28/11/17

diga del Gleno 1923, la morte scorre a valle


Lo sfruttamento idroelettrico in Italia delle valli alpine è indubbio e tutt’ora sotto gli occhi di tutti. Sono moltissime le opere che hanno cambiato il nostro paesaggio, cancellando paesi, creando laghi, abbattendo montagne. 
La dove l’uomo è intervenuto, modificando la morfologia del territorio, a volte si sono verificati eventi molto gravi, come la tragedia del Vajont, che tutti ricordiamo sia per l’entità dei danni, sia per il numero di morti. 

Ma in Italia quello non è il primo disastro legato allo sviluppo e alla messa in opera di un invaso artificiale. Vorrei ricordare qui la tragica storia della diga del Gleno.

La valle di Scalve è una valle laterale occidentale della più rinomata Valle Camonica. Situata nella parte nord-orientale della Provincia di Bergamo, confina a nord con la Provincia di Sondrio e a nord-ovest con quella di Brescia. 


La diga di cui vi vorrei raccontare è stata costruita per sfruttare le acque dei torrenti che qui scorrono impetuose. Fra questi il Gleno, che nasce dal passo di Belviso, alle pendici del monte Gleno, nelle Alpi Orobie.
Dopo 8 Km di corsa fra le montagne, il Gleno confluisce nel torrente Dezzo, formando la Valle di Scalve. Poco sotto la frazione di Bueggio, il torrente prende il nome di Povo.
E’ il 1907. L’Ing. Tosana di Brescia richiede una concessione di sfruttamento idroelettrico proprio relativamente al torrente Povo. 
La richiesta viene accordata. Per vari motivi, qualche tempo dopo, la concessione passa nelle mani dell’Ing. Gmur di Bergamo, il quale realizza un progetto grandioso per il suo tempo, che prevede la costruzione di una diga a gravità, con uno spessore variabile, in grado di opporre una resistenza sufficiente al peso dell’acqua che si intende contenere.
Per la costruzione della diga si utilizzano calce di produzione locale, pietrame e ghiaia prese direttamente in zona, come si è soliti fare in quell’epoca, permettendo così un abbattimento dei costi e maggiore facilità nel trasporto del materiale.
L’inizio del primo conflitto mondiale causa uno stop nel lavori. 
La concessione è nuovamente ceduta, questa volta alla ditta Galeazzo Viganò di Triuggio, nell’attuale provincia di Monza-Brianza. 


Nel 1917, quasi a guerra finita, il Ministero del Lavori Pubblici decide di aumentare la capienza dell’invaso, per permettere di coprire sia il fabbisogno locale che di vendere l’energia eccedente; porta a 3.900.000 m³ la capacità di invaso in località Pian del Gleno, stabilendo lo sfruttamento anche di altri torrenti limitrofi.
La ditta Viganò riprende i lavori dopo pochi mesi, senza attendere l’approvazione dell’autorità competente. Nel 1919, dopo una serie di proroghe, viene presentato un progetto esecutivo, firmato dall’Ingegner Gmur per la costruzione di una diga a gravità, come previsto in origine.
Nel 1920 cominciano i primi problemi, qualcosa non quadra. Una lettera anonima segnala alla Prefettura di Bergamo l’uso di materiale inadeguato per la costruzione dello sbarramento: si parla di calcina al posto di cemento. Se così fosse, la situazione sarebbe davvero grave e pericolosa. 


Vengono prelevati dei campioni dal cantiere, che però non sono mai stati analizzati. Come mai? I lavori vanno avanti. 
Nello stesso anno l’Ing. Gmur muore. La ditta Viganò assume al suo posto l'Ing. Santangelo di Palermo. I lavori proseguono ancora. 
Finalmente nel 1921 c’è l’approvazione definitiva del progetto esecutivo, 3 anni dopo l’inizio dei lavori, che non si sono mai fermati.
Nel frattempo, la realizzazione delle arcate viene appaltata alla Ditta Vita & C.
Agosto 1921: l'Ing. Lombardo del Genio Civile arriva per un sopralluogo nel cantiere. 
Si trova di fronte ad un progetto completamente diverso. In corso d’opera si decide di passare alla realizzazione di una diga ad archi multipli, che avrebbe scaricato sulle rocce di fondazione la spinta del lago che si sarebbe andato a creare. 
Nessuno è stato avvertito della decisione, la variante non è stata mai presentata per l’approvazione. Dal suo rapporto si rilevava che stanno per essere costruite le basi delle arcate, che avrebbero poggiato non sulla roccia ma sul tampone a gravità: una sorta di castello di sabbia. 
Per tacitare le proteste della popolazione, preoccupata per quanto stava avvenendo, per le voci che circolavano in merito ad irregolarità nella costruzione e per la perdita di numerosi pascoli, vengono reclutate per i lavori circa 300 persone del posto fra uomini, donne e bambini

Il rapporto negativo dell’Ing. Lombardo causa la diffida nella prosecuzione dei lavori, con la richiesta di presentazione di un adeguato progetto entro il minor tempo possibile. Nonostante questo, il lavori non si fermano. 
Seguono altri sopralluoghi, altri rapporti negativi, ma la situazione resta immutata.
Ottobre 1923: le violente precipitazioni causano il riempimento dell’invaso. 
Immediatamente si verificano problemi negli scaricatori superficiali e allarmanti perdite d'acqua alla base delle arcate sovrastanti il tampone a gravità. Nessuno interviene, anzi le perdite sono sfruttate per la produzione di energia elettrica. La diga ormai è ultimata, quasi funzionante, mancano solo alcune opere edili.
Il cattivo tempo continua incessante fino alla seconda metà di novembre.
1 dicembre 1923: il guardiano della diga, Sig. Morzenti, segnala un “moto sussultorio violento", in seguito al quale cadono sassi dalle pendici della montagna e si apre una spaccatura in uno dei piloni. Il guardiano riesce appena a fuggire dopo aver dato l’allarme. Ma è troppo tardi. Ore 7.15: crollano 10 arcate della diga. Una enorme massa d’acqua, circa 6.000.000 m³, si riversa verso valle. 
Bueggio è il primo centro ad essere colpito, dopo pochi istanti. Due centrali elettriche vengono rase al suolo insieme a due chiese, al cimitero, a un antico ponte, alla fonderia di ghisa, che sommersa dall’acqua dà vita ad un infernale spettacolo di fiamme e vapore. 
Nei pressi di Angolo si formano, a causa della presenza di profonde gole, delle costruzioni temporanee di detriti, spazzate dopo poco dal passaggio di altra acqua, che crea ondate ancora più distruttive. 
A Mazzunno viene rasa al suolo un'altra centrale elettrica. 
L’onda prosegue la sua folle corsa verso quella che oggi è Boario Terme. 
Le Ferriere di Voltri sono gravemente danneggiate. 
L’energia della massa devastante va via via affievolendosi, fino a raggiungere il Lago d’Iseo, 40 km più a valle, causando comunque ancora morte e distruzione. Lo scenario che si presenta ai soccorritori è agghiacciante. Nell’acqua scura e carica di detriti sono recuperati circa 50 corpi senza vita. 


