse in mano al Califfato.
Egitto e Algeria sono ben armati, tocca a loro “mettere gli stivali sul terreno” e non a Renzi, Gentiloni e Pinotti. Siamo già lo zimbello delle genti, non aggiungiamo altro ridicolo alla nostra pessima fama.
Tratto da Il Ribelle
fonte: freeondarevolution.blogspot.it
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