23/09/18

l'omicidio massonico parte 7. Come si occulta la verità


E cenni sull’omicidio di Carmela Rea.

1. Premessa. 2. L'omicidio di Carmela Rea. 3. Le tecniche di depistaggio. 4. I periti. 5. Gli avvocati. 6. I magistrati. 7. Polizia e Carabinieri. 8. I criminologi. 9. I mass media. 10. Conclusioni.

1. Premessa.

E’ ormai qualche anno che cerco di studiare i delitti rituali della Rosa Rossa e una delle cose che ho cercato di capire di più era come facessero a depistare sistematicamente tutte le indagini.
Che la Rosa Rossa abbia in mano tutta la stampa, la magistratura e gli organi di polizia è evidente; ma è altrettanto evidente che il controllo di questi organi avviene non per cooptazione diretta, ma indiretta e inconsapevole. Non è possibile, infatti, che tutti gli avvocati, gli investigatori, e i giornalisti che se ne occupano siano dentro alla Rosa Rossa, anche perché nella stragrande maggioranza dei casi non hanno né l'intelligenza né la cultura per far parte di un'organizzazione del genere.

In altre parole, la maggior parte degli inquirenti, dei giornalisti e dei magistrati ignora cosa sia la Rosa Rossa e in genere non ne sospetta neanche l'esistenza.
Dopo qualche anno, dopo colloqui con carabinieri, poliziotti, periti, magistrati, giornalisti, cameramen, la risposta mi è chiara e può tracciarsi una sorta di schema, seguito ogni volta per ogni delitto.
Partiamo dall’esempio di Carmela Rea, morta di recente.
Le dichiarazioni dei criminologi intervenuti sono talmente demenziali che mi hanno ispirato questo articolo per spiegare i meccanismi di un’indagine, a grandi linee.

2. L’omicidio di Carmela Rea.

In quest’omicidio risultano chiaramente rituali sia la data della morte, sia il nome della donna, sia i riferimenti e le immagini mandate in TV. Per i lettori di questo blog tutto ciò è cosa nota quindi mi soffermo su altri particolari.
La cosa che colpisce sono le idiozie dette dai criminologi nei vari programmi TV.
E la domanda è: come è possibile che nessuno ci arrivi? Che nessuno colleghi? Che nessuno sospetti qualcosa di più?
E come è possibile dire una quantità di idiozie, come quelle che normalmente dicono i criminologi, puntualmente sempre gli stessi invitati a queste trasmissioni?
La donna è scomparsa nel pomeriggio e il cadavere è stato ritrovato solo in seguito, mentre la data della morte è quella probabilmente del giorno successivo, tra la mezzanotte e le due.
Il cadavere è stato ritrovato privo del sangue (cosa tipica di tutti i delitti rituali) il che significa che l’omicidio è avvenuto in zona diversa dal ritrovamento. La donna ha subito 35 coltellate e sul corpo ci sono anche dei segni esoterici incisi.
A fronte di queste evidenze, c’è da domandarsi come si fa a sostenere la tesi del serial killer o del delitto passionale.
Carmela infatti stava facendo una gita col marito e si è allontanata per un solo momento; dovremmo supporre che il presunto amante l’abbia stordita e portata in un altro luogo, oppure – ipotesi ancora più inverosimile – l’abbia convinto a seguirla. Lì l’abbia uccisa dopo poche ore e poi abbia portato il cadavere in un altro luogo, rischiando di essere scoperto, o fermato. Inoltre resterebbe da capire perché questo presunto amante l’abbia uccisa con 35 coltellate, alcune sferrate anche dopo la morte.
In realtà analizzando i pochi dati che ci hanno evidenziato i giornali (dati che spesso sono falsi, questo occorre dirlo, ma qui partiamo dal presupposto abbastanza improbabile che siano veri) risulta chiaro che la persona è stata uccisa con premeditazione, e probabilmente l’uccisione in un posto per poi trasportare il cadavere in un altro ha un significato ben preciso, ben diverso da quello che ha in un delitto seriale o passionale.
Peraltro, ad escludere il delitto passionale dovrebbe bastare la svastica nazista che - sempre stando a quel che dicono i giornali - sarebbe stata incisa sul corpo della donna; e sarebbe da prendere in considerazione il fatto che il corpo è stato ritrovato il 20 aprile, proprio il giorno del compleanno di Hitler.
Ma è ovvio che la verità anche questa volta non verrà mai a galla.
Cercherò di spiegare allora come funziona il meccanismo investigativo in questi casi, e come sia possibile arrivare a simili livelli di demenzialità nelle trasmissioni che si occupano della vicenda.

3. Le tecniche di depistaggio.

Per capire come si depistano le indagini in un delitto qualsiasi occorre tenere presente che l’analisi della scena di un delitto avviene in più fasi.
In un primo momento interviene generalmente la squadra volante della polizia, che fa un primo sopralluogo, con o senza il magistrato di turno. La volante fa un primo rapporto (talvolta a seconda delle zone possono intervenire i carabinieri).
Dopodiché il caso passa a chi se ne occuperà realmente; in polizia la squadra mobile. Oppure se è intervenuta per prima la caserma x dei carabinieri, il caso può passare ad una stazione diversa.
Le indagini poi sono dirette dal magistrato, e a condurre le indagini non sempre sarà quello di turno.
E poi abbiamo i periti.
Ecco quindi che l’analisi della vicenda può essere fatta da tanti soggetti diversi, con competenze diverse, e idee diverse.
Spesso è sufficiente che un solo elemento di questa vicenda sia nelle mani dell’organizzazione perché tutta l’inchiesta ne risulti inquinata e sia nell’impossibilità di proseguire correttamente.
In altre parole, non c'è bisogno di tenere sotto controllo tutti coloro che partecipano a vario titolo alle indagini, ma è sufficiente assicurarsi una complicità in uno o due punti chiave di tutta l'operazione.


4. I periti.

Il perito ha un ruolo chiave in tutta la vicenda. Il burattinaio di questi delitti infatti si assicura sempre che la perizia sia svolta o da un incompetente o da una persona interna all’organizzazione.
Se il perito stabilisce, ad esempio, che è perfettamente normale che un avvocato di 40 anni si suicidi con una calza da donna al termosifone, come l’avvocato Silvia Guerra di Macerata, il caso è chiuso.
Se il perito stabilisce, come è capitato, che è perfettamente normale che una donna si infili un coltello nel torace e non esca una goccia di sangue, il caso è chiuso. Suicidio.
Se il perito stabilisce – come nel caso di Niki Aprile Gatti – che è possibile suicidarsi con un laccio da scarpe, allora il caso è chiuso. Suicidio.
Se il perito stabilisce che ci si può suicidare con una balestra, come nel caso di Stefano Anelli, il caso è chiuso.
Se il perito stabilisce che ci si può suicidare in una doccia, come l’avvocato Antonio Colelli, il caso è chiuso.
A formare dei periti incompetenti concorre una letteratura che spesso è fuorviante; in un manuale di medicina legale, scritto da un magistrato (e non da un medico legale) e con prefazione di Pier Luigi Vigna, ad esempio, si trova scritto che è perfettamente normale che una persona si suicidi con le ginocchia che toccano terra; se poi sul corpo si troveranno dei lividi, contusioni, botte, ecc., ciò è dovuto al fatto che spesso il suicida si agita e sbatte ripetutamente contro il muro.
In altre parole, i periti che si berranno acriticamente queste idiozie, se sono poco intelligenti ripeteranno queste formulette.
I periti più bravi verranno comprati.
E quelli che non si adegueranno verranno uccisi (come Luciano Petrini, che stava facendo la perizia sulla morte del colonnello Ferraro, che si sarebbe impiccato ad un portasciugamani, a colpi di portasciugamani).
Credo ad esempio che almeno la metà dei periti che quotidianamente ci ammorbano in TV con la loro teorie assurde siano in buona fede. Molti di essi infatti appena parlano dimostrano di essere talmente incompetenti che è assai probabile che credano davvero alle idiozie che dicono. Alcuni, invece, sono dotati di grande intelligenza, come Francesco Bruno, e sono menti raffinatissime (per usare un termine di falconiana memoria). Difficile pensare che costoro caschino dal pero e non sappiano come funziona il sistema.
Anzi, probabilmente è tra alcuni di loro che si devono cercare i mandanti di certe operazioni.