Le vittime ufficiali sono 360.
Due mesi dopo il crollo si apre il processo contro i responsabili.
A finire sul banco degli imputati sono Virgilio Viganò, come responsabile dell’impresa costruttrice, e l’Ing. Giovan Battista Santangelo.
I carotaggi effettuati sui resti della diga dopo il disastro evidenziano che in alcuni casi sono stati gettati direttamente sacchi di cemento nei piloni, per velocizzare i tempi di riempimento. Inoltre le ultime fasi di lavoro si sono svolte direttamente sulle barche, ciò a dimostrazione che il riempimento è stato fatto contemporaneamente all’ultimazione dei lavori
Il 4 luglio 1927 il Tribunale di Bergamo condanna gli imputati a 3 anni e 4 mesi di reclusione, pena poi ridotta a soli 2 anni, più 7.500 Lire di multa. 
La maggioranza dei sinistrati è economicamente tacitata prima della conclusione del procedimento.
Il Cav. Viganò muore nel 1928 "vinto da cinque anni di indicibili amarezze".
Nel dibattimento sono numerosi gli elementi contestati, fra cui la cattiva qualità dei materiali, l’inadeguata assistenza tecnica, l’utilizzo per le armature di materiale bellico di recupero, per lo più arrugginito, e di reti di protezione usate per le bombe a mano. In sostanza la ditta avrebbe lucrato sulla forniture, arrivando a risparmiare anche sulle maestranze impiegate, ritenute sottopagate e mal preparate.
La difesa, porta avanti la tesi del sabotaggio, ipotesi suffragata dalla sparizione nel cantiere di 75 kg di dinamite, giusto due giorni prima del crollo, e dalla testimonianza di un detenuto che avrebbe raccontato di aver condiviso la cella con malfattori intenzionati a danneggiare le dighe alpine.
Queste argomentazioni non trovano alcun riscontro. Per un po’ si parla anche di disastro sismico, ma anche in questo caso nessuna prova ad avvalorare la tesi della calamità.
L’analisi di quanto accaduto, la condotta delle parti coinvolte, autorità comprese, che non hanno saputo intervenire in difesa della popolazione inerme, porta in una sola direzione: verso il disastro. 
A differenza di altre dighe, qui non si è mai arrivati la collaudo. Non c’è stato il tempo.
Per smorzare le polemiche e tenere a freno l’opinione pubblica, il governo fascista decide di bloccare la costruzione di nuove dighe per qualche anno, avviando allo stesso tempo una campagna di verifica su tutti gli impianti esistenti ed attivi.
Il disastro del Gleno e i suoi 360 morti passano alla storia come un caso “assolutamente anormale”, che non si sarebbe potuto ripetere. La storia smentirà questa convinzione.
Nel 1933 la ditta Viganò è liquidata, non si riprenderà mai dallo scandalo. 
Oggi la diga del Gleno è in funzione, produce energia grazie ad una nuova concessione di sfruttamento rilasciata nel 1940. I morti di quella mattina ora sono solo un peso per chi è rimasto a ricordare.

Rosella Reali


fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/

Bibliografia



La tragedia della diga del Gleno. 1° dicembre 1923. Indagine su un disastro dimenticato - di Benedetto Maria Bonomo – Mursia Editore 

Fotografie
La prima fotografia (diga del Gleno come appare oggi) è tratta da Wikipedia ed è opera dell'utente Etienne.
La seconda fotografia (diga del Gleno come appare oggi) è tratta da Wikipedia ed è opera dell'utente Pierangelo66.


Rosella Reali - nel team dal 2016

Sono nata nel marzo del 1971 a Domodossola, attualmente provincia del Verbano-Cusio-Ossola. Mi piace viaggiare, adoro la natura e gli animali. L'Ossola è il solo posto che posso chiamare casa. Mi piace cucinare e leggere gialli. Sono solare. Sorrido sempre e guardo il mondo con gli occhi curiosi tipici dei bambini. Adoro i vecchi film anni '50 e la bicicletta è parte di me. Non me ne separo mai.
Da grande aprirò un agriturismo dove coltiverò l'orto e alleverò animali. Chi mi aiuterà? Ovviamente gli altri viaggiatori. Questa avventura con i viaggiatori ignoranti? Un viaggio che spero non finisca mai..

