31/05/15

Sporo



latino: Sporus; in greco Σπόρος; di fatto il nome è greco, fu un liberto eunuco con cui l'imperatore Nerone volle unirsi in matrimonio.

L'Imperatore nel 66 d.C., durante un accesso di rabbia, diede un calcio all'addome della moglie incinta Poppea, uccidendola. Per rimorso ordinò di trovare qualcuno il cui volto somigliasse a quello della moglie assassinata. Il volto che risultò più simile fu quello del giovane liberto Sporo, il cui viso era straordinariamente simile a quello della moglie. Si narra dunque che Nerone abbia ordinato ai suoi chirurghi di castrarlo e di trasformare il liberto in donna. I due si unirono così in matrimonio. Sporo ebbe tutti gli ornamenti propri delle imperatrici e ricevette il titolo di Augusta e accompagnava ufficialmente Nerone durante le visite, come per esempio quella in Grecia.

Ne parla, tra gli altri, lo storico romano Gaio Svetonio Tranquillo nella Vita di Nerone (28,1-2; 29, 1; 46, 1). Il fatto tuttavia parrebbe improbabile, se non caricaturale e diffamatorio, in quanto lo stesso Svetonio non ebbe modo né di conoscere Sporo, né di vivere all'epoca di Nerone, nascendo solo due anni dopo la morte dell'imperatore. Tuttavia il fatto viene riferito anche da altre fonti, come Aurelio Vittore (Epitome de Caesaribus 5, 7) e Cassio Dione (Epitome LXII, 28).

Il matrimonio, secondo Cassio Dione (Epitome LXII, 12-13), sarebbe avvenuto in Grecia e Nerone avrebbe affidato il giovincello alle cure di Calvia Crispinilla, come dama di camera. Secondo vari autori, Nerone avrebbe contratto due "matrimoni" con persone dello stesso sesso. Già in precedenza era "maritato" con un altro liberto di nome Pitagora. Quest'ultimo "sarebbe stato per lui un marito, mentre Sporo sarebbe stato per lui una moglie".

Sporo rimase accanto a Nerone fino all'ultimo giorno, e si tramanda che fu presente anche alla sua morte (Vita di Nerone 48, 1; 49, 3), e, addirittura, secondo Aurelio Vittore (Epitome de Caesaribus 5, 7), sarebbe colui che resse il gladio con cui egli si dava la morte. Un ruolo di rilievo che il suo personaggio compare anche in opere teatrali che descrivono tale evento (ad esempio Martello 1735).

Alcuni studiosi considerano quella effettuata su Sporo come la prima operazione di cambiamento di sesso storicamente descritta.

fonte: Wikipedia

eunuco

col termine eunuco (dalla composizione dei due termini greci εὐνή ed ἔχω, "letto" e "custodisco") sono indicati quegli uomini che erano sottoposti, in età prepuberale o puberale, a interventi più o meno estesi di mutilazione dell'apparato genitale, tali da condurli a impotentia generandi o a una più radicale impotentia coeundi. Essi furono comuni a molte corti sovrane, soprattutto orientali, da quelle musulmane come quella dell'Impero Ottomano a quella del Celeste impero cinese.

Storia

L'istituto dell'evirazione ha caratterizzato un gran numero di società e di culture umane, in età antica, medievale e moderna, in Europa, Asia e Africa. Ciò era essenzialmente dovuto alla grande richiesta di persone a cui poter affidare, senza timore, delicati compiti di sorveglianza dei ginecei, ma anche per impedire l'adozione di pratiche nepotistiche, nel caso si fosse deciso di affidar loro importanti e delicate funzioni, civili, militari o religiose o, infine (in caso di castrazione in età prepuberale), per esaltare il registro alto canoro, specialmente ricercato nei cori ecclesiastici o di teatro civile dove, fino all'età moderna, fu impedito il ricorso a rappresentanti del "gentil sesso" sostituite da voci bianche (nel Settecento fu celebre il soprano Farinelli).

