28/10/18

omicidio di Stato di un bambino sulla sedia elettrica




George Junius Stinney Jr. (Alcolu, 21 ottobre 1929 – Columbia 16 Giugno 1944) è stato un ragazzo statunitense. Stinney è il più giovane condannato a morte nella storia degli Stati Uniti.
Venne dichiarato colpevole dopo una camera di consiglio durata meno di dieci minuti, nel corso di un processo durato un solo giorno, da una giuria di soli bianchi per omicidio di primo grado di due ragazzine bianche: Betty June Binnicker, di 11 anni, e Mary Emma Thames di 7 anni.
Dopo essere stato arrestato, Stinney avrebbe confessato il crimine.
Non vi è tuttavia alcuna registrazione scritta della sua confessione oltre alle note fornite da un investigatore,e non è nota alcuna trascrizione del breve processo. Gli venne negato l'appello e fu giustiziato con la sedia elettrica.
Dal momento che la condanna e l'esecuzione di Stinney furono ampiamente criticate, la questione della sua colpevolezza, la validità della sua confessione e del processo giudiziario che portò alla sua esecuzione vennero messi in discussione.
Un gruppo di avvocati e attivisti indagò sul caso Stinney a nome della sua famiglia. Nel 2013 la famiglia presentò una petizione per un nuovo processo. Il 17 dicembre 2014 la sua condanna venne annullata poiché il giudice della corte di circuito stabilì che non gli era stato concesso un processo equo. Non ebbe infatti avvocati efficaci e i suoi diritti stabiliti nel VI emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d'America furono ignorati.
La sentenza osservò che, mentre Stinney poteva in realtà aver commesso il crimine, l'accusa e il processo erano fondamentalmente viziati.
Il giudice Mullen decretò che la sua confessione sarebbe stata probabilmente estorta ed era quindi inammissibile come prova. Il giudice stabilì inoltre che l'esecuzione di un quattordicenne costituiva "una punizione crudele e inusuale" e quindi proibita ai sensi dell'VIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d'America.

Nel 1944 George Junius Stinney Jr. viveva ad Alcolu, nella contea di Clarendon, nella Carolina del Sud. Il ragazzo afroamericano di 14 anni viveva con suo padre, George Stinney Sr., sua madre Aime, i suoi fratelli John, di 17 anni, e Charles, di 12 anni, e con le sue sorelle Katherine, di 10 anni e Aime, di 7 anni. Suo padre lavorava nella segheria della città e la famiglia viveva negli alloggi forniti dal datore di lavoro del padre. Alcolu era una piccola città della classe operaia, in cui quartieri bianchi e neri erano separati da binari ferroviari. La città era il tipico abitato del sud del tempo, con scuole e chiese separate per residenti bianchi e neri, che raramente interagivano.
I corpi di Betty June Binnicker, di 11 anni, e Mary Emma Thames, di 7 anni, furono trovati in un fosso sul lato nero di Alcolu il 23 marzo 1944. Erano stati picchiate con un'arma improvvisata. Si ritenne che potesse essere un pezzo di metallo o uno spuntone della ferrovia.
Le ragazze furono viste per l'ultima volta in sella alla loro bici mentre cercavano fiori. Mentre passavano dalla proprietà degli Stinney, chiesero al giovane George e alla di lui sorella, Aime, se sapessero dove trovare "maypops", un nome locale per la passiflora.
Secondo Aime, lei era con George nel tempo in cui le ragazze furono uccise.

Quando le ragazze non tornarono a casa vennero organizzati dei gruppi di ricerca. Il padre di George era tra i ricercatori. I corpi delle ragazze furono trovati il mattino dopo, sul lato nero della città, in un fosso pieno di acqua fangosa. Secondo un articolo del 24 marzo 1944, pubblicato ampiamente ma contenente un errore del nome del ragazzo, lo sceriffo annunciò l'arresto e disse che "George Junius" aveva confessato e guidato gli ufficiali a "un pezzo di ferro nascosto".
Entrambe le ragazze avevano subito traumi violenti alla faccia e alla testa.
I rapporti differivano sul tipo di arma utilizzata.
Secondo un rapporto del medico legale, le ferite "furono inflitte da uno strumento contundente con una testa rotonda, delle dimensioni di un martello". I crani di entrambe le ragazze erano perforati. Le ragazze non furono violentate sessualmente e i loro imeni erano intatti. Il medico legale riferì che i genitali della ragazza più grande erano leggermente contusi.
George Stinney fu arrestato con l'accusa di aver ucciso le bambine insieme al fratello maggiore Johnny. Quest'ultimo venne poi rilasciato mentre George fu trattenuto e non gli venne permesso di vedere i suoi genitori fino a dopo il processo e la condanna.
Secondo una dichiarazione scritta a mano, l'agente arrestante era H. S. Newman, un vice sceriffo della contea di Clarendon, che dichiarò: "Ho arrestato un ragazzo di nome George Stinney, ha poi fatto una confessione e mi ha detto dove trovare un pezzo di ferro di circa 15 pollici [sic], disse che l'aveva messo in un fosso a circa sei piedi dalla bicicletta". Non esiste tuttavia alcuna copia della confessione firmata da Stinney.
George era noto per essere stato coinvolto in alcune risse a scuola. In una aveva graffiato una ragazza con un coltello. Questa affermazione del maestro di settima elementare di Stinney, che era di colore, venne rigettata da Aime Stinney Ruffner quando nel 1995 divenne pubblica. Una donna bianca locale, che conosceva George Stinney fin dall'infanzia, disse che il ragazzo aveva minacciato di uccidere lei e una sua amica il giorno prima dell'omicidio e che era ritenuto un bullo.