l'occulta storia della Rivoluzione


Tratto dal libro “L’occhio sopra la piramide”, 1979

Diffondendosi nell'Impero Romano e infiltrandosi nelle popolazioni barbare d'Europa, Asia e Africa, il Cristianesimo aveva lentamente fermentato quella condensazione culturale cristiana che raggiunse il suo massimo splendore nel secolo XIII. Quel clima di entusiasmo coagulò in un'unica vasta sintesi teologica e filosofica l'eredità ebraica con la classicità greca, latina e araba; le grandi città andarono a gara a costruire le maestose cattedrali romaniche e gotiche, slanciate verso il cielo; la letteratura diede il capolavoro di Dante, la mistica toccò il suo vertice con Caterina da Siena e Francesco d'Assisi, lo. pittura si fuse con la mistica nei capolavori di Giotto e del Beato Angelico. Il secolo culturalmente più cristiano, fu anche il secolo più razionalista della storia, con la sua metafisica unitaria incentrata nell'Essere; e religione, politica e cultura trovarono la loro integrazione simbolica unitaria nel Sacro Romano Impero.
Ben presto però i fermenti pagani, antichi quanto l'uomo e mai sopiti, puntarono a riaffermarsi e ad avere il sopravvento. Rinascimento e Riforma cominciarono a spostare l’asse degli interessi culturali da Dio verso l'uomo, fino a sfociare, con la cultura attuale, nell'umanesimo ateo. 
Quest'ampia curva di ripiegamento sull'uomo fu fomentata soprattutto dalla Rivoluzione, fenomeno che si intensificò in questi ultimi due secoli per l'apporto determinante delle società segrete, focolai attivi del naturismo neopagano.  
Le società segrete si radicano nel terreno rinascimentale e riformistico, approfondendo la divisione del mondo occidentale tra cattolici e protestanti. Già sotto FILIPPO IL BELLO il legista DUBOIS vagheggiava un consiglio laico delle nazioni con esclusione del Papa, che era il perno del Sacro Romano Impero; e il re della Boemia hussita PODIEBRAD propagava tra i principi del nord la medesima idea. Verso il Settecento, società segrete di vario tipo (kabbalisti, occultisti, panteisti, rosacroce, ecc.) pullulate in terreno protestante fomentarono una corrente mondialista anticristiana con la complicità di pensatori quali BACONEGROZIOLOCKE, SPINOZA, ecc. Nel frattempo il rosacroce JAN AMOS COMINSKY (1592-1670) teorizzava una pianificazione culturale-politico-religiosa basata sulla fusione delle varie confessioni cristiane, ma tendente a superare il cristianesimo nell'esoterismo.  
2. Nel 1717 nasceva a Londra la Massoneria inglese, e a metà del Settecento si determinava la corrente pangermanistica dei Templari. Nel loro alveo e appropriandosi il socialismo di ROUSSEAU, sorsero gli Illuminati di Baviera, fondati WEISHAUPT nel 1776. Questi, dopo il congresso di Wilhelmsbad (1782), si infiltrarono rapidamente nelle logge massoniche europee, determinando con esse e con la complicità del l'alta finanza internazionale (ROTHSCHILD, ecc.) la rivoluzione francese (1789), che nella mentalità dei rivoluzionari doveva essere il primo passo verso una repubblica socialista mondiale. La politica coloniale nel frattempo spostava l'insieme geopolitica dall'orbita delle potenze cattoliche a quella capitalistica protestante (insurrezione delle colonie spagnole in America, nascita degli Stati Uniti indipendenti d’America ecc..).
3. A fermare l'avanzata rivoluzionaria non valse la Santa Alleanza (1814-15), e il disegno di METTERNICH intento a ristabilire una forte coalizione cattolica fu neutralizzato dalle influenze massoniche e degli agenti di Rothschild al congresso di Vienna. Dopo la Santa Alleanza l'azione rivoluzionaria europea è dominata dall'Alta Vendita italiana, retrologgia delle Carbonerie e delle massonerie, e strumento dell'alta finanza. Accanto ad essa si sviluppa il movimento Panslavista d'oriente con intendimenti socialisti e la volontà di coalizzare il mondo slavo sotto l'egida russa; e in Germania si rafforza il movimento pangermanista della Tugendbund e sette affini, di ispirazione illuministica, che tendevano all'egemonia prussiana a spese della cattolica Austria (HERZ, ROTHSCHILD, ecc.).
Alle dipendenze del massone, Lord PALMERSTON, ministro della regina Vittoria entrò in azione a Londra Il Comitato Rivoluzionario Internazionale guidato dal MAZZINI, dall'ungherese KOSSUTH e da LEDRU ROLLIN. 
L'Alta Vendita, capeggiata da NUBIUS, persegue un programma liberal-socialista e decisamente anticristiano, ma a causa dei contrasti tra Nubius che conduceva una strategia più lenta ma più profonda, e il carbonaro MAZZINI che voleva un'azione più immediata e violenta, la setta si estinse con la morte per avvelenamento di Nubius (1848). Ma i fermenti rivoluzionari erano già avviati, e grazie all'appoggio dell'alto Massone PALMERSTON, in seguito al congresso massonico di Strasburgo (1847) che mise a punto il piano generale delle insurrezioni, nel 1848 i moti rivoluzionari scoppiarono nelle varie città d'Europa con l'intento di soppiantare le monarchie e istaurare dappertutto la repubblica. Il piano non ebbe l'esito che si attendeva.
4. Ma in Germania nel 1848 entravano nell'area politica due formidabili strumenti rivoluzionari: il Comunismo di MARX, teorizzato dal Manifesto (su mandato degli Illuminati che riproponevano il programma socialista di Weishaupt), e il pangermanesimo di RITTER. Nella visione del ministro degli esteri inglese PALMERSTON il rafforzamento della Germania protestante la la creazione dell’Italia unita a spese dell'Austria e del Papato costituivano un'azione di sventramento dell'occidente cristiano, aggravato anche dall'attacco alla Russia. 
Marxismo e pangermanesimo, entrambi di derivazione iluminatica, ma diversi per il contenuto - l'uno socialista, l'altro razzista – confluirono rispettiva mente nella rivoluzione russa e nel nazismo tedesco. Ma l'internazionale massonica creava nel frattempo altre correnti mondialiste: il Palladismo americano e il sinarchismo francese.  
La politica americana prendeva le mosse verso la supremazia mondiale in seguito a vari avvenimenti di influsso internazionale, quali la creazione a New York della società segreta ebraica B'nai Brith (1843), l'insediamento a New York della Alleanza Democratica Internazionale di Mazzini (1867), il trasferimento a New York della sede del consiglio generale dell'Internazionale di Marx (1872), e l'ascesa vertiginosa del gruppo bancario «Jacob Schiff, Kuhn e Loeb» che finanziò la rivoluzione russa. 
Fu il MAZZINI a trasmettere al generale americano ALBERT PIKE (1809-1891) l'ideale della repubblica universale di attuarsi mediante una organizzazione più segreta e autoritaria all'interno, della massoneria. Con il Pike, teurgista luciferino, il Mazzini puntò a una centralizzazione dell'azione massonica internazionale per mezzo di una società segreta alle stesse sfere massoniche inferiori: il «Nuovo Palladismo». Il Direttorio supremo del Palladismo, cervello dell'alta massoneria internazionale con sede a Charlestown, esercitava un controllo segreto sulle massonerie americane e sullo scozzesismo mondiale. Dal Palladismo ebbero origine le conferenze periodiche di Charlestown, decisamente orientate verso un governo mondiale.
Con la fondazione del Rito Palladiano il Pike diffondeva l'idea mondialista in America, prevedendo successive guerre mondiali orientate al rovesciamento delle frontiere nazionali sotto l'alta dominazione degli Stati Uniti d'America. 
A questa ambizione americana si oppose, in Francia, il Sinarchismo del kabbalista SAINT YVES D'ALVEYDRE che mirava a un sincretismo religioso e politico universale sotto l'alta ispirazione esoterica massonica. Palladismo e Sinarcchsimo avrebbero proceduto verso l’identico fine mondialista, ma per vie diverse. Le lotte interne tra massonerie di varia obbedienza del secondo ottocento frenarono la marcia verso la unità mondiale.
5. Nel 1914 scoppiava la prima guerra allo scopo di frantumare l'ultima resistenza Cattolica nell'Impero Austro-Ungarico e rovesciare L’Impero Zarista per insediare il comunismo in Russia. La rivoluzione russa fu attuata dalla azione convergente delle società segrete russe con l’appoggio di  quelle internazionali, dello stato  maggiore tedesco che inviò Lenin nel famoso treno piombato, e della finanza internazionale, che intendeva aprire in Russia i suoi affari, impediti fino allora dal controllo rigoroso esercitato dallo Zar sulla finanza russa.
I trattati del 1919 furono preceduti da una serie di riunioni delle società segrete per discutere il riassetto dell'Europa e la creazione della Società delle Nazioni, con particolare attenzione al Sionismo. Grazie all'influsso di P.S. Rothschild si poté dare inizio a un focolare ebraico in Palestina come preludio al futuro stato d'Israele.
Un ruolo di primo piano nella politica di allora ebbe il gruppo di pressione British-Israel che promosse l'unione tra il Palladismo americano e il Rosacrocismo inglese in vista di una preminenza mondialista anglosassone di ispirazione israelitica a scapito del cattolicesimo, che nelle loro intenzioni sarebbe stato spazzato via dal comunismo.
6. In opposizione a questo blocco israelitico-occidentale, insorse il pangermanesimo tedesco, prendendo corpo nel Nazismo, che riassumeva in sé la duplice corrente illuminatica e razzista (MARX e RITTER). Il Nazismo e il Fascismo, che si sviluppò in Italia, però, non intendevano sopprimere la proprietà privata, ma solo sottoporla a severo controllo. La competizione tra Nazismo e coalizione anglosassone-israelitica scatenò la seconda guerra mondiale, che coinvolse anche l'America. L'immediato dopoguerra portava un nuovo equilibrio mondiale incentrato nel bipolarismo Stati Uniti - Unione Sovietica, che toccò il suo apogeo con KENNEDY e CRUSCEV. Ma la ribellione di DE GAULLE al predominio americano e della Cina popolare al predominio russo avviarono un nuovo equilibrio mondiale basato sul multipolarismo sinarchico. Questo stesso multipolarismo politico, tuttavia, sembra ormai superato dal delinearsi dell'assoluta superiorità tecnologica e militare del «condominium» russo-americano, proteso verso la conquista dello spazio.  E’ in questo contesto che va inserita la politica internazionale dei nostri giorni.
L'attività mondialista, hi questi ultimi anni, si è fatta frenetica. Si ritiene che entro qualche decennio il mondo sarà dominato da un numero ristretto di multinazionali che regoleranno il mercato dei prodotti dì consumo; a questa concentrazione corrisponderà la concentrazione bancaria; e gli insiemi economici, al di sopra delle divisioni dei blocchi premeranno verso l'unità mondiale agevolata dagli scambi culturali. 
Attualmente però esistono gravi fratture, tra occidente e oriente. Gli Stati Uniti pensano di dominate il comunismo mediante la strategia della contaminazione ideologica (appoggiando la dissidenza, entrando nell'area comunista con accordi commerciali, crediti, investimenti, scambi culturali, in una parola costringendoli al dialogo); i dirigenti della Russia pensano invece che «non può esservi coesistenza pacifica a lungo termine tra socialismo e capitalismo». Tra questi due blocchi l'Europa è terreno di competizione: gli « atlantisti» mirano a mantenerla nell'orbita americana, i «continentalisti» la vogliono integrata col mondo comunista (eurocomunismo) sperandone maggiori profitti economici. L'asse dei conflitti si va inoltre spostando tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo.
7. Marxismo dell'est e sinarchismo dell'ovest, entrambi di origine massonica e di ispirazione anticristiana, si accordano nella comune volontà di schiacciare il cattolicesimo, non tanto con le azioni Militari, quanto piuttosto con la contaminazione culturale intesa a corromperlo dall'interno. In questo intento si inquadrano le pressioni per la liberalizzazione del divorzio, dell'aborto, della pornografia, ecc.…