Il valore sul mercato dell'eunuco dipendeva dall'età e dalle sue doti fisiche ed intellettuali: qualora evirato in età prepuberale, la percentuale dei sopravvissuti all'intervento era abbastanza alta, ma a ciò faceva da contraltare il mancato sviluppo della sessualità secondaria (voce, massa muscolare poco tonica, apatia, indole tendenzialmente remissiva e poco intraprendente) che, salvo ciò fosse precisamente richiesto dal compratore, ne faceva abbassare relativamente il valore.

Al contrario chi fosse stato evirato in età post-puberale e fosse sopravvissuto (la frequenza dei morti nel corso dell'intervento, o immediatamente dopo, era infatti elevatissima) manteneva le caratteristiche sessuali secondarie (voce profonda, buon tono muscolare, indole maggiormente volitiva) e tutto ciò consentiva che egli avesse un valore assai più alto di mercato.

Nella cultura islamica gli eunuchi (khiṣyān, sing. khāṣī) - distinti dai veri e propri castrati (majābīb, pl. di majbūb) - divennero normale corredo dei potenti: dal Califfo, ai governatori, dai sovrani ai Sultani. Sovente, oltre alla custodia degli harem, era loro affidata la cura dell'amministrazione e dell'apparato militare, mentre non mancarono sovrani di ottime capacità (come fu il caso di Kāfūr nell'Egitto ikhshidide o del Caid qāʾid Pietro nella Sicilia arabo-normanna).

Particolarmente esperti nell'operazione erano, in ambiente islamico, gli Ebrei di Pechina, durante il periodo di al-Andalus (Spagna islamica) e Lucena, come pure i loro correligionari di Verdun, grazie alle loro adeguate conoscenze medico-anatomiche. I musulmani acquistavano per questo fine schiavi dell'Alto Egitto, del Khorāsān, del Sind, dell'Abissinia ed in genere dei paesi sudanesi (Sūdān significa genericamente "Neri").

Secondo fonti islamiche coeve o di poco successive, il califfo abbaside al-Muqtadir possedeva 11.000 eunuchi: 4.000 Greci e 7.000 Africani.

In letteratura

Nella letteratura classica (latina), il commediografo Publio Terenzio Afro sfrutta l'ambiguità sessuale di tale personaggio (eununcolo) come carattere comico: ripresa chiaramente plautina.

Nel libro L'albero dei giannizzeri di Jason Goodwin, il protagonista, Yashim, è un eunuco che svolge delicati incarichi investigativi e politici nella corte del Sultano ottomano a Istanbul.

Un'altra figura letteraria di eunuco si trova nella saga Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin: si tratta dell'ambigua figura di Varys, membro del Gran Consiglio di Approdo del Re.

Ne Le sei reincarnazioni di Ximen Nao, romanzo del premio Nobel Mo Yan, Xu Bao, addetto alle castrazioni degli animali nel villaggio di Ximen, scopre di essere egli stesso un eunuco.

"Ḥijāʾ di Kāfūr" è un'invettiva o satira del celebre poeta arabo dell'età abbaside al-Mutanabbi, nella quale il poeta esprime la sua ira politica nei confronti dell'eunuco Kāfūr, Reggente ikhshidide in Egitto, scrivendo:

« Invece di agguantare la loro anima, la morte se ne impadronisce con l'estremità di una bacchetta tanto essa è ripugnante. »

fonte: Wikipedia

COME MI VUOI

The Stone Roses



Gli Stone Roses sono una band britannica di alternative rock formatasi a Manchester nel 1984, attiva fino al 1996 e riunitasi nel 2011 dopo 15 anni di inattività.

Capitanata dal vocalist Ian Brown, è composta dal chitarrista John Squire, dal bassista Gary "Mani" Mounfield e dal batterista Alan "Reni" Wren. Sono tra i maggiori esponenti della scena musicale Madchester e ispiratori della cosiddetta seconda Summer of Love del 1988 Il primo album, The Stone Roses, uscito nel 1989, grazie anche ai singoli I Wanna Be Adored, Made of Stone, I Am the Resurrection, fu un grande successo di pubblico e soprattutto di critica tanto da venire nominato dai giornalisti del New Musical Express miglior album di sempre.