In seguito all'arresto di George, suo padre fu licenziato dalla segheria locale e la famiglia Stinney dovette immediatamente liberare l'alloggio fornito dal datore di lavoro. Gli Stinney temevano per la loro sicurezza. I suoi genitori non furono in grado di vedere George prima del processo. Egli non ebbe alcun sostegno durante gli 81 giorni di prigione. Venne trattenuto in un carcere di Colombia, a 50 miglia dalla città, a causa del rischio di linciaggio.
Il ragazzo venne interrogato da solo, senza genitori e senza avvocato.
Sebbene il sesto emendamento gli garantisse il diritto a una consulenza legale, solo dal 1966, dopo la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti d'America sul caso Miranda v. Arizona, il diritto alla rappresentanza nel corso di un procedimento penale venne rinforzato.
L'intero processo contro Stinney, compresa la selezione della giuria, durò un solo giorno.
Il difensore d'ufficio di Stinney era Charles Plowden, un commissario delle tasse che faceva campagna elettorale per un ufficio politico locale.
Plowden non contestò i tre poliziotti, i quali testimoniarono che Stinney aveva confessato i due omicidi, nonostante questa fosse l'unica prova contro il ragazzo e nonostante la presentazione dell'accusa di due diverse versioni della confessione verbale di Stinney. In una versione Stinney sarebbe stato attaccato dalle ragazze dopo che aveva cercato di aiutare una di loro che era caduta nel fosso e le uccise per autodifesa. Secondo l'altra versione avrebbe seguito le ragazze, prima attaccando Mary Emma e poi Betty June. Non c'erano tuttavia prove fisiche che lo collegassero agli omicidi.
Non vi era inoltre alcuna versione scritta della confessione di Stinney oltre alla dichiarazione del vice sceriffo Newman.

Il processo Stinney ebbe una giuria composta interamente da bianchi.
Più di mille persone affollarono l'aula ma non venne ammesso nessun nero.
Oltre alla testimonianza dei tre agenti di polizia, i procuratori del processo chiamarono altri tre testimoni: il reverendo Francis Batson, che aveva scoperto i corpi delle due ragazze, e i due medici che aveva eseguito l'esame autoptico. Le confessioni in conflitto furono segnalate come offerte dall'accusa. La corte permise la discussione della "possibilità" di stupro nonostante l'assenza di prove che questo fosse avvenuto nella relazione del medico legale.
L'avvocato di Stinney non chiamò alcun testimone e non contro-interrogò i testimoni dell'accusa. La presentazione delle prove durò due ore e mezzo. La giuria si ritirò in camera di consiglio e dopo dieci minuti emise un verdetto di colpevolezza. Il giudice condannò Stinney alla pena di morte mediante sedia elettrica. Non vi è alcuna trascrizione del processo. Non venne presentato alcun appello.

La famiglia, le chiese e la National Association for the Advancement of Colored People si appellarono al governatore Olin D. Johnston per ottenere clemenza vista l'età del ragazzo. Altri esortarono il governatore a far procedere l'esecuzione, cosa che egli fece.
Johnston dichiarò in risposta a un appello per clemenza: "Potrebbe essere interessante per voi sapere che Stinney uccise la ragazza più piccola per violentare quella più grande, poi uccise la ragazza più grande e violentò il suo cadavere. Venti minuti dopo tornò e tentò di violentarla di nuovo, ma il suo corpo era troppo freddo". Queste affermazioni non erano supportate dal rapporto del medico legale.
Tra il momento dell'arresto di Stinney e la sua esecuzione, i genitori del ragazzo furono autorizzati a vederlo solo una volta, dopo il processo nel penitenziario di Colombia.
George Stinney morì presso il Central Correctional Institution di Colombia il 16 giugno 1944.
Alle 19:30, Stinney si diresse verso la camera di esecuzione con una Bibbia sotto il braccio, sulla quale poi si sedette una volta alla sedia elettrica. Questo perché la sua altezza (155 cm) e il suo peso (40 kg) resero difficile il fissaggio al telaio degli elettrodi.
Inoltre le dimensioni della maschera facciale non si adattavano alle proporzioni di un viso adolescenziale; infatti come fu colpito dalla prima scarica di 2.400 V, la maschera che gli copriva il volto scivolò via, "rivelando i suoi occhi spalancati, pieni di lacrime, e la spuma alla sua bocca.
Dopo altre due scosse il ragazzo morì. Durante l'esecuzione le sue mani si liberarono dalle cinghie che lo legavano alla sedia a causa degli spasmi".
Stinney venne dichiarato morto a quattro minuti dalla folgorazione iniziale. Dall'arresto all'esecuzione passarono solo 83 giorni.
George Stinney è sepolto nel Calvary Baptist Church Cemetery di Paxville, Carolina del Sud.