5. Gli avvocati.

L’altro elemento importante per il depistaggio sono gli avvocati. Mi sono sempre domandato dove prendessero i soldi le famiglie delle vittime per farsi difendere da avvocati del calibro di Taormina, o, come nel caso di Avetrana, dall’avvocato Coppi, che è uno dei penalisti più affermati d’Italia, una cui consulenza può costare come un appartamento.
Il punto è questo.
Se l’avvocato è bravo dopo un po’ capisce il sistema e può anche arrivare alla verità.
Non a caso nella categoria degli avvocati c’è un’elevata mortalità e un alto tasso di suicidi. Tra il 2009 e il 2010 ricordo i nomi di Silvia Guerra, Antonio Colelli, Monica Anelli, Giacomo Cerqua, Massimo Buffoni, l'onorevole Fragalà, e molti altri, tutti morti in circostanze talmente assurde che nessuno crede al suicidio o all’omicidio (nel caso di Monica Anelli sarebbe stata uccisa dallo zio con una balestra).

Negli anni passati invece ricordiamo l'avvocato Masi, ucciso a Teramo a colpi di mannaia insieme alla moglie, o l'avvocato Cipolla, ucciso a Palermo a colpi di Roncola.
Nella maggior parte dei casi gli avvocati non riescono a capire il meccanismo in cui sono inseriti.
Quando iniziano ad intuire qualcosa vengono fatti fuori.
Non a caso gli incidenti a me e Solange, e i primi tentativi di eliminarci, sono avvenuti quando iniziavamo ad avvicinarci alla verità. E i primi tentati omicidi ai nostri danni sono stati compiuti ad opera probabilmente delle stesse persone che ci facevano il servizio di protezione, gli agenti della Digos. Se non da loro direttamente, comunque certamente con il loro aiuto e con la loro complicità, consistita nella sparizione di documenti, nel voluto depistaggio, nelle omissioni, ecc.
Attualmente nel mio studio legale siamo in 5, e da poco a Solange si è aggiunta un’altra persona che è scampata alla morte per un pelo sol per aver capito troppo.
Gli avvocati direttamente coinvolti nel sistema e direttamente aderenti alla Rosa Rossa o organizzazioni simili non sono molti e in genere intervengono solo in processi di rilevanza nazionale o internazionale. Quei pochi però si spartiscono la maggior parte dei processi importanti di rilevanza mediatica e spesso contattano la vittima offrendosi gratuitamente; in genere la vittima e i familiari non rifiutano, ritenendo in tal modo di essere tutelati e anzi ritenendosi pure fortunati.
In conclusione, gli avvocati in genere non hanno la preparazione per capire il fenomeno davanti a cui si trovano, il che avviene nel 90 per cento dei casi.
Se cominciano a capire vengono uccisi o estromessi dal processo.
E in genere i processi più importanti sono appannaggio di avvocati interni all'organizzazione.


6. I magistrati.

Quanto ai magistrati il problema è simile a quello degli avvocati; spesso (anzi, quasi sempre) non hanno alcuna competenza specifica, quindi in genere si fidano degli ufficiali di PG addetti al loro ufficio.
Un magistrato diventa tale solo perché ha superato un concorso in cui studia tre materie (diritto civile, penale e amministrativo), senza alcuna attinenza con la realtà, senza aver fatto alcun corso di investigazione, e senza sapere nulla di ritualità, organizzazioni esoteriche, ecc.
Dopodiché, dopo anni passati a occuparsi di traffico di droga, furtarelli e altri reati minori, incappa nel delitto rituale.
Ecco come possono prodursi aberrazioni come quelle capitate all’epoca del serial killer Minghella, uccisore di prostitute, che scriveva la parola “Rose” sulla schiena delle vittime. La parola fu attribuita ad un maldestro tentativo di attribuire i suoi delitti alle Brigate Rosse, e gli indizi di carattere rituale, in tal caso evidenti come un elefante in giardino, non sono stati visti da nessuno.
In linea di massima il 50 per cento dei magistrati non conosce neanche la differenza tra Massoneria e P2 e fa di tutta l’erba un fascio.
Il restante 40 per cento è in massoneria, quindi conosce la massoneria in sé, ma aderisce alle obbedienze regolari ed ufficiali, Grande Oriente d’Italia, Gran Loggia Regolare, Cavalieri di Malta, non conosce la differenza tra Massoneria e organizzazioni esoteriche, massoniche o paramassoniche; solo un 10 per cento (in genere i magistrati che rivestono le funzioni più importanti e che si occupano dei casi più importanti all’interno di un tribunale) conoscono perfettamente il sistema. Ma quelli, per ovvi motivi, non lo combatteranno mai e sono posti a dirigere procure e tribunali al fine di assicurare il corretto funzionamento (non della giustizia ma) del sistema.
I pochi magistrati che lavorano davvero per arrivare alla verità vengono destituiti, trasferiti, o uccisi.
Ma si tratta di eccezioni.
In linea di massima è l'ignoranza del magistrato che garantirà la totale impunità all'organizzazione.


7. Polizia e Carabinieri.

La maggior parte degli ufficiali di Polizia e Carabinieri hanno un grado di scolarità bassissimo. Mal pagati e mal addestrati, e mal aggiornati, non sanno nulla di simbolismo, sette segrete ecc. Basti pensare che a Firenze la sezione antisette ha un organico, se non ricordo male, di due persone o tre. Due persone che dovrebbero quindi indagare su tutto ciò che ruota attorno all’Ordo Templi Orientis, Golden Dawn, Rosa Rossa, ecc… Più o meno come combattere la CIA con una fionda.
In alcune città, come Viterbo, non esiste neanche un settore antisette perché, si sa, le sette non esistono, e se esistono sono innocue, come garantisce il famoso esoterista Massimo Introvigne (il quale ha la biblioteca esoterica più grande del mondo, 50.000 volumi; quindi, in sostanza, è uno che si occupa di un fenomeno che non esiste).
Ma l’ignoranza abissale in cui versano poliziotti e carabinieri è il miglior modo per renderli servi docili del sistema. I pochi che svolgono indagini serie dopo un po’ vengono allontanati, uccisi, o mobbizzati.
Ricordiamo ad esempio che i poliziotti che avevano indagato sulla banda della Uno Bianca, individuando i fratelli Savi, furono trasferiti per punizione.
A Viterbo un’ispettrice di polizia troppo ligia al dovere prima è stata trasferita varie volte; a Natale del 2007 spararono contro la vetrina del negozio del marito e poi ebbe un incidente in auto (malfunzionamento improvviso e inspiegabile dei freni) che le causò un forte stress e che l’ha messa definitivamente fuori gioco. Inutile dire che, anche tra i suoi colleghi, quelli che vedono la coincidenza tra i vari eventi sono pochissimi; molti, più che altro per ignoranza, non mettono in collegamento i fatti e ritengono il tutto frutto di una cattiva manutenzione dell’auto.
Il commissario Giuttari, che era andato un po’ troppo avanti nell’individuazione del livello ulteriore oltre a Pacciani, nei delitti del Mostro di Firenze, fu messo ad ammuffire al servizio ispettivo del ministero e anche condannato penalmente. E così via.
Infatti, anche se dopo qualche mese io e Solange ci accorgemmo che i tentati omicidi ai nostri danni erano effettuati con la complicità delle persone che dovevano in teoria garantire a Solange un servizio di “protezione”, abbiamo sempre pensato che abbiano fatto tutto ciò senza sapere assolutamente cosa facevano e perché.
Il funzionario Digos che dopo l’avvelenamento di Solange interrogò me e Solange cercando di costringerla a confessare che si era avvelenata o drogata da sola con la mia complicità per farsi pubblicità, era infatti talmente ignorante che non poteva certamente sapere cosa stava facendo. Ricordo che durante il colloquio, mentre spiegavo al funzionario che il padre di Solange era affiliato al Grande Oriente d’Italia, mi chiese “ma cos’è il Grande Oriente d’Italia?”. Era ovvio cioè che lui stava facendo il suo lavoro, su mandato di altri, ma era totalmente inconsapevole dell’ingranaggio in cui era inserito. E non riusciva neanche a capire di cosa parlassi.
Forse, chissà, pensava pure di fare una cosa utile alla nazione, cercando di smascherare due rompicoglioni come me e Solange, con manie di protagonismo.
Tempo fa ho parlato con un ufficiale dei carabinieri che mi spiegava come spesso ricevono ordini dall’alto per effettuare questo o quell’arresto anche in mancanza di prove concrete; e lo hanno allontanato dal servizio perché in genere cercava di opporsi.
Un altro funzionario di polizia, oggi in pensione, mi disse che gli era stato ordinato di fare una cosa illegale, per la quale poi fu addirittura additato su vari giornali come un depistatore. Da quel giorno è andato in pensione e si è ritirato a vita privata.
In altre parole, per polizia e carabinieri vale lo stesso meccanismo dei magistrati e degli avvocati. L'ignoranza totale sarà l'alleata più fedele dell'organizzazione.
Nell'eventualità che il poliziotto inizi a capire qualcosa, verrà trasferito o, in casi estremi, ucciso, facendo passare l'omicidio per un suicidio, ovviamente. La stupidità, la paura, l'ignoranza dei colleghi attorno a lui, farà sì che nell'ambiente non si avrà il minimo sospetto, e quelli che sospetteranno staranno zitti perché, in fondo, loro devono sempre mantenere la famiglia.