fonte: https://www.disinformazione.it/

24/11/17

tredici anni, lapidata per adulterio


Sapere cosa accade nel mondo è una possibilità che abbiamo grazie ai mezzi di comunicazione. Guerre, uragani, terremoti e proteste di piazza, arrivano nelle nostre case tramite i telegiornali e i giornali. 
Nelle edicole meglio fornite possiamo leggere anche i quotidiani che vengono da altre nazioni europee, mantenendo un filo diretto con il mondo che ci circonda. Esiste però tutta una serie di notizie che non ci arrivano, che non sono trasmesse o raccontate, di cui nessuno parla perché poco interessano o forse rischierebbero di scuotere le nostre coscienze assopite.
Il web ci aiuta a colmare alcune di queste lacune di informazione. Lo ritengo un mezzo che, se usato con intelligenza, di cui ormai pochi danno sfoggio, può davvero farti conoscere realtà molto differenti da quelle che viviamo come  piccole creature di provincia.
Navigando in rete ho trovato una notizia che mi ha catturata. Pochi trafiletti per raccontare una vicenda dai risvolti inaspettati.
Asha Ibrahim Dhuhulow è la donna protagonista di questa storia. La notizia riporta che è stata giustiziata mediante lapidazione, in seguito all’accusa di adulterio, all’età di 23 anni, in pubblica piazza in Somalia, a Chisimaio.  In realtà, cercando altre informazioni, anche su quotidiani stranieri, scopro che Asha aveva  solo 13 anni. Non era una donna, non era un’adultera,  ma solo una bambina terrorizzata.
Cosa è avvenuto? Come può una essere stata processata  e giustiziata come un’adulta?
Purtroppo, in alcuni paesi, come Nigeria, Arabia Saudita, Sudan, Emirati Arabi Uniti, Pakistan, Afghanistan e Yemen, la lapidazione, antica forma di pena di morte, è tuttora vigente .



Rajm è la parola che in arabo significa lapidare e che fa riferimento alla pena prevista nel diritto islamico per il reato di zina, cioè  di relazione sessuale illecita. Alcuni pensatori islamici moderni  non sono d’accordo con l’applicazione della lapidazione in caso di adulterio, poiché i testi religiosi non fanno alcun riferimento  all’applicazione della suddetta pena, per nessun tipo di reato. Reintrodotta negli ultimi anni in alcuni stati, la lapidazione è comminata ad entrambi gli adulteri, rei confessi o colti durante l’atto sessuale da più testimoni, almeno quattro. Il condannato se uomo, è sepolto vivo fino alla vita, avvolto in un sudario, col volto coperto da un velo, e poi preso a sassate. Se siamo in presenza di una donna, il rito cambia solo in una cosa, la condannata è sepolta fino al petto. L’esecuzione avviene alla presenza e con la partecipazione di tutta la comunità, compresi gli accusatori.
Di lapidazione si parla anche nel Vecchio Testamento. La pena era applicata  in casi ben specifici: esercizio del culto di altre divinità, incitamento all’idolatria, sacrificio di bambini a Moloch, predicazione del culto di un altro dio, bestemmia, infrazione del sabato, omicidio, divinazione spiritistica, adulterio, mancanza di rispetto verso i genitori. I testimoni al fatto dovevano scagliare la prima pietra, in modo da sancire la loro condanna . Nel Nuovo Testamento, vangelo di Giovanni (8:7-11), si legge, secondo quanto riportato, il pensiero contrario di Gesù, in merito a questa pratica: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei…. Essi, udito ciò, e accusati dalla loro coscienza, uscirono a uno a uno, cominciando dai più vecchi fino agli ultimi; e Gesù fu lasciato solo con la donna che stava là in mezzo… ».