Riapertura del caso e annullamento della condanna:
Nel 2004, George Frierson, uno storico locale cresciuto ad Alcolu, fece delle ricerche sul caso dopo aver letto un articolo di giornale a riguardo. Il suo lavoro attirò l'attenzione degli avvocati Steve McKenzie e Matt Burgess.
Inoltre, Ray Brown, l'avvocato James Moon, e altri contribuirono con innumerevoli ore di ricerca e revisione di documenti storici, nel trovare testimoni e prove per aiutare a scagionare Stinney.
Tra coloro che aiutarono nella revisione del caso vi furono il Civil Rights and Restorative Justice Project della Northeastern University School of Law, che nel 2014 depositò un amicus alla corte.
Frierson e altri avvocati pro bono in primo luogo cercarono sollievo attraverso l'Ufficio per la grazia e la libertà per buona condotta.
McKenzie e Burgess, insieme all'avvocato Ray Chandler in rappresentanza della famiglia di Stinney, presentarono una mozione per un nuovo processo il 25 ottobre 2013.
« Se siamo in grado di ottenere la riapertura del caso, possiamo andare dal giudice e dire che non c'era alcun motivo per condannare questo bambino. Non c'erano prove da presentare alla giuria. Non c'erano verbali. Questo caso deve essere riaperto. Questa è un'ingiustizia che deve essere riparata. Sono abbastanza ottimista nel sostenere che se siamo in grado di ottenere i testimoni di cui abbiamo bisogno, avremo successo in tribunale. Abbiamo speranza in un testimone — senza legami di parentela — che sarà in grado di dire chi potrà ricostruire tutto e dire chi può fornire un alibi. Erano lì con il signor Stinney e questo non si è verificato. » 
(Steve McKenzie) 
George Frierson nelle interviste dichiarò: "C'è stata una persona che si è proclamata colpevole ma che ora è deceduta e la famiglia ha detto che aveva reso una confessione sul letto di morte". Frierson disse che il colpevole proveniva da una famosa famiglia bianca. Un membro, o diversi membri, di quella famiglia aveva prestato servizio nella giuria d'inchiesta del coroner, che aveva raccomandato che Stinney fosse processato.
Nel suo amicus di sintesi il Civil Rights and Restorative Justice Project affermò:
« Ci sono prove convincenti che George Stinney fosse innocente dei crimini per i quali fu giustiziato nel 1944. Il pubblico ministero si basò, quasi esclusivamente, su un frammento di prova per ottenere una condanna in questo caso capitale: la "confessione" non registrata e senza firma di un bambino di 14 anni che è stato privato del consiglio e della guida dei genitori e il cui avvocato difensore non era riuscito a chiamare testimoni a discarico o a esercitare il suo diritto di appello.» 

Nel gennaio 2014 furono presentate nuove prove durante un'udienza al tribunale che comprendevano la testimonianza dei fratelli di Stinney che affermavano che il ragazzo era con loro al momento degli omicidi. Inoltre venne presentato un affidavitdel reverendo Francis Batson, colui che trovò le ragazze e le tirò fuori dal fossato pieno d'acqua. Nella sua dichiarazione ricorda che non c'era molto sangue dentro o intorno al fossato, suggerendo che potrebbero essere state uccise altrove e poi spostate. Wilford "Johnny" Hunter, che era in prigione con Stinney, "testimoniò che l'adolescente gli disse che era stato costretto a confessare" e che in cella aveva sempre proclamato la sua innocenza.
I familiari di Betty Binnicker e Mary Thames espressero disappunto per la sentenza. Dissero che, pur riconoscendo l'esecuzione di un quattordicenne come controversa, non avevano mai messo in dubbio la sua colpevolezza. La nipote di Betty Binnicker disse che lei e la sua famiglia avevano ampiamente studiato il caso e sostenne che "le persone che leggono questi articoli sul giornale non sanno la verità".
La nipote di Binnicker disse che, nei primi anni '90, un ufficiale di polizia che aveva arrestato Stinney l'aveva contattata e le aveva detto: "Non ho mai creduto che quel ragazzo non abbia ucciso tua zia".Questi membri della famiglia dissero che le affermazioni in punto di morte da parte di un singolo che confessava gli omicidi delle ragazze non erano mai state dimostrate
L'avvocato dello stato della Carolina del Sud, che sosteneva lo stato contro l'esonero, era Ernest A. Finney III. Egli era il figlio di Ernest A. Finney Jr. , il primo giudice afro-americano della Corte Suprema della Carolina del Sud fin dalla ricostruzione.
Invece di approvare un nuovo processo, il 17 dicembre 2014, la giudice della corte di circuito Carmen Mullen annullò la condanna di Stinney. Affermò che non aveva ricevuto un processo equo poiché non era stato difeso in modo efficace e poiché i suo diritti stabiliti dal VI emendamento erano stati violato.
Il caso venne definito come un raro esempio di error coram nobis. La giudice Mullen stabilì che la sua confessione venne probabilmente estorta e quindi era inammissibile. Stabilì anche che l'esecuzione di un quattordicenne costituiva "una punizione crudele e inusuale", e che il suo avvocato "non aveva chiamato testimoni a discarico o esercitato il suo diritto di appello".
Mullen limitò il proprio giudizio al processo dell'accusa, osservando che Stinney "potrebbe aver commesso questo crimine". Con riferimento al processo legale Mullen scrisse: "Nessuno può giustificare che un bambino di 14 anni venga accusato, processato, condannato e giustiziato in 80 giorni", concludendo che "In sostanza, non è stato fatto molto per questo bambino quando la sua vita era in bilico".
Il caso è stato la base per il romanzo Carolina Skeletons (1988) di David Stout, che è stato poi insignito nel 1989 del Premio Edgar Allan Poe per il miglior primo romanzo.
Stout suggerisce che Stinney (Linus Bragg nel libro) fosse innocente. La trama ruota attorno ad un nipote fittizio di Stinney/Bragg, che cerca la verità sul caso decenni più tardi.
Dal romanzo è stato tratto un film con lo stesso nome per la regia di John Erman, con Kenny Blank nel ruolo di Stinney/Bragg e Lou Gossett Jr. nel ruolo di James, fratello di Bragg. Blank ha ricevuto per la sua interpretazione di Stinney/Bragg una candidatura al Young Artist Award per il miglior giovane attore in un film televisivo nel 1991.