8. I criminologi.

I criminologi svolgono un ruolo chiave in tutta la vicenda.
La letteratura criminologica di base, ad esempio, non considera mai il problema delle sette. Le sette, se ci sono, sono composte da sbandati disorganizzati.
Le organizzazione esoteriche più diffuse non sono neanche menzionate.
In molti manuali di criminologia ho addirittura trovato scritto che veri e propri delitti satanici, nel mondo, non se ne sono mai registrati (ignorando quindi a bella posta anche casi famosi e ufficiali come quelli di Sharon Tate o delle Bestie di Satana).
Il delitto esoterico e/o rituale, invece, non è neanche menzionato. Come abbiamo già evidenziato in passato, il più diffuso manuale di classificazione dei crimini, ovverosia il manuale ufficiale di studio alla FBI, non conosce la voce “delitto rituale” (cioè non conosce il delitto più frequente nella nostra società) ma in compenso conosce quello dell’ “omicidio sessuale di donna anziana” (che è statisticamente rarissimo).
Basti pensare che nei delitti del Mostro di Firenze molti “esperti” continuano a proporre il profilo steso a suo tempo dall’FBI, che indicava in un serial killer isolato l’assassino, e ignorano invece il rapporto che stese Francesco Bruno (che parlava di delitti esoterici).
Se poi qualcuno fa cenno ad elementi esoterici, si prendono in considerazione falsi elementi; nei delitti del Mostro di Firenze si presero come indici di un delitto esoterico le famose piramidi tronche trovate sul luogo di alcuni delitti, e non tutti gli altri indizi più importanti (nomi delle vittime, date, posizione dei pianeti, nomi dei luoghi, ecc.)
Ad esempio nel delitto di Carmela Rea, se non vado errato, la zona dell'omicidio è vicina al Monte di Rosara e al Dito del Diavolo, mentre il luogo del ritrovamento credo si chiami "Montagna dei Fiori".
Nella vicenda Rea, uno dei soliti esperti intervistati, Massimo Picozzi, che finora è l'unico ad aver parlato di un delitto rituale, si è affrettato ad aggiungere "delitto rituale sì... ma di una sola persona".
Una sola persona così forte da poter rapire da sola Carmela, e poi riportarla da morta in un luogo distante 18 km da quello del ritrovamento. Un superman insomma.
In conclusione, tra i criminologi le persone davvero ignoranti sono poche, perché, dopo qualche anno, a meno che il soggetto non sia poco intelligente, comincia a capire che qualcosa non quadra nelle teorie criminologiche più diffuse, e inizia a farsi qualche domanda in più.
Ho parlato con un medico legale che reputo molto in gamba, il quale mi ha detto: "vedi Paolo, quando i giornali parlano di un suicidio con una busta di plastica in testa, è al 100 per cento un omicidio. Quando parlano di un suicidio e la persona tocca con le ginocchia per terra, è al 90 per cento un omicidio. Ma la maggior parte dei miei colleghi ha paura, oppure è stupida, e crede davvero alle stronzate che gli dicono di dire".


9. I mass media.

Il ruolo dei mess media è ovviamente il più delicato. Anche qui però la maggior parte dei giornalisti o cronisti sono inconsapevoli del reale sistema che c’è alla base.
La maggior parte dei giornali si limita a riportare pedissequamente le veline che le questure selezionano personalmente.
I pochi giornalisti che fanno realmente un’inchiesta dopo un po’ vengono minacciati, esclusi, allontanati.
La maggior parte dei giornalisti, quindi, scrive solo quel che i padroni impongono e non rischia più di tanto.
La prima volta che un giornalista si avvicina ad un delitto rituale, poi, non è mai in grado di riconoscerlo, e neanche le successive. Per farlo dovrebbe essere un esperto di esoterismo, cosa che la maggior parte dei giornalisti non è.
A meno che, ovviamente, non faccia parte del sistema, nel qual caso non c’è pericolo che scriva davvero la verità.
Le persone coinvolte a pieno titolo nell’organizzazione sono solo i giornalisti che si occupano in modo sistematico di tali delitti perché, a meno che non siano poco intelligenti, diventa impossibile dopo anni di giornalismo investigativo non fiutare una pista diversa e unitaria a fronte di una serie così incredibile di coincidenze in delitti troppo diversi da loro. Quelle sono spesso le menti dell’organizzazione stessa o comunque sono tra le persone con gli incarichi più importanti all’interno della Rosa Rossa.
Il risultato finale di questa combinazione tra ignoranza, paura e complicità, è che i mass media svolgono l'importantissimo ruolo di depistare l'opinione pubblica, focalizzando tutte le discussioni su punti secondari, inutili e depistanti delle vicende, e allontanarla dalle domande reali.

Nel caso di Carmela Rea, ad esempio, tra giornali e telegiornali ho ascoltato le seguenti bestialità:
- pista camorristica
- pista del serial killer o del movente passionale, entrambe basate sul nulla più assoluto quanto a indizi

Inoltre i giornali hanno dato i seguenti particolari:
- Carmela Rea aveva sofferto di depressione post partum (particolare assolutamente ininfluente per capire il movente di un omicidio);
- era una donna bellissima; particolare in teoria importante, ma solo dopo che si sia stabilito che effettivamente abbiamo a che fare con un serial killer, altrimenti il particolare è rilevante quanto il numero delle scarpe;
- in paese tutti la stimavano, si giravano a guardarla, e la coppia si voleva molto bene.

In compenso si trascurano i seguenti particolari:
- i numerosi indizi di ritualità;
- il fatto che il marito sia un militare e che il cadavere sia stato ritrovato in una zona militare; coincidenza non da poco, su cui si è soffermato solo il criminologo Francesco Bruno, sia pure con una teoria abbastanza inconsistente, all'acqua di rose (e il doppio senso non è casuale ma voluto);
- il fatto che il cadavere sia stato trovato in una zona militare; nessuno si domanda se non sia possibile, ad esempio, acquisire le riprese effettuate dai satelliti militari che monitorizzano continuamente le zone militari, per vedere se sia possibile individuare l'assassino (più probabilmente gli assassini) nel momento in cui ha lasciato il cadavere o addirittura nel momento in cui ha rapito la donna;
- il fatto che il rapimento sia avvenuto di giorno, e che il cadavere sia stato ritrovato a diversi km di distanza dal luogo del rapimento, indica la possibilità che l'operazione sia stata effettuata da un gruppo addestrato e organizzato, essendo quasi impossibile, e troppo rischioso, compiere tutto ad opera di una sola persona.