Fondamentale per l’applicazione della pena è la determinazione del reato, possibile solo in seguito ad un processo equo. A tal proposito vorrei riportare , perché si possa parlare di zina, due punti molto importanti, determinati dalla legge islamica: l'accusato dev'essere adulto e deve aver commesso l'atto di propria spontanea volontà.
Asha Ibrahim Dhuhulow muore nel 2008. Nata nel 1995, Asha ha sei fratelli e sei sorelle. La sua famiglia si trasferisce per un po’ di tempo nel campo profughi di Hagardeer, nel Kenya meridionale, per sfuggire ai disordini interni scoppiati in Somalia fra clan diversi.
Soffre di epilessia e per questo motivo i suoi genitori decidono di mandarla a Mogadiscio dalla nonna con la prospettiva che li avrebbe ricevuto migliori cure. Durante il tragitto per arrivare, in circostanze poco chiare, che nessuno ha voluto o potuto approfondire, Asha viene avvicinata da tre uomini delle milizie fondamentaliste, appartenenti ad alcune famiglie locali molto potenti. Condotta lungo la spiaggia, in un luogo isolato, viene derubata di pochi spiccioli, picchiata e violentata. La piccola racconta tutto ai genitori che le consigliano di andare alla polizia e di raccontare tutto per ottenere giustizia.  Da questo momento la vicenda prende una piega del tutto inaspettata.
Nessun medico la visita, nessun avvocato la assiste o parla con lei. Asha è sola con la sua ingenuità.
Convinta dai parenti degli stupratori, non si sa in che modo, forse dietro promessa di un risarcimento, a ritirare le accuse di fronte alla corte islamica, Asha da vittima diventa accusata. Nel frattempo una delle famiglie degli stupratori la denuncia per estorsione, raccontando che in realtà la piccola aveva attirato gli uomini volontariamente in un luogo isolato, per poi estorcere loro del denaro. Asha è ritenuta colpevole secondo la sharia di aver fatto sesso consenziente con uomini sposati. Condotta in carcere, è condannata a morte per lapidazione.
I parenti accorrono in sua difesa ma ormai è troppo tardi. Sulla piazza, il giorno dell’ esecuzione, accorrono molte persone, pronte a scagliare le pietre perché giustizia sia fatta, perché quella donna sepolta viva in terra, con le braccia bloccate è una prostituta, così qualcuno ha detto, e merita la morte. Accorrono anche i suoi stupratori, pronti a lapidarla per mettere a tacere tutta la vicenda.
I parenti di Asha si oppongono alla polizia, tentano di portarla in salvo. Scoppia un tafferuglio, parte un colpo dalle mani armate degli uomini di legge e un bambino cade a terra morto.
Nessuno può più nulla per lei. L’esecuzione non si ferma.
Avvolta in un sudario, col capo coperto, Asha urla, piange e invoca pietà. La seppelliscono in terra, fino al collo. La folla non sa che Asha ha 13 anni. Il velo che copre il suo volto si tinge di rosso, si sporca di terra e di lacrime. Tre volte la tirano fuori dalla buca per accertare la sua morte. Tre volte la riseppelliscono.
Così muore Asha Ibrahim Dhuhulow. Della sua vicenda si occuperà il Progetto di difesa dei diritti umani in Oriente e nel Corno d'Africa, EHAHRDP, perché fatti così gravi non si debbano più ripetere.
Nessuno merita di morire in questo modo, nemmeno la peggiore delle donne.
Asha è una delle tante bambine violate, una delle tante vittime senza giustizia.
Forse resterà solo un caso, un numero, di cui  pochi si occuperanno e che presto dimenticheremo.
Per me resterà una pagina di orrore trovata per caso nel web, che non potrò mai più dimenticare.


Rosella Reali

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/



Bibliografia

Corriere della Sera, Esteri – 28 ottobre 2008 - Somalia: lapidata adultera, un parente la aiuta e nel conflitto a fuoco muore bimbo

La Repubblica - 04 novembre 2008 - Somalia, lapidata in piazza la folla si ribella, ucciso un bimbo

La Repubblica - 04 novembre - Somalia: Unicef, tradita da autorità la tredicenne lapidata

El Paìs – 01 novembre 2008 - Asha: adolescente, violada y lapidada

Rosella Reali 

Sono nata nel marzo del 1971 a Domodossola, attualmente provincia del Verbano-Cusio-Ossola. 
Mi piace viaggiare, adoro la natura e gli animali. 
L'Ossola è il solo posto che posso chiamare casa. 
Mi piace cucinare e leggere gialli. 
Sono solare. Sorrido sempre e guardo il mondo con gli occhi curiosi tipici dei bambini. 
Adoro i vecchi film anni '50 e la bicicletta è parte di me. Non me ne separo mai.
Da grande aprirò un agriturismo dove coltiverò l'orto e alleverò animali. Chi mi aiuterà? 
Ovviamente gli altri viaggiatori. 
Questa avventura con i viaggiatori ignoranti? 
Un viaggio che spero non finisca mai..

21/11/17

la folle guerra nel ventre delle montagne


Quanto segue è la sintesi “rapsodica” di un capitolo del mio libro “Nella valle del Boite”. Ho deciso di riportarlo qui in questa forma perché credo sia un modo, uno dei tanti possibili, per raccontare luoghi e vicende storiche che hanno sempre la necessità di essere mantenute vive nella memoria di tutti, in tutte le forme possibili.
La narrazione prende il via dall’arrivo in un albergo in val di Landro, quando alla registrazione dei documenti la signora che gestisce la struttura mi chiede come mai sono da quelle parti, e io rispondo che quei luoghi mi piacciono molto, e quando posso ci torno perché mio padre è originario di Cortina d’Ampezzo.
Saputo del genitore di quelle parti, rilegge il cognome sulla carta d’identità (e quanto al mio povero nome, in quali alberghi l’ho lasciato?) e dice: ah… Strano, non è un nome di qui.
No, è la risposta in effetti è di origine piemontese, però mio nonno già era qui.
Lei sembra fare un equazione che probabilmente ha già fatto tante volte. Eh già… allora è la grande guerra … ne sono venuti tanti qui, molti sono rimasti.


Eh già. La Grande Guerra.
Tanti, tutti, a difendere il Piave che mormorava. La Signora non conosce date e non può fare conti, e quindi non può sapere che la sua ipotesi non regge del tutto. Probabilmente talmente abituata, in forza della sua generazione, ad attribuire tutti gli arrivi da ovest alla prima guerra mondiale, avrà pensato che magari sia stato un bisnonno a spostarsi, in forza dell’esigenza della patria, per poi trovare una buona ragione, la sola vera buona ragione per spostarsi e cambiare vita da quando esiste l’umanità, un rapporto umano, una speranza, una promessa di una vita diversa dalle trincee che facilmente facevano dimenticare qualsiasi altra parte di mondo esistesse o si fosse anche già conosciuta.
(…)

Del resto basta fare qualche passeggiata anche di quelle più turistiche fra quelle meravigliose montagne per vederla, la grande guerra, e per passarci attraverso. E per rendersi conto di quale assurdità e di quale mondo insensato doveva essere. Sali su qualche grande cima, magari con una funivia, imbocchi un sentiero che strapiomba su pareti verticali, dove spazza un vento freddo anche in agosto e l’aria è di una pulizia quasi da togliere il fiato, e nei punti più impensati te le trovi lì. Le trincee.  Non solchi nella terra, che è più facile anche immaginare qualcuno che le scava, ma buchi nella roccia, camere intere, gallerie che entrano da una valle e sbucano in un'altra. Bucavano le montagne. A mano. Con un po’ di dinamite e poi picconi, martelli, mazzette. A mano. Una follia. Una follia ragionata e transnazionale (lo facevano gli italiani e lo facevano gli austriaci). Bucavano a mano le montagne per combattersi, per tenere le posizioni (rispetto a cosa?), per difendere un pezzo di roccia, un prato verde, uno spuntone di dolomia.Fra tutte le montagne dove ancora si vedono le tracce indelebili di queste follie ce ne sono alcune davvero impressionanti. Musei a cielo aperto, li chiamano. Li chiamano così perché sono state ricostruite alcune postazioni, nei luoghi esatti, con tanto di manichini dei soldati e tavoli e equipaggiamenti e suppellettili, per darti un’idea. E infatti l’idea della follia te la danno tutta.