https://it.wikipedia.org/wiki/George_Stinney

fonte: http://maestrodidietrologia.blogspot.com/

26/10/18

l'antro delle dee. Un'interpretazione del sacro in una valle prealpina


Per chi abita nell’alta provincia di Varese, c’è una terra dal fascino indiscusso, che evoca misteri ed enigmi. È la Valganna, valle di origine glaciale che si estende dall’estremità nord di Varese fino al lago di Lugano e fin dall’antichità importante via di comunicazione tra le Alpi e la pianura. Qui, in uno scenario selvaggio, tra rocce, grotte, torrenti e gole, si intrecciano e si confondono storia e leggende. Il nome di Ganna, il centro più importante della valle, è infatti legato indissolubilmente alla figura di san Gemolo, santo il cui martirio ha “consacrato” queste terre (per la vicenda di san Gemolo rimando al mio articolo Il santo che perse la testa). Cuore pulsante per la venerazione del santo è la badia a lui dedicata ed è questo il luogo su cui vorrei soffermarmi. L’edificio, dalla chiara origine medievale, che si innalza con le sue forme massicce nei pressi delle rive del torrente Margorabbia, è formato dalla chiesa, dai locali abbaziali e dalla foresteria. Quando il terreno umido rilascia nubi di vapore, avvolge la badia in una mistica aura di mistero. Ma non è solo questo che fa della badia un luogo enigmatico. Tutto qui fa nascere tante domande, a iniziare dal chiostro, che qui non ha la consueta pianta quadrata, ma si sviluppa come un pentagono irregolare. Le ragioni di questa scelta a tutt’oggi non sono ancora ben chiare. Anche la stessa chiesa, sempre avvolta in una quieta penombra, ispira una grande suggestione. Proprio nella chiesa si trova un angolo molto particolare, che corrisponde esattamente alla prima campata della navatella destra. Qui si trovano gli affreschi meglio conservati di tutto il complesso. Si passa attraverso un arco a tutto sesto, che nell’intradosso mostra quattro medaglioni quadrilobati con altrettanti profeti, mentre il punto centrale è occupato dal volto di Mosè con le tavole della legge.


La Signora

Richiama subito l’attenzione però, l’affresco della Madonna della Misericordia. L'affresco occupa l'intero spazio della parete a ovest. La cornice, adorna di motivi geometrici, segue le forme della campata e forma uno spazio racchiuso in un arco a tutto sesto. Nella parte superiore sono presenti due spazi romboidali al cui interno si trovano figure antropomorfe alate dalle teste di animale, un'aquila e un leone, simboli dei due evangelisti Marco e Giovanni. Tra i due evangelisti, all'interno di una cornice tonda, è rappresentato il Padre eterno che regge un cartiglio tra le mani. Ai lati della cornice si sviluppano due ghirlande verdi, con frutti simili ad arance. All'interno della squadratura architettonica della cornice si trova l'affresco che ha come figura centrale la Madonna della Misericordia. Nella zona superiore è presente un coro di quattro angeli: due incoronano la Vergine e gli altri due sorreggono il manto blu dall'interno color porpora. Ogni angelo, inoltre, tiene tra le mani un cartiglio con una diversa orazione:


Maria mater gratie Mater misericordie

Regina celi letare alleluia 

Hec est regina mundi et flos virginitatis

Tu es stella maris et fons pietatis

Al centro dell'affresco si erge maestosa la Vergine, dallo sguardo enigmatico rivolto all’infinito, caratterizzato da un colorito pallido che contrasta con il rossore delle guance. L'aureola e la corona richiamano in qualche modo le opere di oreficeria lombarda del '300 mentre, sul capo, un velo bianco fa intravedere una chioma dai riflessi ramati. Il vestito della Vergine, stretto in vita da una cintura azzurra, mostra decorazioni damascate color oro che, insieme alle pieghe, gli conferiscono forti connotati realistici. Le spalle e la braccia sono ricoperte da un grande manto di colore blu allacciato al collo con un medaglione dorato di forma ovale. La parte interna del manto è color porpora, solcato dalle pieghe in chiaroscuro e fa da sfondo alle delicate mani di Maria che reggono altri due cartigli:

Ego sum rosa sine spina peccatorum medicina et flos medicamentorum

Qui adorandam me invenit inveniet vitam et havriet salutem a domino


I piedi della Vergine poggiano su un alto stipite, ma sono coperti da un grande cartiglio sorretto a destra da una donna dalla chioma bionda e a sinistra da un uomo dalla tunica grigia:

Sistus papa [...] / vice XII Milia annos de vera indulgentia [...] / Maria Mater dei Regina celi [...] / Domina mundi Singularis [...] / Tu concepisti Yhesum

A destra di Maria si raccoglie un gruppo di otto uomini, mentre a sinistra sono visibili dieci donne, con acconciature e volti ben caratterizzati. Purtroppo, l’apertura di una porta ha completamente distrutto la parte di affresco con i corpi di queste donne.

Secondo alcuni recenti studi, l'affresco è databile agli anni ‘80 del XV secolo e attribuibile alla cerchia di Guglielmo da Montegrino. Sappiamo certamente che l'affresco è stato commissionato da Leonardo Sforza Visconti, abate commendatario della badia di Ganna dal 1482. Il tema della Vergine della Misericordia rientra all'interno della grande disputa sul dogma dell'Immacolata Concezione di Maria, sviluppatasi tra il 1400 e il 1500, durante il quale si aprirono grandi scontri teologici tra domenicani, che non accettavano il dogma, e francescani-benedettini che invece lo riconoscevano. Nel 1482, papa Sisto IV introdusse a Roma la festa liturgica della Concezione. Con la bolla Grave Nimis ribadiva la dottrina dell’Immacolata Concezione e indicava che fosse data ampio spazio alla professione della dottrina. Inoltre, incoraggiò la recitazione di una preghiera composta appositamente per la Vergine immacolata che concedeva all'orante dodicimila anni di indulgenza. L'abate Leonardo, attraverso la commissione di questo affresco, accettò pienamente le indicazioni di papa Sisto IV e volle dimostrarlo in modo tangibile, in una forma immediatamente comprensibile.