In seguito a problemi legali il loro secondo album Second Coming fu pubblicato solo nel dicembre 1994, quando ormai l'interesse per il gruppo stava scemando e la scena indie inglese era già stata catturata dal britpop degli Oasis che avevano già pubblicato il loro primo album, senza bissare il successo del precedente.

Hanno fortemente influenzato gran parte della scena rock alternativa britannica a venire, gruppi come Oasis, Kasabian, Arctic Monkeys e Kings of Leon hanno espressamente ammesso di aver preso il gruppo di Manchester come riferimento essenziale per la loro musica.

Gli inizi ed il primo album

Nati dalle ceneri degli English Rose, gli Stone Roses si formano nel 1984 dall'unione di Ian Brown (voce) e John Squire (chitarra), amici fin dai tempi dell'infanzia, ai quali si uniscono il batterista Alan Wren detto "Reni", il chitarrista Andy Couzens ed il bassista Pete Garner. Il suono del gruppo nel periodo iniziale, ancora molto diverso da quello che si trova nei 2 dischi ufficiali, era molto influenzato da gruppi come The Smiths, The Clash e Sex Pistols. Il gruppo inizia quindi a suonare nei locali dell'area di Manchester, creandosi un discreto seguito. Nel 1985 pubblicano il loro primo singolo, So Young, prodotto da Martin Hannett e pubblicato dalla Thin Line Records, e l'anno seguente esce The Garage Flower, di fatto il loro primo album, in cui viene inserito il precedente singolo oltre a due versioni primitive delle successive hit I Wanna Be Adored e This Is The One. Il loro esordio discografico passa quasi inosservato e successivamente il gruppo lo disconoscerà. Nel 1986 il chitarrista Andy Couzens lascia il gruppo, seguito l'anno successivo dal bassista Pete Garner sostituito da Gary Mounfield detto "Mani".

Nel 1987, con questa formazione, la band registra il suo secondo singolo, Sally Cinnamon (etichetta FM Revolver), che segna un passo in avanti rispetto a So Young, che introduce elementi di psichedelia anni sessanta e che rimanda allo stile di band jangle pop come i Byrds, che li contraddistinguerà. Nel 1988 firmano un contratto con la Silvertone Records e registrano il loro terzo singolo, Elephant Stone, un nuovo vortice di suoni ritmato e psichedelico che negli anni si impone come classico del Britpop, nei mesi seguenti le esibizioni live del gruppo iniziano a registrare il tutto esaurito. Nel marzo del 1989 i Roses pubblicano il primo album, The Stone Roses, prodotto da John Leckie. L'album è considerato uno dei capisaldi del British Rock. Tra i pezzi che lo compongono si ricordano I Wanna be Adored, She Bangs the Drums, Waterfall, This is the One e I Am the Resurrection. I singoli estratti, Made of Stone e She Bangs the Drums, attraversati da una piacevole ed orecchiabile vena pop, ottennero un discreto successo commerciale.

Nel novembre dello stesso anno il gruppo pubblicò il singolo con doppio lato a Fools Gold/What the World is Waiting for, che raggiunse la posizione numero 8 nelle classifiche inglesi nel novembre 1989 e che ha rappresentato un cambiamento verso un suono meno pop e più sperimentale rispetto alle pubblicazioni precedenti. Originariamente concepita come b-side, Fools Gold, di cui furono pubblicate in seguito varie edizioni remix, e grazie all'interpretazione al programma Top of the Pops che ne aumentò la loro popolarità, divenne presto il pezzo più noto degli Stone Roses.