Una di queste zone è a poca distanza da Cortina d’Ampezzo, sulla strada che sale verso il passo Falzarego. Da una parte c’è il Lagazuoi, montagna dal nome improbabile che si impenna dietro le Tofane dopo aver lasciato spazio ad una valle glaciale sconfinata, dall’altra le Cinque Torri, paradiso di rocce sfrangiate, Manhattan di pietra fragile e millenaria, palestra di alpinisti e rocciatori, luogo magico e perduto nel tempo e fra i boschi. 
Al Lagazuoi ci arrivi fin sotto, e ti trovi davanti una parete dritta e alta, senza niente in mezzo. Talmente senza niente che la funivia che ti ci porta in cima è fatta nel modo più semplice e spaventoso che possa venire in mente. Non ha piloni. Come fosse costruita da bambini che giocano con le costruzioni. Una stazione a valle, una a monte, un unico cavo teso fra le due, sospeso sull’abisso, e la cabina che viaggia fra l’una e l’altra come una molletta su un filo da bucato quando la mamma tira la corda per fare spazio agli altri panni.
Gioco di costruzioni un corno, naturalmente. Un capolavoro di ingegneria. Funzioni matematiche, delirio di curve catenarie per calcolare l’iperbole creata nello spazio da quel cavo e le sue oscillazioni e il peso delle cabine e la velocità e il comportamento in base al vento e chissà quanto altro ancora.


Mai come su quella funivia, se ti imbarchi per raggiungere in cabina la cresta del Lagazuoi, puoi almeno intuire cosa significhi davvero volare. Se non guardi sopra di te la morsa che tiene attaccata la tua scatoletta di metallo al cavo, intorno e sotto non hai altro che aria. Il vuoto. E giù, ma molto più giù, prati, rocce, alberi così piccoli che sembrano quelli di un plastico del treno, di quelli che si facevano una volta, costruendo tutto a mano. 
(…)
Mentre sali e ti guardi intorno affascinato e terrorizzato, le rocce della parete che scende sotto la cresta cominciano ad avvicinarsi, e se guardi bene vedi già i buchi. Le trincee. Ne vedi uno che si apre a metà di una parete impossibile. Come fa a stare lì? Capisci che è stato scavato dall’interno, ma dall’interno di cosa? Lì dietro c’è tutta la montagna intera, compatta, immensa. Da dove sono partiti, là dietro, a scavare, esplodere, togliere montagne di pietra per arrivare a sbucare proprio lì? E poi una volta arrivati? Un affaccio sul vuoto, di sicuro una postazione da avvistamento magnifica, ma nell’eventualità per sparare a cosa? Qualunque forma, vivente e non, è distante, immensamente distante. Forse bisogna cambiare un po’ i parametri di riferimento, non si può ragionare con la logica che avremmo oggi. Forse un secolo fa affacciato da lì sentivi qualunque rumore, anche a decine di chilometri, vedevi qualunque movimento, anche il più lontano e impercettibile. Altri silenzi, altri sguardi.
La migliore passeggiata che puoi fare da quelle parti, per scoprire insieme la magnificenza delle montagne e la sofferenza della prima grande guerra mondiale sulle nostre Alpi, è arrivare in cima al Lagazuoi con quella cabina sospesa nel vuoto, e poi scendere a piedi lungo il sentiero che passa sotto alla cresta e ritorna fino a giù.


Quando arrivi in cima e ti affacci dall’altra parte vieni investito tutto insieme dal vento più freddo che puoi immaginarti, anche in piena estate, e dai panorami più ampi e mozzafiato che ti possa capitare di vedere. Alla tua destra le Tofane ti mostrano la loro nuca (rispetto alla fronte che affacciano sulla valle di Cortina), davanti a te un vallone immenso con larghe chiazze di neve in qualunque stagione dell’anno. Più lontane, verso ovest, il Sella e la Marmolada con il suo ghiacciaio perenne, dietro di te, se ti volti verso l’abisso dal quale sei salito appeso al filo, il Civetta, il Pelmo, e sotto, quasi piccole e poco distinguibili perché le stai guardando dall’alto, le Cinque Torri. 
Quando ti sei ubriacato a sufficienza di aria, di spazi, di panorami e di forze della natura senza limiti, puoi cominciare a scendere lungo il sentiero che cala a destra, sotto la cresta principale. E lì comincia un’altra montagna, fatta di storia, di vite umane, di armi, di uomini al freddo e al gelo, di assurdità programmatica e lucida, di strenua difesa del tutto e del nulla.
Trovi quasi subito le prime gallerie. Puoi entrarci, soprattutto se hai una torcia perché naturalmente sono buie. Ed entri letteralmente dentro la roccia, perché nessuna di queste è una galleria naturale, sono proprio quelle scavate dai soldati a colpi di dinamite e piccone. Un lavoro pazzesco, svolto in condizioni che puoi facilmente immaginare, anche se sei un turista che arrivi lì con tutti i comfort possibili. Freddo, neve, vento, vestiti inadeguati, mani che si spaccano, schegge di roccia, esplosioni, armi che si inceppano, arnesi che si frantumano.