Un inno al femminile

Ma l’interesse non si esaurisce a questa figura. All’altra estremità della campata si trova un arco decorato con le pitture di quattro sante a grandezza naturale. Sulla spalla dell’arco a ridosso della parete sud, c’è una figura femminile vestita di bianco e ammantata di rosso. L’abito, di gusto tardomedievale, ha uno scollo quadrato orlato di verde. La donna porta al collo un medaglione ovale, che ricorda vagamente nelle forme una croce celtica, e un diadema sulla fronte. L’attributo che la rende immediatamente riconoscibile è la grande tenaglia che stringe la mammella che le è stata staccata (la carne viva si intravede appena sopra lo scollo dell’abito). È senza dubbio sant’Agata. Agata, bella e nobile ragazza di Catania, venne destinata a sposare il console romano Quinziano. Rifiutò il matrimonio per seguire Cristo e ma tutti i tentativi di corromperla fallirono. Quinziano volle punirla strappandole il seno, menomazione della quale venne guarita da san Pietro. Agata tuttavia non sfuggì al martirio, che avvenne tramite il fuoco. Il supplizio dell’asportazione del seno fece di Agata una delle sante più venerate, poiché fu decretata protettrice delle balie, delle donne allattanti e delle malattie del petto. Agata è un inno alla vita: celebre è anche l’episodio in cui, mentre era portata presso Quinziano, inciampò e dalla terra arida spuntò un olivastro. 

Nei proverbi popolari si dice che per sant'Agata, festeggiata il 5 febbraio, la terra rifiata, cioè si libera dal gelo per rianimarsi, libera la vita nascosta dei germi in preparazione della primavera. Nel passato la festa di sant’Agata si allacciava con quella della Candelora, la Purificazione, con rituali di luce e fuoco.


Di fronte alla figura di sant’Agata, sul pilastro che divide la navata destra da quella centrale e che costituisce l’altra spalla dell’arco, si trova un’altra figura femminile di cui resta visibile solo il volto, mentre il corpo rimane ancora celato sotto uno strato più recente di intonaco. Tuttavia, a un’osservazione più attenta, si nota che anche questa figura è accompagnata da un attributo, anche in questo caso una tenaglia, che stavolta stringe un dente. Anche per questa figura l’interpretazione è inequivocabile. Si tratta di santa Apollonia, le cui vicende sono collocate dall’agiografia nel III secolo d.C. Apollonia, un'anziana donna cristiana non sposata che aveva aiutato i cristiani e fatto opera di apostolato, venne catturata durante una rivolta. Secondo la tradizione popolare le furono cavati i denti con le tenaglie. Venne poi preparato un gran fuoco per bruciarla viva. La santa si lanciò da sé tra le fiamme, dove morì. Sant’Apollonia è ricordata il 9 febbraio, pochi giorni dopo sant’Agata. È tradizionalmente invocata contro i problemi dentali. Tuttavia, in alcune zone del nostro Paese, la sua festa è ancora celebrata con riti di carattere agreste. Dunque, abbiamo un’altra santa che accompagna il risveglio della terra.


Altre due figure femminili ci osservano dall’alto dell’intradosso dell’arco. Immediatamente sopra sant’Agata, si vede una figura con una veste dorata e motivi damascati di colore rosso. Le maniche sono verdi, parzialmente coperte da un manto scarlatto allacciato al collo, mentre il capo è velato di bianco. Ai piedi della figura, possiamo notare una creatura curiosa, con le ali da pipistrello. Qui l’identificazione potrebbe ricadere su santa Margherita di Antiochia, vissuta nel III secolo d.C. Si dice che mentre pascolava il gregge, fu notata dal prefetto Ollario, che tentò di sedurla. Margherita confessò la sua fede e lo respinse: umiliato, il prefetto la denunciò come cristiana. Nel carcere, Margherita venne visitata dal demonio, che le apparve sotto forma di drago e la inghiottì. Ma Margherita, armata della croce, gli squarciò il ventre e uscì vittoriosa. Dopo questo episodio, venne nuovamente interrogata e torturata. Morì per decapitazione dopo molti supplizi. Grazie all’episodio della liberazione dal ventre del demonio, Margherita è invocata dalle partorienti per chiedere la grazia di un parto senza complicazioni. Anche in questo caso abbiamo una santa legata alla vita e alla nascita.


Per finire, sull’altra metà dell’intradosso si scorge un’altra figura femminile abbigliata con una veste bianca e una sopravveste rossa. Sulle spalle indossa un mantello dorato orlato di verde. Tra le mani regge un cesto, al cui interno si intravedono tre mele e tre rose. L’identificazione lascia pochi dubbi: si tratta di santa Dorotea. Dorotea nacque a Cesarea, città della Cappadocia. Dorotea è associata a Teofilo, prima suo persecutore, poi convertito da lei al Cristianesimo e infine testimone della fede col martirio. Il preside di Cappadocia, Sapricio, sentì elogiare le virtù della giovane e la fece condurre al suo cospetto. Le ordinò di sacrificare agli dei, ma ne ottenne un pronto rifiuto. Sapricio la sottopose a numerosi tormenti, ma lei manteneva la sua serenità. Fu condannata alla decapitazione e, mentre si recava al martirio, passò accanto a Teofilo, un uomo di legge, che la schermì dicendole di portare delle mele che avrebbe trovato una volta giunta nel giardino di Cristo. Quando la santa fu davanti al ceppo, apparve accanto a lei un fanciullo bellissimo che portava un cesto contenente tre mele e tre rose. L'uomo di legge stava ancora scherzando con i colleghi della beffa quando ricevette quel dono inatteso, e subito capì essere qualcosa di soprannaturale. Subito chiese perdono a Dorotea e Sapricio, per timore che il suo gesto potesse convertire altri pagani, lo condannò alla decapitazione. 