Ma questa ipotesi non è formulata da nessuno. Perché una simile ipotesi, se fosse formulata ufficialmente, porterebbe la gente a farsi delle domande troppo scomode e terribili. Quale gruppo ha un potere del genere, di poter uccidere impunemente facendola in barba alle autorità? E se questo gruppo fosse dietro anche ad altri omicidi?
Domande che nessuno si deve porre.
E a rincintrullire completamente lo spettatore, oltre alle cazzate dei soliti criminologi e alla musica da film (come se stessimo assistendo all'ultimo film di Dario Argento, e non ad una storia vera), oltre agli scenari da grande spettacolo tipico della TV, alle facce tristemente assorte dei conduttori che in realtà non vedono l'ora che l'organizzazione dalla quale dipendono, consapevolmente o no, regali loro un altro omicidio possibilmente più efferato possibile, contribuiscono le pubblicità e le demenzialità che intervallano questi programmi; Chi l'ha visto, Quarto Grado, Blu Notte, intervallano demenzialità criminologiche ad anteprime del prossimo Grande Fratello, pubblicità di prodotti di soia transgenici, dentifrici rigorosamente al fluoro, e magari anche un mutuo, rigorosamente Compass, ovviamente.
E lo spettatore, completamente rincoglionito, non si accorge che spesso i mandanti sono quelli che compaiono in TV e che il pubblico televisivo talvolta adora.


10. Conclusioni.

In conclusione, il sistema della Rosa Rossa e degli omicidi rituali si regge in piedi non perché la maggior parte dei poliziotti, giornalisti, magistrati, avvocati, sia effettivamente nella Rosa Rossa. Ma si regge per l'ignoranza, la stupidità, la paura, i soldi. Ciascuna delle persone chiamate a vario titolo in un'indagine, spesso conosce solo una minima parte della verità e non ha la minima idea del sistema in cui è inserito: qualcuno si limita ad insabbiare un particolare, qualcuno a taroccare una perizia, qualcun altro a seguire una pista anziché un'altra, senza però avere un quadro complessivo della vicenda.
L'ignoranza e la paura sono le due componenti più importanti del sistema in cui viviamo.

Fonte tratta dal sito .

fonte: http://wwwblogdicristian.blogspot.it/

14/09/18

Unità 731 - l'orrore dei campi di concentramento in Cina


Molte persone sono convinte di sapere tutto della Seconda Guerra Mondiale. Credono che nulla possa essere raccontato o che sia meglio in certi casi non ricordare cosa accadde.
Io sono fermamente convinta che abbiamo ancora molte lacune da colmare, molti episodi da portare all’attenzione di chi ha voglia di essere informato.
Durante una ricerca inerente una vicenda avvenuta ad Auschwitz nel 1944, mi sono imbattuta in un appunto che alla mia memoria non diceva nulla. Unità 731.  Per curiosità ho iniziato a cercare informazioni, a leggere quello che potevo, per capire chi e cosa si celasse dietro questa sigla.
Spesso parlando della Seconda Guerra, ricordiamo solo nazismo e fascismo, cioè Germania e Italia. Dimentichiamo il terzo grande alleato, il Giappone che non fu certo meno crudele dei propri alleati. Di quelli minori avremo modo di occuparci in altre occasioni, per dare un quadro completo dell’Asse Roma-Berlino-Tokyo.
Ma partiamo dai fatti che avvennero prima dello scoppio della guerra del 1939.
Il 19 settembre 1931 ebbe inizio l’invasione della Manciuria, vasta regione della Cina nord orientale, da parte dell’Armata del Kwantung, importante corpo dell’Esercito Imperiale Giapponese. La crisi fra le due nazioni si risolse momentaneamente con la tregua del 27 febbraio 1932, senza grandi scontri, quando i giapponesi decisero arbitrariamente di insediare il governo fantoccio di Manchukuo nelle zone occupate. La situazione rimase pressoché invariata fino al 7 luglio 1937, quando le truppe giapponesi decisero, inscenando un finto attacco da parte dell’esercito cinese presso il Ponte di Marco Polo, di riprendere l’invasione della Cina, dando il via al conflitto sino-giapponese, che si concluderà solo nel 1945.
Una volta preso possesso del territorio cinese, il governo imperiale giapponese diede  il nulla osta per la creazione del Laboratorio di Sperimentazione dell'esercito per la Prevenzione Epidemica, guidato dal generale Shirō Ishii. Con un gruppo di uomini specializzati, fu costruito il  primo campo di prigionia, Zhong Ma, situato nei pressi del villaggio di Bei-inho, a 100 chilometri al sud di Harbin, adiacente alla ferrovia della Manciuria meridionale, punto strategico per la comunicazione con tutta la regione. L’edificio principale del campo era conosciuto come laFortezza Zhongma. L’unità di ricerca che qui operava prese il nome di Unità Togo, che aveva il compito di coordinare gli studi biologici e chimici.
Nel 1935, la fuga di un gruppo di prigionieri cambiò drasticamente l’equilibrio che si era instaurato.  Il generale decise di spostare tutta la guarnigione in una zona più remota e sicura. Fu così che a partire dal 1936 e fino al 1945 divenne operativo il campo di Ping Fang, situato a 24 km a nord-est della città cinese di Harbin. Successivamente l’Unità Togo fu divisa in due sezioni, l’Unità Ishii e l’Unità Wakamatsu, con il comando centrale a Hsinking.
Nell'agosto del 1940 le diverse sezioni operative furono raggruppate nel Ministero della prevenzione epidemica e purificazione dell'acqua dell'esercito Guandong, più semplicemente conosciuta come Unità 731, agli ordini diretti del generale Shirō Ishii, medico esperto in batteriologia. Lo scopo ufficiale del gruppo era quello di ideare nuovi sistemi per la purificazione dell’acqua, ma in realtà, in via del tutto ufficiosa, l’incarico ricevuto riguardava lo studio e la sperimentazione di armi batteriologiche e biologiche, al fine di essere pronti e ben equipaggiati per una guerra batteriologica.
L’Unità era costituita da otto divisioni interne: la n° 1 – per la ricerca in materia di peste bubbonicacolera, febbre tifoidetubercolosi, con l’autorizzazione speciale ad impiegare soggetti umani per la ricerca, la n° 2 -  per lo sviluppo della guerra biologica da applicare sul campo, con particolare attenzione per la produzione di strumenti di diffusione di mezzi e parassiti per diffondere le malattie, la n° 3 –  per la produzione di munizioni contenenti materiale biologico, la n° 4 – per la produzione di agenti patogeni, la n° 5 – per il training del personale dell’unità, le n° 6 –7 – 8 – unità logistiche, mediche e amministrative, che mandavano avanti il campo.



La vera attività dell’Unità 731 doveva rimanere segreta, in quanto violava il protocollo di Ginevra del 1925, per altro ratificato dal Giappone solo nel 1970, anno in cui le suddette armi furono definitivamente messe al bando. Gli anni di maggiore operosità furono quelli fra il 1942 e 1945. Uno dei progetti dell’unità prendeva il nome di codice “Maruta”. Prevedeva appunto l’impiego di esseri umani per la sperimentazione, indicati cinicamente dal personale medico come “pezzi di legno”, in riferimento a come veniva ufficialmente chiamato il campo di fronte agli occhi del mondo, la “segheria”.
Migliaia di prigionieri, il numero esatto non fu facile stabilirlo, soprattutto cinesi, uomini, donne e bambini, finirono nel campo di Ping Fang. Ad essi si unirono anche mongoli, coreani, russi, alcuni inglesi e americani catturati durante il conflitto mondiale, che nel frattempo era scoppiato in Europa per poi diffondersi in tutto il mondo. Il bacino da cui attingere cavie umane era continuamente rifornito.
Secondo alcune fonti, le vittime dell’unità furono fra le 3000 e le 12.000, altre riportano fino a 200.000 individui.
Il generale Shirō Ishii era stato investito di un duplice compito ben preciso: sperimentare nuovi armibatteriologiche di offesa e trovare cure efficaci per i soldati giapponesi contagiati o feriti in battaglia.
La composizione completa dell’unità fu rivelata solo nel 1984, quando il mondo casualmente venne a conoscenza della sua esistenza e della reale natura delle sue sperimentazioni.
La base dell’Unità 731 occupava 6 km², con 150 edifici attivi. Le costruzioni furono realizzate con i più moderni (per l’epoca) sistemi di sicurezza e fortificazione, in modo che anche in caso di bombardamento nemico, sarebbe stato molto difficile abbatterli. Ancora oggi alcuni stabili sono in piedi, adibiti a musei e aperti al pubblico, per ricordare l’orrore di quei giorni.
Alcuni fabbricati erano utilizzati per la conservazione di contenitori di pulci infettate con la peste bubbonica e poi congelate. Ne sono stati rinvenuti, alla fine del conflitto, fino a 4500 per ciascun edificio. Inoltre l’Unità beneficiava, a pieno regime, di 6 caldaie di considerevoli dimensioni per la produzione di sostanze chimiche di vario genere.
Durante questi lunghi anni di ricerca, in diverse zone del nord-est della Cina, furono immagazzinate di nascosto una quantità imprecisata di armi biologiche e chimiche, ritrovate poi a distanza di 50 anni e ancora letali.  
La maggior parte degli esperimenti consisteva nell'impiego su cavie umane di agenti patogeni come quelli della peste bubbonica, del colera, del vaiolo o del botulismo, per studiarne gli effetti ed eventuali rimedi sui soggetti ospitanti. Grazie a questi studi e ad un’idea del generale Shirō Ishii, nel 1938 vennero ideate la prima bomba bacillare defoliante e la prima bomba di parassiti, quest’ultima usata per diffondere la peste. I soldati giapponesi le usarono per contaminare coltivazioni, serbatoi d’acqua e sorgenti nelle aree di loro interesse.
Numerosi altri furono gli esperimenti compiuti per testare il grado di resistenza delle cavie umane, sempre con lo scopo di trovare sistemi di cura più efficienti e veloci per i soldati feriti in guerra.