Fra quelle montagne ti rendi conto di quanto l’uomo possa aver lasciato un segno perenne in quegli anni feroci, e al tempo stesso di quanto le montagne vivano in un tempo totalmente diverso, tanto più lungo e più ampio nei suoi movimenti e nelle sue dimensioni da sentire quelle ferite niente più che come punture di zanzara sulla pelle di un dinosauro. Da queste parti la Grande Guerra non ha soltanto lasciato il segno, è proprio qui che ha avuto il suo vero svolgimento, le sue epiche battaglie, il suo epilogo e le sue conseguenze indelebili. La seconda guerra mondiale, tanto altrettanto terribile, ci è passata molto più di striscio. Non era un vero fronte di guerra, e quindi ha avuto la sua occupazione, le sue storie locali di fascisti, di ruffiani che fraternizzavano con i nazisti, di spioni e di partigiani, soprattutto quelli che si venivano a nascondere nei boschi e sui monti. Le famose staffette partigiane, donne bellissime e fatte di roccia che biciclettavano fra i monti, vengono da qui. Ma molto altro arrivava da più lontano, le follie del piccolo nuovo imperatore che da sbraitava da un balcone di Roma, le atrocità naziste in giro per l’italia. 
(…)


Nel pieno della Grande Guerra invece, le dolomiti d’Ampezzo divennero uno dei fronti più caldi, più strategici e più logisticamente folli dell’intero conflitto. L’esercito italiano avanzava da sud, a conquistare una valle dopo l’altra per raggiungere la Val Badia e la Val Pusteria, avamposti del Brennero, il vero punto di confine, come lo è ancora oggi. Ma lì, proprio dalle parti del Falzarego, si dovettero fermare.  Lì c’era il fronte austriaco.  Chissà quanti avranno visto su di un plastico con i trenini elettrici una tipica chiesetta alpina, bianca con il mattonato scuro agli angoli, con la forma svasata verso il basso, il tetto in legno. Talmente tipica da sembrare un modello immaginario. Chissà quante volte sarà capitato di vederla in una scatola di montaggio in un negozio di modellismo. Negozi che una volta erano molto più frequenti, ma dei quali ancora oggi qualcuno è sopravvissuto, per gli appassionati. Bé, è proprio lì. Al Passo Falzarego c’è proprio quella chiesetta. Vai a sapere se lei è il modello per tutte le riproduzioni venute poi, o se quella è stata costruita proprio tenendo in conto i modelli già famosi. Comunque è quella, perfetta. Di sicuro perché lì c’era una croce, un luogo dove pregare, e dove chissà quanti hanno pregato una volta arrivati lì. Per esserci arrivati vivi, per sperare di restare vivi dopo quello che lì li attendeva, o per altre migliaia di motivi, tutti validi e tutti giusti.

Lì, poco più avanti, o meglio ancora da lì in poi, c’era il fronte austriaco.

E lì si andò formando la più vasta e pazzesca contrapposizione di fronti di guerra che l’insaziabile voglia di combattimento dell’uomo abbia mai prodotto, almeno in questa parte di continente. 
Gli attacchi di superficie si rivelarono ben presto inutili e dispendiosi. Così si iniziò a scavare gallerie. Per sorprendere il nemico nel cuore del suo terreno, per scavalcare passaggi controllati e pericolosi. Per prendersi il territorio da sotto, come talpe, come clan di marmotte in lotta fra loro per il pascolo migliore.
Scavavano gli italiani, e scavavano gli austriaci. Dalle Tofane al Lagazuoi, oltre il Falzarego fino alla Marmolada. Tutte le dolomiti erano il fronte, e ad esplodere e scavare ci si intrecciava, ci si sorpassava, e si arrivava all’assurdo di luoghi come la Cengia Martini, proprio sul frontale a picco del Lagazuoi, dove gallerie italiane e austriache si scavalcano e si superano l’una con l’altra, lungo un fronte che non ha più un nord e un sud, ma solo le gallerie di un esercito intrecciate con quelle dell’altro.
Qui si realizzava l’altro stato permanente di sicurezza e angoscia contemporanee che questo sistema inevitabilmente comportava. Lo scopo principale delle gallerie era riuscire ad arrivare sotto il fronte avversario e farlo saltare. Così, insieme al senso di sicurezza che le grotte costruite con le proprie mani donavano, al riparo dal freddo e dai proiettili, era costante il terrore che da un momento all’altro i nemici facessero saltare in aria con la dinamite il tuo rifugio. Si viveva, in quelle grotte, sentendo i tonfi e i colpi dell’altro esercito che scavava, che chissà in questo momento dove si trovava, chissà se stava già piazzando una mina che fra poco ti avrebbe seppellito per sempre insieme alla roccia. E se proprio doveva saltare, che ti uccidesse sul colpo e non ti facesse la carognata di mantenerti vivo a morire di fame e di freddo dentro il cuore di una montagna.
Di fronte al Falzarego, il fronte delle Cinque Torri era l’altro punto davvero strategico della zona, perché una volta entrati nella logica della follia secondo la quale luoghi come questi potevano essere teatro di guerra, allora quello era davvero un punto strategico. Lo conquistarono gli italiani, all’inizio dell’estate del millenovecentoquindici. Lo mantennero e lo dotarono di attrezzature, telegrafo, postazioni. Da lì si dominava tutto il Lagazuoi, si potevano cogliere gli spostamenti, le aperture di gallerie, la disposizione dei nemici. Lì accadeva qualcosa che riuniva perfino la propensione all’arte con il genio militare, entrambi sublimi e scellerate virtù dell’uomo, come secoli prima aveva fatto Leonardo con le sue invenzioni truculente per le macchine da guerra dei Signori del Rinascimento. Lì fotografi e disegnatori passavano la giornata a riprodurre la montagna che avevano di fronte, per cogliere, giorno dopo giorno, ogni eventuale cambiamento in una cengia di roccia, in un costone, nella disposizione di un ghiaione. Perché un minimo cambiamento del paesaggio da un giorno all’altro, in un luogo che conosce i tempi geologici e non quelli umani, significava che l’esercito nemico aveva fatto qualcosa. Aveva magari aperto un nuovo tunnel, aveva spostato dell’artiglieria, stava predisponendo un nuovo fronte.
Nessuno potrà mai dire quanto quegli uomini abbiano penetrato la natura e le forme di quei monti fino all’inverosimile, fino alla nausea, fino a potersi accorgere anche solo ad uno sguardo se uno fra i milioni di sassi che li compongono aveva cambiato posizione, o era rotolato giù, o si era imbiancato per la neve.