Dorotea è sempre rappresentata con i fiori. Si dice persino che l’usanza del bouquet di nozze sia un omaggio alle nozze di Dorotea con Cristo. Dorotea si configura quindi come la santa del mondo vegetale, della vita che sboccia e si rinnova. La sua festa è collocata il 6 febbraio.


Ci troviamo quindi di fronte a una teoria di sante, tutte legate alla vita e alla rinascita, e sorvegliate da Maria, la grande madre. Anche il fatto che la maggior parte queste sante venga festeggiata a febbraio non è un caso. Febbraio è il mese delle grandi madri: Brigida, Maria, Agata. È il mese delle donne allattanti, è il mese della februa, la purificazione in preparazione della nuova vita che arriva. Questa piccola campata dedicata al femminile è una sorta di utero primordiale, una grotta dove si intrecciano i motivi vegetali, potente richiamo alla vita. Le quattro sante sono quattro dee, ma anche sibille. In un dipinto all’ingresso della badia, Gemolo è seduto su un cavallo bianco e raffigurato nell’atto di ricollocarsi il capo mozzato. È circonfuso di luce, come un novello dio solare, un novello Apollo. E le sibille sono le sue leggendarie sacerdotesse con il dono della veggenza. Abitano in grotte accanto a sorgenti e corsi d’acqua, in luoghi molto simili all’aspra Valganna. Infine, queste sibille condividono questo spazio primordiale con i quattro profeti, anche loro veggenti, dell’arco contiguo, a cui si è fatto accenno prima. Sono donne e uomini che, secondo la tradizione, annunciarono e testimoniarono il divino.


Terra sacra

Tutto sembra trovare una sua collocazione. La Valganna è terra di grotte e di acque. La grotta è il ventre della terra, sede di un’energia potente e inarrestabile. L’acqua, bene prezioso perché nutre la vita e purifica, è oggetto di antichi culti. La stessa importanza è attribuita alle sorgenti, dove il prezioso elemento vede la luce, dopo essere rimasta nelle viscere della terra: una sorta di rinascita che si ripete all’infinito. Gemolo, con il sangue della decapitazione, ha risacralizzato la fonte nei pressi della badia e ha consegnato un culto primordiale per la vita all’universo cristiano, che lo ha fatto proprio. 
I templi cristiani ora custodiscono gli antichi luoghi di venerazione. La cappella è un utero, casa di terra segreta e sacra, luogo di potere. La badia di Ganna è una sorta di tempio della natura, della sapienza occulta, un luogo di ingresso nei segreti della Madre Terra, un santuario femminino, acquatico tra montagne magiche e sacre.

Claudia Migliari

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

Bibliografia

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1993 - Santi d’Italia, Rizzoli, Milano
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Chevalier, Jean - Gheerbrant Alain
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1960 - La Badia di San Gemolo in Ganna, in «Rivista della Società Storica Varesina», Varese
1966 - San Gemolo nella tradizione millenaria, in «La Badia di S. Gemolo e la Valganna», Varese

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1999 - Tracce di storia dell’Abbazia di S. Gemolo in Valganna, Nicolini Editore, Gavirate

Dal Lago Veneri, Brunamaria
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1997 - Orazione e pittura tra «propaganda» e devozione al tempo
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Frecchiami Mario
1960 - La Cappella di San Gemolo ed il suo restauro, in «Rivista della Società Storica Varesina», Varese

Panzarino, Rocco - Angelini, Marzia
2012 - Santi & simboli, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna

CLAUDIA MIGLIARI

La storia di Claudia inizia in un giorno di fine aprile del 1980. Il luogo dove è nata e cresciuta, il lago di Lugano, terra di confine e di contrasti, dove l'asprezza e il rigore delle montagne cedono il passo alla dolcezza mediterranea dei laghi, forma il suo carattere poliedrico. Da sempre appassionata di tutto ciò che la può portare in epoche lontane, si butta a capofitto sul disegno, sulla musica, sulla storia. Nel 1999 inizia la sua avventura come guida turistica presso una villa rinascimentale, dove ancora collabora. L'attività la coinvolge tanto, che nel 2005 consegue la certificazione ufficiale di guida turistica. Nel frattempo, conclude i suoi studi di lingue (e, naturalmente, storia delle lingue) e inizia a lavorare come traduttore, sua attuale professione. Ha al suo attivo la traduzione di quasi un centinaio di libri sugli argomenti più disparati, dalle fiabe e dalla narrativa per ragazzi, fino a libri di scultura su pietra e su legno e sulla storia della smaltatura dei metalli. Da marzo 2015, Claudia è segretario della Pro Loco del suo paese, Bisuschio, e continua le sue attività artistiche, prosegue con lo studio del canto lirico e... è sempre in giro per chiese o luoghi storici, purché siano antecedenti all'Ottocento! Per concludere, Claudia ha una fluente chioma ribelle e rossa, vive sola con un gatto nero, ha la casa piena di libri e ama studiare e conoscere i principi curativi delle erbe. Che cosa avrebbe pensato di lei un inquisitore?