Gli interventi sui “pezzi di legno”, saldamente legati mani e piedi a tavoli operatori, erano eseguiti senza l’impiego di anestesia, ritenuta causa di alterazione dei risultati o di accelerazione della decomposizione dei tessuti. Le operazioni avevano lo scopo di asportare organi di soggetti infettati da virus di vario genere, per verificarne gli effetti e lo sviluppo, nonché la degenerazione cellulare dei tessuti. I soggetti erano rigorosamente vivi e potevano essere indifferentemente uomini, donne o bambini. Anche le donne gravide erano sottoposte ad interventi di asportazione e spesso erano state fecondate con il solo scopo di studiare gli effetti degli agenti patogeni sui feti.

La ricerca di soluzioni mediche per accelerare la guarigione dei soldati, spinse i medici, anche se non li ritengo degni di tale appellativo, a compiere esperimenti di congelamento, scongelamento e amputazione degli arti. In casi estremi, le parti in cancrena non venivano asportate, con lo scopo di capire gli effetti che questa scelta aveva sul resto del corpo ancora sano e di rilevare le tempistiche di decadimento dei tessuti, che gradualmente avrebbero condotto il soggetto alla morte.

L’impiego di bombe deflagranti o batteriologiche al fronte era prima testato nel campo: venivano fatte detonare vicino a soggetti legati a pali, per capirne la dirompenza. La stessa cosa era fatta prima di impiegare i lanciafiamme. Furono ampiamente studiati anche le conseguenze degenerative di malattie veneree quali gonorrea e sifilide, molto diffuse durante il periodo bellico. Si cercò di capire cosa sarebbe successo al soggetto infettato in assenza di trattamento farmacologico. 

Oltre alla sperimentazione al campo, l’Unità 731 e le altre unità affiliate, come la 1644 e la 100, operavano anche all'esterno, diffondendo su vari obiettivi inermi, vestiti e alimenti contaminati da agenti infettanti che a lungo andare si stima causarono migliaia di decessi. 
Due episodi rilevanti avvennero nel 1940: il 4 ottobre sulla cittadina di Chuhsien nella provincia dello Shantung, e il 29 ottobre su Ningbo, nella provincia dello Chechiang. Un aereo carico con oltre 120 kg di grano contaminato, 70 kg con batteri del tifo e 50 con quelli del colera, insieme a pulci infettate con la peste bubbonica, disperse il proprio carico di morte sui due villaggi. Nello stesso periodo furono avvelenati numerosi pozzi d’acqua. La Cina presentò immediatamente a Londra, tramite il proprio ambasciatore, un atto ufficiale di protesta al Governo Britannico e alla Commissione per la guerra nel Pacifico. La protesta non fu raccolta. Il 4 novembre 1941 un aereo dell'Unità 731 scaricò nel cielo della cittadina di Changde, nella provincia del Hunan, 36 kg di pulci infette, e grano, riso e cotone intrisi di batteri della peste. Ben presto la popolazione iniziò a morire.
Nel 1942 seguì un altro atto di denuncia tramite il Rapporto Qian, che documentava i numerosi attacchi biologici perpetrati sulla popolazione dai giapponesi. Il rapporto, tradotto in diverse lingue e inviato agli organi di stampa, rimase nuovamente inascoltato. L’opinione pubblica riteneva infondate tali accuse.
Nello stesso anno fu impiegata per la prima volta l’antrace nella città di Fuxing, al confine tra le province delle Zhejiang e Jiangxi. Per infettare la popolazione in questo caso furono utilizzati uccelli vivi cosparsi di antrace. Successivamente fu la volta della provincia dello Yunnan. Furono colpite le città di Chongshan, Baoshan, Shangrao. A partire dalla metà del 1942, le bombe ideate dal generale medico, dette bombe Yagi, divennero operative sul campo, causando un numero imprecisato di morti. Nel 1943 toccò alla provincia dello Shandong, poi alle province dell'Hebei e dell'Henan. Qualsiasi mezzo era ritenuto idoneo per diffondere il contagio, anche l’impiego di vaccinazioni false.
Un’altra malattia oggetto di studio fu la tularemia o febbre dei conigli. Si infettarono appositamente dei soggetti, con lo scopo di provare nuovi farmaci che si riteneva potessero essere efficaci.
La resistenza degli individui alle privazioni o alle condizioni estreme era testata nei modi più disparati: alcuni soggetti erano appesi a testa in giù fino al sopraggiungere dell’asfissia, altri erano privati di cibo e acqua, altri ancora erano rinchiusi tempo in camere depressurizzate fino al sopraggiungere della morte. Nei corpi delle cavie umane erano iniettate le più disparate sostanze: urina di cavallo, fenolo, veleni, sangue di maiale, sostanze chimiche, acqua marina al posto di soluzione salina.
Di grande interesse era la differenza fra ustioni da freddo e da caldo, oppure la resistenza di un individuo all'interno di una centrifuga.


