Agaro è una frazione di Premia nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola. Già comune, venne soppresso nel 1928. La comunità, di origine walser, era posta in una valletta isolata, nella dorsale che separa la valle Antigorio dalla valle Devero. Il luogo della sua edificazione fu scelto molti secoli fa dalle genti Walser provenienti dal vicino Canton Vallese, e più precisamente dalla soleggiata e lussureggiante Valle di Goms, intorno all’VIII secolo. Ma una data precisa per quello che concerne Agaro non l’abbiamo. A 1561 metri, stretto fra le montagne, questo piccolo paese era costruito in una conca alluvionale formata dalla confluenza del Rio Topera, del Rio Bionca e del Rio Pojala. Per sette secoli, poco più di 20 famiglie, hanno deciso di condurre la loro vita qui e di chiamare casa questa bellissima vallata, ricca ancora oggi di boschi e vegetazione.
L’organizzazione sociale di Agaro era molto semplice.
Poche famiglie, pochi cognomi, la terra era il bene supremo. Gli Agaresi erano fieri, dotati fisicamente, molto più alti della media popolazione walser e tenaci. Sulla loro forza fisica si tramandavano storie vicine alla leggenda. Si diceva portassero a “ciuffo” pesi straordinari da e per Baceno. Non essendo possibile utilizzare animali da soma a causa della conformazione del territorio e degli stretti passaggi tra i valichi di montagna, si utilizzava questo antico sistema. Per trasporto “a ciuffo” si intendeva il trasportare in sacchi di iuta, patate, crusca e farine. Gli uomini rivoltavano all’interno una parte del sacco, trasformandolo in cappello, per riuscire a portare il tutto sulla testa.
La popolazione di Agaro era molto generosa. La comunità provvedeva insieme al benessere dei meno abbienti.
Vivevano in una sorta di “Anarchia da Montagna”, sempre distanti e insofferenti agli ordini delle autorità, siano esse civili che religiose. La loro alta levatura morale era nota a tutti i forestieri.
Per la cura dei malati usano le erbe disponibili, non conoscendo medici e medicinali. La fitoterapia era sufficiente al mantenimento in salute della popolazione, anche perché attendere un medico da Baceno o Croveo era inutile, poiché la strada da percorrere era troppo lunga e difficoltosa per permettere l’arrivo in un tempo ragionevole.
L’istruzione era impartita in estate dal parroco che risiedeva in Agaro per occuparsi della scolarizzazione dei bambini per il tempo strettamente necessario.
I cognomi presenti erano circa una ventina. Le unioni per secoli si sono avute solo tra Agaresi, ma nonostante questo forzato isolamento non sono state rilevate tare genetiche, a differenza di quanto riscontrato in altri luoghi dove i matrimoni avvenivano esclusivamente tra una ristretta cerchia di persone.
La sussistenza era costituita da allevamento e agricoltura. Ciascun nucleo familiare possedeva dalle 4 alle 6 mucche, i più ricchi sino a 12. Tutti avevano capre per la produzione di latte e per tenere in ordine i boschi, e pecore per la lana.
Il latte prodotto era utilizzato per fare formaggio, per autoconsumo, per pagare i dazi e da scambiare o vendere al mercato di Baceno. Gli “spressi” di Agaro erano conosciuti anche in Lombardia. Lo spresso era un formaggio prodotto esclusivamente nelle praterie che attorniavano l’antico borgo Walser. I prodotti della terra erano costituiti da lino, canapa, patate, segale, orzo e fieno, tagliato anche con l’ausilio di corde nei punti più scoscesi.
I lunghi inverni tenevano le persone in casa: mentre le donne filavano e tessevano la lana delle pecore, gli uomini intagliavano oggetti in legno.
La caccia era una parte fondamentale della loro economia di sussistenza. La carne essiccata della selvaggina era un’ottima variante nella monotonia della loro dieta.
La lingua Walser di Agaro restò incontaminata dall’italianizzazione fino all’inizio del secolo scorso, quando l’apertura al mondo esterno era divenuta necessaria per la sopravvivenza. Oltre che con Baceno e gli abitanti della valle, da cui erano chiamati “tedesconi” per il loro idioma stretto e quasi incomprensibile, gli Agaresi avevano rapporti frequenti con il Vallese, loro cantone di origine.
La chiusura della frontiera con la Svizzera non gli impedì di trovare il modo di eludere la sorveglianza delle guardie di confine, per continuare a rifornirsi di tabacco, zucchero, caffè e sale. I rapporti tra le due popolazioni erano talmente buoni che operai specializzati del Vallese corsero in aiuto degli Agaresi durante la ricostruzione del 1888.
Un’altra testimonianza dei contatti con la loro valle di origine si ha nell’uso di fumare e masticare tabacco da parte delle donne, comportamento tipico della popolazione femminile che abita le valli di Binn e Goms.
La lingua Walser di Agaro andò perduta. Il suo idioma era fra i più arcaici e caratteristici dei Walser. Purtroppo nessuno decise per tempo di salvare questo immenso patrimonio linguistico e culturale.
La toponomastica di montagne e boschi era decisamente differente. Nessuna delle Cartine esistente, neppure la più minuziosa, riportava nomi di creste, pascoli e boschi conosciuti e tramandati dagli Agaresi.
Quello che resta fervido, in chi conosce Agaro e i suoi discendenti, è la voglia di ridare voce a questo piccolo comune Walser, che riemerge dal suo letto eterno solo quando il livello del lago scende.
Ho avuto quest’anno la fortuna di incontrare i discendenti di quegli Agaresi che hanno resistito fino alla fine all’avanzare del progresso. Fieri e dagli occhi limpidi, sempre commossi a parlare delle loro origini, di quelle abitazioni in sasso e larice che i loro nonni o bisnonni avevano chiamato casa.
Con uno di loro abbiamo avuto il privilegio di vedere Agaro emergere dalle acque.
Silenzio ed emozione. Commozione nel vedere ancora i muri paravalanghe intatti, le travi con i chiodi in legno, parte dei camini e soprattutto i gradini di entrata di una casa sparire nell’acqua.
La su quei sassi ho visto quell’uomo di Agaro commuoversi e una lacrima è scesa anche a me, ripensando a quell’ultima notte in cui poche persone, con i loro animali, hanno lasciato definitivamente la piana, con l’acqua gelida alle caviglie.
Rosella Reali
fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/
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