24/10/18

sdoganare la pedofilia: vogliono far cadere l'ultimo tabù

La pedofilia è l’ultimo grande tabù della civiltà occidentale: orientamento sessuale innato per alcuni, perversione immorale e criminale da punire duramente con il carcere per altri, o ancora una malattia mentale da curare. È necessario discutere oggi di pedofilia, perché il suo sdoganamento – con conseguente legalizzazione e decriminalizzazione sociale – con molta probabilità avverrà nel prossimo futuro; e non si tratta di complottismo spicciolo, ma di una presa di coscienza basata sulla lettura degli eventi attuali. Prima di parlare di cosa stia succedendo a livello propagandistico e pubblico in tema di pedofilia, occorre ripercorrere le origini di un movimento ben definito, organizzato e diffuso capillarmente in tutto l’Occidente, che ambisce a normalizzare le relazioni sessuali tra adulti e minori, nel nome della libertà di scelta e di un presunto diritto dei bambini ad amare. I movimenti per la legalizzazione della pedofilia sorgono nel contesto della rivoluzione controculturale sessantottina che dilagò nei paesi occidentali fra gli anni ’60 e ’70, simultaneamente e nell’alveo delle lotte di liberazione femministe e omosessuali.
I più grandi ideologi e pensatori della rivoluzione sessuale scoppiata nell’epoca della grande contestazione sono stati anche degli strenui sostenitori della caduta degli ultimi tabù sessuali, come incesto e pedofilia, ritenuti dei lasciti Pedofiliadell’eteronormatività fallocentrica e patriarcale: Jacques Derrida, il coniatore del termine fallocentrismo, Michael Warner, colui che ha popolarizzato il concetto di eteronormatività, Jack Halberstam, autore prolifico sulle identità di genere e sulla mascolinità tossica, e in generale i maggiori esponenti del postmodernismo francese come Michel Foucault, Guy Hocquenghem, Jean Danet, Françoise Dolto, e la controversa coppia Simone de Beauvior-Jean Paul Sartre. Nel 1977 i capofila della critica esistenzialista e del postmodernismo francesi, tra i quali Foucault, Derrida, de Beauvior, Sartre, Gilles Deleuze e Louis Althusser, inviarono una petizione al Parlamento per chiedere l’abolizione dell’età del consenso e la depenalizzazione di ogni rapporto sessuale consenziente tra adulti e minori di 15 anni. Foucault, inoltre, infervorò il dibattito pubblico intervenendo insieme a Hocquenghem nel programma “Dialogue” dell’emittente radiofonica “France Culture”, spiegando le ragioni del suo sostegno alla causa pedofila.
Contemporaneamente a Londra fu fondato il Paedophile Information Exchange da Michael Manson, un piccolo gruppo pro-pedofilia dipendente dall’Outright Scotland, una delle più grandi e longeve sigle presenti nella galassia lgbt britannica. Sebbene numericamente esiguo e ufficialmente isolato dalle maggiori organizzazioni omosessuali, il Pie riuscì a trasformare in un dibattito nazionale l’abolizione dell’età del consenso e curò la pubblicazione di un proprio periodico, “Understanding Paedophilia”, riuscendo ad ottenere finanziamenti pubblici per circa 70 mila sterline dall’Home Office (secondo una recente inchiesta del “Daily Mirror”) e ad ottenere l’affiliazione al National Council for Civil Liberties, oggi noto semplicemente come Liberty, una delle più importanti organizzazioni per i diritti civili e umani presenti in Inghilterra. Nello stesso periodo, negli Stati Uniti, David Thorstad, ex troskista poi divenuto il più importante attivista pro-pedofilia della storia occidentale recente, Usafonda la North American Man/Boy Love Association (Nambla), il più grande ed influente gruppo di pressione attivo nell’abolizione dell’età del consenso e nella promozione delle relazioni sessuali tra adulti e minori.
Le posizioni estremiste della Nambla hanno causato la sua scomunica dall’International Lesbian and Gay Association nel 1994, a seguito di una controversia giunta in sede di Nazioni Unite, e nonostante le numerose inchieste federali e gli scandali sessuali che hanno coinvolto diversi membri, non è mai stata sciolta dalla giustizia statunitense. La Nambla ha avuto il merito di realizzare contatti con le principali sigle della galassia pro-pedofilia, riuscendo nell’obiettivo di trasformare l’International Pedophile and Child Emancipation in una vera e propria internazionale della pedofilia, composta da più di 80 fra organizzazioni e partiti politici di Canada, Stati Uniti ed Europa occidentale. La situazione organizzativa e associativa dei movimenti pro-pedofilia in Europa occidentale è comparabile a quella statunitense, sebbene il dibattito sia meno acceso per via del minore spazio garantito dai grandi media a questa ala estrema della più vasta galassia Lgbt. La Germania è il paese europeo con più organizzazioni pro-pedofilia del Vecchio Continente, oltre 15, e ha ospitato fra gli anni ’70 e ’90 un dibattito politico molto serio inerente l’abolizione dell’età del consenso, la depenalizzazione dei rapporti tra adulti e minori e la decriminalizzazione sociale della pedofilia, che ha coinvolto anche attori politici di spessore come il partito dei Verdi, e vanta una triste, quanto sconosciuta, storia di esperimenti sociali miranti a capire gli effetti dei rapporti pedofili sulla psiche degli adolescenti.
Negli anni ’70 il dipartimento di sociologia dell’università di Hannover guidò una serie di ricerche sotto l’egida del professore Helmut Kentler, luminare noto nell’ambiente accademico nazionale per le sue innovative idee di ingegneria sociale. Il programma di Kentler prevedeva l’affidamento di adolescenti senzatetto o senza famiglia con problemi comportamentali, di tossicodipendenza o di alcolismo, presso pedofili noti, ossia con precedenti penali per abusi su minori o segnalati alle autorità, con il duplice obiettivo di fornire alle cavie una figura genitoriale e ai pedofili una possibilità di trasformarsi in modelli comportamentali positivi. Il programma fu finanziato con fondi pubblici e fu scoperto soltanto alla morte di Kentler avvenuta Helmut Kentlernel 2008. La giustizia tedesca non è stata capace di appurare il numero di giovani tedeschi, soprattutto berlinesi, affidati a pedofili come parte del cosiddetto esperimento Kentler, sebbene le indagini abbiano concluso possano essere stati più di mille.