Potrei proseguire ancora l’elenco delle atrocità commesse dall'Unità 731, non meno gravi di quelle commesse dai nazisti nei lager europei.
Il 9 agosto 1945, in seguito all'invasione della Manciuria da parte dell’armata Russa, l’Unità fu smantellata. Alcuni edifici furono dati alle fiamme, insieme a numerosi documenti. Sul territorio vennero liberati migliaia di ratti infettati dalla peste, che continuarono la diffusione del virus. Le cavie umane sopravvissute furono fucilate oppure uccise con iniezioni letali, per non lasciare scomodi testimoni. Nell'agosto del 1945 il personale medico dell’Unità fuggì in Giappone.
Nel 1943 anche gli Stati Uniti iniziarono un programma di ricerca sulle armi chimiche e batteriologiche. Quando la guerra finì, venendo a conoscenza degli studi dei giapponesi, gli americani decisero, nonostante i crimini da loro commessi, di ignorarli e di arruolare i medici che avevano lavorato nell'Unità 731, per colmare le lacune che la loro sperimentazione ancora presentava. Questo permise a spietati e sadici assassini di rimanere impuniti, ritornando alla vita civile e potendo ricoprire ruoli prestigiosi in aziende farmaceutiche o chimiche, o nell'ambito politico. 
Il generale Ishii nei primi mesi dopo la fine del conflitto non fu rintracciato dagli alleati. Era molto importante riuscire a trovarlo, per avere quelle informazioni che erano andate distrutte.
Fu individuato, arrestato e interrogato dal 17 gennaio al 25 febbraio 1946, dal Colonnello Thompson degli Stati Uniti d’America. Durante quei giorni il generale si assunse tutta la responsabilità dell’operato dell’Unità 731, assolvendo da qualsiasi accusa l’imperatore Hiroito.
I programmi di ricerca e i risultati ottenuti furono resi segreti. Il 6 maggio 1947, il generale Mac Arthur inviò al Comitato di Coordinamento del Dipartimento di Stato, della Marina e della Difesa, una richiesta ufficiale di immunità per il generale Shirō Ishii e per tutti i suoi collaboratori. In cambio avrebbero fornito tutte le informazioni richieste in materia batteriologica. Il 13 marzo 1948 il ministero della Difesa USA rispose al generale Mac Arthur rilasciando l’autorizzazione all'immunità per tutto lo staff medico dell’Unità 731. Solo 30 membri furono portati davanti al Tribunale di Tokyo, per i crimini di guerra l'11 marzo 1948. 23 di loro furono ritenuti colpevoli, 5 condannati a morte, ma nessuna sentenza fu eseguita. Nel 1958 tutti i condannati furono liberati. 
Dal 25 al 31 dicembre del 1949 furono portati alla sbarra, a Khabarovsk, in Unione Sovietica, nella Siberia orientale, altri 12 membri delle varie Unità mediche, nell'unica inchiesta giudiziaria intentata contro i crimini commessi contro l’umanità. Le prove raccolte e presentate al processo e si basavano su diciotto volumi che raccoglievano interviste e testimonianze di soldati giapponesi collegati alle varie unità di sperimentazione di armi di distruzione di massa. Tutti gli imputati confessarono i reati a loro ascritti e di aver utilizzato negli esperimenti uomini, donne e bambini, anche sovietici e americani. Gli incriminati rivolsero delle accuse pesanti anche all'Imperatore, sostenendo fermamente che fosse a conoscenza della vera attività delle Unità mediche e che a suo tempo aveva dato il benestare all'inizio del programma di guerra.
L’impatto mediatico del processo fu minimo, ma la stampa sovietica diede il molto risalto al fatto che Shirō Ishii e molti suoi colleghi fossero al sicuro e liberi, in Giappone o negli Stati Uniti.
Gli imputati furono condannati a pene detentive che andavano da un minimo di 2 anni ad un massimo di 25. Nessuno fu condannato a morte, malgrado la natura dei crimini e sebbene la legge sovietica prevedesse per quel genere di reati la pena capitale. Nel 1956, anno della morte di Stalin, il gruppo fu tutto rimpatriato. Ancora una volta le informazioni in possesso di questi criminali ebbero un peso determinate sulla vicenda.
Solo il generale Shirō Ishii non andò a ricoprire cariche importanti, ma si ritirò a vivere nella sua casa nella prefettura di Chiba, nelle vicinanze di Tokyo. Morì a 67 anni, libero e tranquillo, di cancro alla gola.
Ancora una volta, come in Europa, la giustizia non era stata applicata. Interessi politici ed economici prevalsero in entrambi i casi, sui milioni di vittime morte per mani di folli che si spacciavano per medici.

Rosella Reali

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

Bibliografia

Rosanna Carne, Unità 731, Sassari - Roma, Edizioni Igs

Sheldon H. Harris, Factories of Death: Japanese Biological Warfare, 1932-1945, and the American Cover-Up, Revised edition. New York and London: Routledge, 2002. xxx + 361 pp.

Paul Lewis, Sheldon Harris, 74, World War II Historian, Is Dead, in The New York Times, September 4, 2002

Herbert P. Bix, Hirohito and the Making of Modern Japan, New York: Harper Collins, 2001.

ROSELLA REALI
Sono nata nel marzo del 1971 a Domodossola, attualmente provincia del VCO. Mi piace viaggiare, adoro la natura e gli animali. L'Ossola è il solo posto che posso chiamare casa. Mi piace cucinare e leggere gialli. Solo solare, sorrido sempre e guardo il mondo con gli occhi curiosi tipici dei bambini. Adoro i vecchi film anni '50 e la bicicletta è parte di me, non me ne separo mai. Da grande aprirò un agriturismo dove coltiverò l'orto e alleverò animali. 
Chi mi aiuterà? Ovviamente gli altri viaggiatori.
Questa avventura con i viaggiatori ignoranti? Un viaggio che spero non finisca mai...

12/09/18

i Benetton, una famiglia "progressista"



di Emidio Novi
Insaziabili questi Benetton, più guadagnavano meno spendevano per la manutenzione delle autostrade che avevano avuto in regalo dal centrosinistra.Fortunati questi Benetton. In pieno delirio privatizzatore comprano dall’IRI la catena Gs. La comprano con i soldi delle banche e subito la rivendono, guadagnandoci 4500 miliardi di lire. In euro sarebbero due miliardi e 250 milioni.
Fantasiosi questi Benetton. Prodi, Ciampi e Giuliano Amato s’erano impegnati con Bruxelles e soprattutto con francesi e tedeschi a smantellare l’Iri. Massimo D’Alema li prende in parola e nel 1999 decide di privatizzare la rete autostradale di proprietà dell’Iri e quindi dello Stato.
Ancora una volta i Benetton non si perdono d’animo. Una lira delle loro non la rischiano, non sia mai. Bussano a Banca Intesa e gli viene aperto. Chiedono un piccolo prestito che in euro è di 8 miliardi e l’ottengono. Con questi soldi comprano dall’Iri Autostrade. Per due, tre anni la manutenzione della rete è quasi inesistente. Con i soldi rastrellati ai caselli e l’aumento delle tariffe restituiscono i soldi a Intesa.
Le Autostrade sono una Zecca che produce moneta sonante. I Benetton semifalliti come imprenditori del tessile-abbigliamento hanno diversificato e incassano tanti di quei soldi da diventare investitori globali.Grandi investitori, questi Benetton. Con i soldi guadagnati con una gestione finanziaria e non industriale della rete autostradale ex Iri i Benetton diventano soci degli spagnoli di Albertis e comprano il 50% della rete. Vito Gamberale si dimette dalla societa Autostrade perché non ne condivide la politica. Si pensa solo a incassare soldi ma si bada poco alla manutenzione e alla modernizzazione di un asset così importante. Insaziabili questi Benetton. Con una redditività del 25% decidono di tagliare le spese di manutenzione.
Per loro le Autostrade ex Iri sono una miniera d’oro inesauribile. Aumma aumma nel 2016 ottengono una proroga quarantennale con un emendamento aggiunto all’ultimo minuto dal governo alla Finanziaria. Una vergogna. La banda Renzi è capace di tutto. I predecessori non sono stati da meno. I contratti che riguardano i concessionari delle autostrade vengono secretati.E la trasparenza del mercato, la concorrenza, le terzietà della politica, l’occhiuta vigilanza del commissario per la concorrenza di Bruxelles? Tutto fumo, chiacchiere e distintivo. Questa banda di malavitosi merita un decreto del governo che spazzi via la benevolenza di TAR e magistratura civile corrotta.E che faccia capire a opposizioni e potere mediatico che “la fortuna” sta abbandonando i Benetton, e quelli come loro.

https://www.controinformazione.info/benetton-cari-insaziabili-compagni-la-fortuna-vi-sta-abbandonando/

fonte: http://alfredodecclesia.blogspot.com/

08/09/18

Caravaggio, ritratto di prostituta


Germania, 1940, l'obiettivo di Hitler era quello di difendere le principali città tedesche da eventuali incursioni nemiche. Il desiderio si tramutò in realtà con la costruzione delle Flakturme, torri di cemento armato munite di radar ed artiglieria contraerea. Le Flakturme di Berlino erano tre grandi complessi disposti a triangolo in tre zone strategiche della città. Data la straordinaria solidità della costruzione, due di queste torri furono utilizzate per nascondere oggetti, dipinti e sculture provenienti dai musei della città. Nel maggio del 1945, a guerra conclusa, accadde un evento non prevedibile data la solidità di queste costruzioni: la Flakturme Friedrichshain subì un devastante incendio che bruciò per giorni la torre e gli oggetti che custodiva. Il fuoco divampò tra il 5 ed il 10 maggio quando la torre si trovava sotto la custodia dell'esercito russo. L'incendio della Flakturme fu definito il più grande disastro artistico della storia moderna dopo la distruzione del Real Alcazar di Madrid, avvenuta nel 1734. 