Alle Cinque Torri portarono l’artiglieria pesante. Cannoni provenienti dalla marina che sparavano palle da trenta centimetri di diametro. Cannoni giganteschi, e c’è solo da immaginare cosa sia significato portarli lassù. Ora alle Cinque Torri ci arrivi con una seggiovia, volo meraviglioso e silenzioso fra gli abeti fino ad atterrare sul piano che si stende ai piedi dei grattacieli di roccia dove non mancherà mai qualche alpinista ad allenarsi aggrappato ai chiodi. Alpinisti veri, come i tanti che questi luoghi hanno prodotto, e alpinisti meno veri, aggrappati alle rocce più per moda e col sostegno della tecnologia che per l’autentica, rispettosa sfida alle montagne eterne che la scalata ha rappresentato per secoli.
Allora si saliva a piedi, si trascinavano a piedi, e con gli incredibili muli, i pezzi delle artiglierie destinati a puntare la montagna di fronte e a cannoneggiare il nulla.
La forza brutale dei cannoni era destinata ad avere la meglio sulle strategie e sulle protezioni, perfino su quelle naturali. A furia di colpi, mirati coi goniometri e messi a punto prove dopo prove e tonnellate di proiettili persi, l’esercito austriaco fu costretto ad abbandonare una delle sue postazioni privilegiate, il Forte tre Sassi sulla Valparola. 
Non fu così per il Lagazuoi. La sconfinata parete di roccia di fronte alle Cinque Torri conosceva solo le ere geologiche, e solo a quelle poteva sottostare. 
I due fronti restarono così in un arrocco permanente, intrecciati fra le gallerie, conquistando una roccia e perdendone un'altra, fino al novembre del millenovecentodiciassette, quando arrivò Caporetto.
La disfatta più proverbiale di tutta la storia patria pose fine drasticamente al gioco perverso in scena da anni sulle montagne dolomitiche. 
Anche a Caporetto fu questione di trincee. Lì, per alcune mosse da manuale del vincitore da un lato e da manuale del perdente dall’altro, il fronte italiano si trovò all’improvviso con il fronte austriaco alle spalle. Sorpassato mentre difendeva il nulla, e accerchiato nella posizione che doveva difendere. Per definizione, due fronti contrapposti che non sono più uno di fronte all’altro non sono più fronti. Divennero in una giornata un esercito circondato dall’altro, senza più riferimenti, senza un davanti e un dietro, e senza via di fuga.
Sui monti Ampezzani invece, la natura di guerra sotterranea che era stata fino a quel momento rappresentò anche la parziale salvezza. A seguito della disfatta, l’esercitò italiano si ritirò anche dal Falzarego lasciando le gallerie del Lagazuoi. E poté ritirarsi, protetto dalle stesse pareti di roccia che aveva scavato per infilarsi sotto il nemico. Gli intricati tunnel rimasero in mano agli asburgici, tanto che a loro si devono le dettagliate piantine delle gallerie di entrambi gli eserciti che ancora oggi fanno testo storico per comprendere il reticolato di trincee che quelle superiori e probabilmente indifferenti montagne dovettero subire.
Come vuole la storia, la Grande Guerra verrà poi vinta, e Caporetto e tutte le ritirate del diciassette verranno parzialmente cancellate da una grande vittoria nazionale e continentale.
Per la storia di queste montagne i vincitori e i vinti hanno invece poca importanza. Importa molto, piuttosto, l’immensità di queste rocce, il loro essere salite dal mare milioni di anni fa sotto spinte spaventose ed essersi innalzate verso il cielo nelle forme e nelle dimensioni più straordinarie e irripetibili, avere aperto le valli destinate ad ospitare i paesi e le cittadine, i pascoli, i boschi, i laghi aperti come occhi blu fra le cime, e di certo, perché no, anche avere sopportato la dinamite e le cannonate della follia umana per giungere fino a qui con le loro forme ancora intatte, con le discese verdi d’estate e innevate d’inverno (…).

Alessandro Borgogno

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/

Alessandro Borgogno
Vivo e lavoro a Roma, dove sono nato il 5 dicembre del 1965. Il mio percorso formativo è alquanto tortuoso: ho frequentato il liceo artistico e poi la facoltà di scienze biologiche, ho conseguito poi attestati professionali come programmatore e come fotoreporter. Lavoro in un’azienda di informatica e consulenza come Project Manager. Dal padre veneto ho ereditato la riservatezza e la sincerità delle genti dolomitiche e dalla madre lo spirito partigiano della resistenza e la cultura millenaria e il cosmopolitismo della città eterna. Ho molte passioni: l’arte, la natura, i viaggi, la storia, la musica, il cinema, la fotografia, la scrittura. Ho pubblicato molti racconti e alcuni libri, fra i quali “Il Genio e L’Architetto” (dedicato a Bernini e Borromini) e “Mi fai Specie” (dialoghi evoluzionistici su quanto gli uomini avrebbero da imparare dagli animali) con L’Erudita Editrice e Manifesto Libri. Collaboro con diversi blog di viaggi, fotografia e argomenti vari. Le mie foto hanno vinto più di un concorso e sono state pubblicate su testate e network nazionali ed anche esposte al MACRO di Roma. Anche alcuni miei cortometraggi sono stati selezionati e proiettati in festival cinematografici e concorsi. Cerco spesso di mettere tutte queste cose insieme, e magari qualche volta esagero.


salsiccia party

tenete alla larga i bambini da questo Porno cartone.


Salsiccia party: Il Porno cartone dedicato ai BAMBINI. Un’altro regalo alla RETE DI PEDOFILI!!


Il 31 Ottobre scorso è uscito nelle sale cinematografiche nostrane un Porno-Cartone animato americano, dal titolo: “Salsiccia Party!”.
Negli USA, uscito nel 2014, era ritenuto un cartone animato riservato agli adulti. Difatti è stato vietato ai minori di 17 anni NON ACCOMPAGNATI. Quindi i minori, di qualsiasi età, accompagnati, potevano assistere alla proiezione. Perfetto per il pedofilo che porta la sua vittima al cinema. Oltrepassato l’oceano e arrivato in Europa i divieti si fanno più morbidi.

In Francia, uscito pochi giorni fa, è stato vietato ai minori dei 12 anni. In Svezia è stato vietato addirittura ai minori di 7 anni. 
Per quanto riguarda l’Italia non abbiamo trovato alcun divieto.[1] Chi è andato a vederlo l’ha sconsigliato ai bambini, quindi presumiamo che non ci siano divieti.

Un cartone animato basato solo ed esclusivamente sul SESSO con immagini esplicite da far guardare ai bambini. Il solito progetto dei pedo-criminali che cercano di far cadere qualunque barriera per rendere una società sempre più libertina e disinibita. Fa paura che non viene riportato da alcuna parte la presenza di immagini esplicite di sesso. Dei bambini non possono guardare queste immagini. E’ come una trappola. 

Un articolo molto interessante da leggere è il seguente Sausage party : partouze et bisexualité pour tous all’interno del quale è presente un video che fa vedere le varie scene di sesso presenti nel porno-cartone. Ribadiamo che non figura alcun divieto in Italia. Un sito di denuncia della pedofilia ha dedicato un articolo su questa MERDATA Sausage Party | Le dessin animé pornographique pour les 12-18 ansEcco alcuni ferma immagine di questa porcata dedicata ai BAMBINI!! Solo dei criminali potevano creare questa mostruosità. Com’è possibile che sia uscito nelle sale un cartone del genere dedicato ai BAMBINI?? Rapporti omosessuali, orge, masturbazioni, rapporti orali, strusciamenti ecc… Questa schifezza non dovrebbero manco produrla. Il declino dell’occidente sembra oramai irrefrenabile! Stanno causando danni irreparabili grazie al nostro maledetto menefreghismo e alla nostra stupidità.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

Allusioni, doppi sensi… 

 
 
 
 
 






[1]in Italia “per i forti contenuti sessuali, il linguaggio provocatorio e l’uso di droghe” la pellicola ha ricevuto la classificazione "R" (vietato ai minori di 14 anni non accompagnati da un adulto)https://it.wikipedia.org/wiki/Sausage_Party_-_Vita_segreta_di_una_salsicci  quindi tenete alla larga i bambini

Fonte tratta dal sito .

fonte: http://wwwblogdicristian.blogspot.it/