I Paesi Bassi hanno ospitato le attività dell’organizzazione Vereniging Martijn e del partito politico Carità, Libertà e Diversità, impegnati nella revisione dell’età del consenso, nell’inserimento della pedofilia tra i temi affrontati dall’educazione sessuale nelle scuole, e nella depenalizzazione della pedopornografia. Sebbene questi due movimenti siano stati dissolti dalla giustizia olandese, anche per via dei crimini sessuali che hanno visti coinvolti i loro membri, il contesto intellettuale nel quale sono sorti, ossia la Società Olandese per la Riforma Sessuale, è ancora in fermento e continua a propagandare la normalizzazione di ogni perversione sessuale, dalla pedofilia alla zoofilia. Il dibattito pubblico e accademico sulla pedofilia nei Paesi Bassi inizia nell’immediato secondo dopoguerra con la fondazione dell’Enclave Kring, il primo movimento pro-pedofilia del mondo, da parte dell’eminente psicologo e attivista omosessuale Frits Bernard.
Bernard sfruttò la sua notorietà per tentare di sdoganare questo tabù, portando la sua battaglia anche nel vicino mondo omosessuale, in quanto collaboratore del Coc, la più longeva organizzazione per i diritti omosessuali del mondo. Il movimento pro-pedofilia nazionale riuscì a riscuotere ulteriore visibilità tra gli anni ’50 e ’80 per via dell’intenso attivismo di Edward Brongersma, senatore appartenente al Partito del Lavoro poi convertitosi in un prolifico autore di opere sulla sessualità infantile e sui rapporti adulto-bambino. Brongersma lottò durante la sua intera carriera politica per revisionare l’età del consenso e sdoganare la pedofilia, dando vita ad una fondazione avente il suo nome con l’obiettivo di realizzare i suoi progetti Frits Bernardpolitici in tema di sessualità. Coerentemente con il suo credo anticattolico e progressista, nel 1998 decise di porre fine alla sua esistenza tramite eutanasia volontaria.
La pedofilia, intesa come rapporto sessuale consenziente tra adulti e bambini, gode quindi di un supporto ideologico e di una rete organizzativa molto più vaste di quanto si creda comunamente e la lotta per il suo sdoganamento sarà un importantissimo terreno di scontro della guerra culturale tra le forze tradizionaliste-conservatrici e progressiste-liberali d’Occidente. Attingendo dalle principali teorie sulla costruzione del consenso e sul condizionamento delle opinioni e del comportamento è facile capire in che modo i tabù vengono normalizzati e i loro detrattori accusati di oscurantismo e retrogradezza: il sociologo Joseph Overton, il teorico della Finestra di Overton, ha illustrato quanto sia semplice trasformare un’idea impensabile o radicale in una diffusa e legalizzata attraverso un processo di accettazione e razionalizzazione, la Scuola di Francoforte ha illustrato il potere persuasivo dei grandi media sugli spettatori attraverso le teorie della spirale del silenzio, dell’agenda setting o del falso consenso.
I grandi media anglofoni, come il “The Telegraph”, il “The Independent”, la “Bbc”, la “Cnn” o il “New York Times”, producono periodicamente degli approfondimenti pro-pedofilia, da titoli accattivanti come “We Have Met the Pedophiles and They Are Us”, “Pedophilia: A Disorder, Not a Crime”, “Paedophilia is natural and normal”, “Paedophilia a sexual orientation – like being straight or gay”, dando voce ad accademici, politici, opinionisti ed intellettuali che attraverso discutibili presentazioni basate sul disconoscimento delle conseguenze, sul ridimensionamento, sul giustificazionismo morale, o sull’idea del progresso, tentano di aprire un dibattito pubblico su questo tabù. Negli ultimi anni Ted, l’internazionale delle conferenze sulle società del futuro, finanziata tra gli altri dalla famiglia Clinton, da Bill Gates, da Jimmy Wales e da Google, ha organizzato diversi eventi Desmond Napolessul tema della pedofilia, della sessualità contemporanea e delle questioni di genere. Il 5 maggio 2018 nell’ambito di un convegno all’università di Würzburg, l’intervento di Mirjam Heine intitolato “Why our perception on pedophilia must change: pedophilia is a natural sexual orientation”, registrato e pubblicato su YouTube, ha avuto una eco mediatica globale e attirato forti critiche verso gli organizzatori.
Negli Stati Uniti il dibattito sulla pedofilia è tornato in auge con l’affermazione della cosiddetta “alt-right”, alimentato da personaggi pubblici come Milo Yiannopoulos e Nathan Larson, mentre nel resto del mondo occidentale proliferano le partecipazioni delle sigle pro-pedofilia ai gay pride, dopo un ventennio di damnatio memoriae, assume sempre più importanza il 25 aprile, la data scelta annualmente per celebrare l’Alice Day, ossia la giornata dell’orgoglio pedofilo, e dei bambini come Desmond Napoles o Nemis Quinn, sono diventati dei giovanissimi drag queen ed icone culturali idolatrate dalla comunità gay occidentale, dai media e dall’establishment dello spettacolo. L’insieme di questi accadimenti lascia supporre che la guerra culturale per l’accettazione della pedofilia sia molto viva ed intensa e ben lontana dal finire. La costruzione dell’Occidente del futuro passerà anche da questo: dal rendere socialmente accettabile la perversa convinzione che anche i bambini abbiano il diritto a sperimentare la sessualità, meglio se con adulto, e che in un mondo ruotante attorno al sesso, alla concupiscenza edonistica e al soddisfacimento di ogni desiderio secondo una visione distopica huxleyana non ci sia nulla di sbagliato nell’educare i fanciulli alla normalità della pedofilia.
(Emanuel Pietrobon, “Guerra all’ultimo tabù”, da “L’intellettuale dissidente” del 19 agosto 2018).

fonte: http://www.libreidee.org/