A Berlino migliaia di opere d'arte, tra cui dipinti di Caravaggio e Goya, furono distrutte dalle fiamme. Le notizie di questo incendio furono divulgate dallo storico d'arte inglese Christopher Norris, componente della Commissione Alleata per i Monumenti e le Arti. Tra gli oggetti andati perduti anche il quadro di Caravaggio Ritratto di Cortigiana. Si trattava di un ritratto a mezza figura di una cortigiana all'epoca piuttosto famosa, Fillide Melandroni, che frequentava Caravaggio e il suo benefattore, Marchese Giustiniani. Il quadro presentava una figura dai lineamenti piuttosto marcati, stretta nel corpetto ricamato, ornata con fiori sul seno e con un'elaborata acconciatura. La modella di questo ritratto andato perduto potrebbe aver svolto la stessa funzione per altri dipinti di Caravaggio quali Santa Caterina d'Alessandria, la Conversione della Maddalena e Giuditta e Oloferne. 
La prima domanda che nasce dalla curiosità è la seguente: chi era Fillide Melandroni, la cortigiana ritratta da Caravaggio? 


La ragazza nacque a Siena da Cinzia Guiducci ed Enea Melandroni, ultimo discendente di una nobile famiglia senese. Il giorno 8 gennaio del 1581, domenica, la bambina ricevette il sacramento del battesimo al fonte di San Giovanni. Quando partorì Fillide la madre, Cinzia, aveva da poco compiuto i sedici anni di età. La bimba si trasferì insieme alla madre ed al fratello Silvio, figlio di primo letto di Enea Melandroni, a Roma. Un buco nero assorbì le informazioni della famiglia sino all'aprile del 1594 quando riapparve nella storia Fillide che, all'epoca tredicenne, si prostituiva occasionalmente a causa dello stato di indigenza in cui versava la famiglia dovuto, anche ma non solo, ad una malattia della madre. Enea, il padre, non si trasferì a Roma con la famiglia. Le notizie della vita di strada della piccola Fillide sono rintracciabili nel verbale del tribunale Criminale del Governatore del 23 aprile del 1594: donna Fillide d'Enea Senese, in compagnia di due uomini e di Anna Bianchini, romana, era incappata dietro al Monastero di San Silvestro nei birri di ronda. E poiché i quattro andavano in giro a buio e fuor delli luoghi soliti tutti furono presi e menati prigioni in Tor di Nona. Una piccola precisazione prima di continuare la narrazione: il termine “fuor delli luoghi soliti” dovrebbe indicare che la ragazza, insieme all'amica Anna, si prostituiva lontano dal bordello. Nel 1595 morì la madre di Fillide, Cinzia, ad appena 30 anni d'età. La ragazza, quattordicenne, con l'aiuto della zia Piera, che aveva seguito la sorella Cinzia a Roma, e dell'amica di quei giorni, Anna Bianchini, si dovette occupare del fratello più piccolo, Niccolò. L'indigenza e l'emarginazione furono affrontate anche grazie all'aiuto del fratello Silvio, che lavorava come cuoco in una delle tante osterie della città. Sino al 1597 Fillide abitò sotto Trinità dei Monti, in una locanda dove le ragazze intrattenevano, con la compiacenza dell'oste, personaggi ambigui e di malaffare. Alcune circostanze condussero Fillide in prigione, al cospetto dei magistrati di città. La ragazza, grazie all'istruzione ricevuta nei primi anni della sua vita, si rivolgeva con modi corretti ai magistrati, utilizzando un linguaggio che le altre prostitute non potevano nemmeno pensare di copiare. Fillide era diversa, completamente, dalle sue colleghe. Non solo nei modi, anche negli obiettivi di vita. La ragazza visse quel periodo nell'attesa della grande occasione che gli potesse cambiare la vita. 


Nel 1598 tutto mutò nella vita della ragazza. A sedici anni d'età entrò in contatto con dei fratelli originari di Terni, i Tomassoni, che, sfruttando le conoscenze altolocate, gestivano un giro di cortigiane tra notai e cardinali. La vita di Fillide cambiò radicalmente. Si trasferì, con il piccolo Niccolò, in Strada Aragonia, potendo permettersi una serva puttana di nome Francesca. La casa divenne un bordello altolocato, dove si beveva, si giocava a dadi e si consumavano rapporti sessuali. Molti dei visitatori, o amici, di Fillide si presentavano armati presso la sua abitazione, trasgredendo a uno dei tanti bandi del governatore di Roma. Durante una festa, nell'estate del 1598, i birri si presentano a casa di Fillide. Tutti fuggirono dall'abitazione, anche nei modi più disparati, tranne Ranuccio Tomassoni, che rimase al fianco della ragazza per garantirle protezione. Il giorno seguente Fillide e Ranuccio furono rimessi in libertà. 
L'anno seguente, il 1599, fu quello della svolta. 
Ranuccio Tomassoni, protettore della giovane, mise in contatto Fillide con Michelangelo Merisi da Caravaggio. Il pittore prese la ragazza come modella per l'opera raffigurante Santa Caterina d'Alessandria d'Egitto. Nell'epoca immediatamente posteriore al Concilio di Trento l'aver prestato il proprio corpo ad un'immagine pubblica, per di più devozionale, fu considerato più disdicevole rispetto alla vendita quotidiana di quello stesso corpo. Un prete, parroco della chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, censì Fillide sul libro delle anime come cortigiana scandalosa. 


La vita riservò nuovamente delle sorprese all'ancora giovane Fillide. 
Nell'estate del 1600 il suo protettore, Ranuccio, s'innamorò di un'altra ragazza, tale Prudenza, allontanandosi dal suo primo amore. Fillide non accettò tale relazione amorosa e si scagliò violentemente contro la nuova ragazza di Ranuccio. Probabilmente non fu solo gelosia ma anche un tentativo di difendere la posizione di predominanza assunta nel giro delle cortigiane dei Tomassoni. La lite che scaturì dopo l'aggressione di Fillide a Prudenza fu di tale gravità che condusse la ragazza senese in carcere. A differenza delle occasioni precedenti nessun uomo si prodigò per evitare il carcere e la condanna. 
Tutto mutò nuovamente. 
Fillide dovette esercitare il mestiere in autonomia, cercando di approfittare dei rapporti con i clienti potenti che aveva conosciuto durante la protezione di Ranuccio Tomassoni. Le brutte sorprese erano in agguato. Nell'estate del 1601 fu arrestata mentre si recava a casa del cardinale Benedetto Giustiniani, in Rione Sant'Eustachio, in compagnia di Ulisse Masetti, novello sposo e collaboratore del cardinale. Durante i giorni seguenti i due ragazzi furono sottoposti a stringenti interrogatori da parte dei magistrati. Entrambi cercarono di evitare di infangare il nome del cardinale e di sfuggire all'accusa di aver sottratto un novello sposo al letto coniugale, per Fillide, e di adulterio, per il Masetti. A due giorni dal loro arresto nessuno aveva pagato la taxa malefici, di 50 scudi, per far uscire i ragazzi dal carcere di Tor di Nona. Furono entrambi rinviati a giudizio. 
Fillide ricadde nell'indigenza e nell'emarginazione dei primi anni romani. 
Decise di chiedere l'aiuto della famiglia. Si ricongiunse con la zia Piera che nel frattempo era restata vedova di un certo Giovanni con il quale si era nel frattempo sposata. Aggressiva più che mai la Melandroni aggredì un'altra cortigiana, Amabilia Antonietti, cercando di malmenare anche la sorella gravida e prossima la parto. Nuovamente arrestata, Fillide rientra nella sfera di protezione dei Tomassoni ma cambiando uomo di riferimento: questa volta ad occuparsi di lei fu Giovan Francesco, il più autorevole dei fratelli. 
Nuovamente la vita della Melandroni mutò, e non solo economicamente. Dal 1604 si occupò delle pratiche devozionali della sua nuova parrocchia di Santa Marta del Popolo. Inoltre risulta essere a capo di un complesso ed eterogeneo nucleo familiare composto dalla zia Piera, dal fratello Silvio, da un servitore, da una cortigiana e da un bimbo di 4 anni, uno dei fanciulli esposti dello Spedale di Santo Spirito in Sassia. Nel frattempo aveva avviato una relazione amorosa con Giulio Strozzi, nobiluomo veneziano e figlio illegittimo di Roberto, notissimo banchiere fiorentino. Il legame tra i due ragazzi è testimoniato dal Ritratto di Fillide che Giulio Strozzi commissionò a Caravaggio. Fillide e Giulio vivono anni di agiatezza economica e tranquillità. Forse la ragazza raggiunse anche un poco di felicità. Tutto però cambiò nuovamente alla morte del padre di Giulio. Il ragazzo entrò in possesso di una cospicua eredità ed i parenti, cercando di scongiurare il matrimonio tra Giulio e Fillide, decidono di rivolgersi al papa, Paolo V. Nella primavera del 1612 si diffonde rapidamente la notizia che “all'improvviso d'ordine del Papa è stata presa una tal Fillide famosa cortigiana e mandata fuori Roma con ordine che non vi debba più tornare”. Dopo aver riparato ad Orvieto e Siena torna a Roma. 
La tormentata esistenza di Fillide si concluse nel 1618. 
Del ritratto che Caravaggio le dipinse un decennio prima su commissione di Giulio Strozzi, che la donna conservò sempre con cura ed affetto nella propria abitazione, dispose la restituzione al perduto amore della giovinezza. 

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

Bibliografia 

F. Bellini, Dalla figura di una donna all'immagine interiore dell'artista. Per una ricerca sull'ombra, Tesi di ricerca, Siena, Scuola di Specializzazione in Archeologia e Storia dell'Arte dell'Università degli Studi, A.A. 1990-91 

F. Bellini, Caravaggio lo spadaccino e le sue cortigiane, in L'Unità, 9 dicembre 1992 

R. Bassani - F. Bellini, Caravaggio assassino: la carriera di un valent’huomo fazioso nella Roma della Controriforma, Roma 1994 

F. Bellini, Melandroni Fillide, in Dizionario Biografico degli Italiani, volume 73, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2009

FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

01/09/18

La Stampa: lampi sul ponte prima del crollo, video oscurato

Attentato, sì – ma “alla sicurezza dei trasporti”. Niente terrorismo, dunque, ma “solo” negligenza, per quanto criminale. E’ una delle ipotesi di reato che, secondo “Rai News”, la procura di Genova sarebbe pronta a contestare per il drammatico crollo del viadotto Morandi il 14 agosto. Attentato alla sicurezza dei trasporti, oltre a omicidio colposo plurimo e disastro colposo, per una strage costata 41 morti, 8 feriti e (per ora) una decina di dispersi, insieme a oltre 600 sfollati. «Non è stata una fatalità, ma un errore umano», sottolinea il procuratore genovese Francesco Cozzi, che coordina le indagini con i pm Walter Cotugno e Massimo Terrile. E quegli strani lampi? Milioni di italiani hanno visionato, sul web, le drammatiche immagini del crollo, riprese in diretta con lo smartphone da Davide Di Giorgio: mostrano due bagliori che illuminano il ponte un istante prima del rombo che annuncia il collasso della mastodontica infrastruttura autostradale. “La Stampa” pubblica addirittura un video poi rimosso da Autostrade: quei lampi si vedono benissimo. Tanto basta per dare fiato anche agli immancabili sospetti: e se la catastrofe di Genova fosse stata causata da un oscuro attentato terroristico di tipo stragista, come quelli che hanno insanguinato il resto d’Europa a partire dalla mattanza di Charlie Hebdo?
Non sono in pochi, nei mesi scorsi, ad aver parlato di massima allerta: come se ci fosse il fondato timore di un “Big One”, un maxi-attentato per colpire finalmente anche l’Italia, finora rimasta al riparo dalle stragi dolose grazie a quello che viene Un'immagine simbolo della catastrofe di Genovaconsiderato il miglior dispositivo antiterrorismo del mondo. «Al posto di Salvini mi guarderei bene dal sostituire gli attuali vertici dei servizi segreti e degli apparati di sicurezza che hanno finora sventato decine di attentati, nel nostro paese», ha dichiarato tempo fa l’avvocato Gianfranco Pecoraro, meglio noto con lo pseudonimo di Carpeoro, con il quale ha firmato romanzi e saggi come “Dalla massoneria al terrorismo”. Nel libro, l’autore svela gli inquietanti retroscena degli attentati compiuti in Francia e in Belgio: manovalanza islamista, ma simbologia tipicamente massonica e di ispirazione templare. Più volte, specie dopo l’orrenda strage di Nizza del 14 luglio 2016, lo stesso Carpeoro ha ammonito: c’è il rischio che le stesse “menti raffinatissime” possano colpire anche l’Italia, paese a cui sembra alludere la scelta di organizzare proprio a Nizza il massacro compiuto nel giorno dell’anniversario della Presa della Bastiglia, data-simbolo per la massoneria progressista impegnata a contrastare la supermassoneria reazionaria responsabile dell’austerity europea.
C’entra qualcosa, tutto questo, anche con la sciagura di Genova? Lo stesso Carpeoro ne parlerà domenica 19 agosto in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” insieme a un altro analista non-allineato come Massimo Mazzucco, autore di documentari che hanno fatto epoca, nei quali si dimostra completamene infondata la verità ufficiale sul maxi-attentato dell’11 Settembre negli Usa. A gettare acqua sul fuoco dei possibili complottismi, per ora, provvedono siti come “Next”, secondo cui i due bagliori ben visibili nel filmato circolato sul web «in tutta evidenza sono lampi, visto che prima del Staffellicrollo su Genova si era scatenato un nubifragio di grandi dimensioni (c’era l’allerta arancione della protezione civile)». Il primo ad adombrare l’ipotetica presenza di circostanze anomale è stato Valerio Staffelli, uno dei mattatori di “Striscia la notizia”, autore del seguente tweet: «Scusate, ho visto immagini crollo ponte a Genova, per caso avete notato due bagliori prima del crollo? Ero lontano dal monitor ma sembravano una coppia di bagliori». Fa effetto, ovviamente, a neanche due settimane dal disastro sull’A14 a Bologna.
Alcuni degli automobilisti che appena dopo il crollo erano corsi al riparo nella vicina galleria, aggiunge “Next”, hanno raccontato di aver visto cedere uno degli “stralli”, i tiranti che reggevano il viadotto. Altri testimoni che si trovavano in auto nelle vicinanze hanno invece visto «un fulmine colpire il ponte». L’ipotesi che il viadotto Morandi sia crollato a causa di un fulmine «non è stata confermata né accertata», spiega Angelo Borrelli, dirigente della protezione civile. “Next” aggiunge che l’ingegner Antonio Brencich, professore associato di costruzioni in cemento armato all’università di Genova, esclude la possibilità che un fulmine abbia causato il crollo del ponte. Per contro, è il quotidiano “La Stampa” a scrivere che un altro video, quello delle webcam di sicurezza dell’autostrada A10, è stato stranamente rimosso appena dopo il disastro. Il giornale lo ripropone. Ore 11, 36 minuti e 28 secondi: quei lampi, Macronsotto la pioggia battente, sono evidentissimi, proprio al momento del crollo. Inutile affrettare conclusioni, ovviamente, così come sarebbe demenziale scartare pregiudizialmente le ipotesi più scomode.
Basti ricordare che la verità su Charlie Hebdo non si saprà mai, avendo la Francia seppellito l’inchiesta col segreto di Stato (segreto militare) dopo che la magistratura di Parigi aveva scoperto un’imbarazzante triangolazione: i Kalashnikov impiegati dal commando dell’Isis erano stati acquistati da un armaiolo belga grazie ai buoni uffici di un funzionario dei servizi segreti francesi, risultato in contatto con la fidanzata di uno degli attentatori. «A volte il complottismo raggiunge l’idiozia pura», avverte Carpeoro: «C’è chi è arrivato a dire che nel teatro Bataclan non sia morto nessuno: e questo genere di “sport” è utilissimo per screditare chiunque si impegni a cercare una verità diversa da quella ufficiale». E’ noto che il terrorismo è un abominevole strumento politico: in Francia, ad esempio, è servito a intimidire Hollande spianando la strada a Macron, già banchiere Rothschild e pupillo dell’oligarchia super massonica più pericolosamente reazionaria. E’ lo stesso Macron che oggi ha dichiarato guerra all’Italia, definendo “vomitevole” la politica di Salvini e del governo gialloverde, sostenuto da oltre il 60% degli italiani ma fermamente osteggiato dall’élite europeista artefice del rigore (e, secondo Carpeoro, anche della strategia della tensione a colpi di attentati stragistici “false flag”, comodamente targati Isis)

fonte: http://www.libreidee.org/