In seguito al successo raggiunto dal gruppo, la loro ex etichetta discografica, la FM Revolver, pubblicò nuovamente il singolo Sally Cinnamon corredato da un videoclip della canzone. La pubblicazione di questo video fece infuriare i componenti del gruppo, soprattutto perché lo ritenevano un prodotto di scarsa qualità. Il gruppo si recò quindi negli uffici della FM Revolver il 30 gennaio 1990 e dopo una discussione con il direttore della FM, Paul Birch, imbrattarono di vernice (restando fedeli alla passione di John Squire per la pittura di Jackson Pollock, cui si ispiravano le copertine di album d'esordio e singoli, create dallo stesso Squire) sia le pareti dell'ufficio che lo stesso Birch e la sua ragazza, e per finire fecero la stessa cosa con 2 macchine parcheggiate fuori dalla sede della casa discografica. In conseguenza di questo, vennero arrestati e processati, e nell'ottobre dello stesso anno vennero giudicati colpevoli e condannati a pagare ognuno 3.000 sterline di risarcimento oltre alle spese processuali.

Sempre nel 1990 gli Stone Roses organizzarono un concerto a Spike Island, Widnes,un luogo ben conosciuto per la presenza massiccia di industrie chimiche e impianti industriali di vario genere, non troppo indicato per eventi musicali. Il concerto si svolse il 27 maggio e fu seguito da circa 27.000 persone. L'evento al periodo venne considerato un fallimento a causa di problemi di suono (i più ricordano un forte vento che spostava il suono in modo tale che sembrasse provenire da una certa parte, mentre il palco era di fronte e la band suonava davanti a loro) e per la cattiva organizzazione, ma successivamente diventò una sorta di leggenda. Gli Stone Roses dimostrarono così che anche i gruppi "indie" potevano organizzare eventi alla stregua dei "grandi" della musica, come ad esempio gli U2 ed i Queen. Dopo l'esperienza di Spike Island, organizzarono un altro grande concerto nel parco Glasgow Green di Glasgow, e in luglio realizzarono l'ultimo singolo per la Silvertone, One Love.

Il singolo raggiunse la posizione numero 4 delle classifiche inglesi, il miglior risultato raggiunto fino a quel momento. Tuttavia, molti individuarono nel nuovo brano i sintomi di un primo calo di ispirazione (il pezzo in questione si sviluppava su di un loop di batteria molto simile a quello della precedente hit Fools Gold), e lo stesso Brown in seguito parlò di One Love come di un "passo falso", rivelando di come la band fosse intenzionata a creare un anthem, intento fallito a causa di un chorus, sempre a detta del cantante, non abbastanza forte e deciso. Dopo la realizzazione di questo singolo, le cose si complicarono. One Love infatti fu l'ultima pubblicazione originale fino al successivo Second Coming pubblicato ben 4 anni dopo. Tutto questo accadde per la battaglia legale che gli Stone Roses intrapresero per sciogliere il contratto con la Silvertone. Il gruppo perderà quindi il momento favorevole, e sparirà dalla scena musicale, come detto, per i successivi 4 anni.

Secondo album e scioglimento

Dopo 4 anni di battaglie legali con la Silvertone, finalmente il gruppo riuscì a svincolarsi dal contratto con quest'ultima e siglò un altro contratto con la Geffen Records. Verso la fine del 1994, ben 5 anni dopo la pubblicazione di The Stone Roses, venne pubblicato il secondo album Second Coming. Per la maggior parte composto da John Squire, l'album presenta una musica più cupa con forti contaminazioni blues rock, ispirata dai Led Zeppelin. Nonostante il buon lavoro svolto sul singolo Love Spreads che raggiunse il secondo posto nella UK Chart, l'album fu stroncato da gran parte della critica inglese. Ciononostante l'album riscosse comunque un buon successo negli Stati Uniti. Degna di nota anche la struggente Ten Storey Love Song, quanto di più vicino si possa trovare agli esiti del primo album. Del singolo, che fallì l'impresa di entrare nella top 10 britannica, è opinione comune fra i fan che se fosse stato pubblicato come pezzo di ritorno dopo la prolungata assenza, quindi al posto di Love Spreads, avrebbe raggiunto la vetta delle chart. Nel relativo videoclip accanto ai tre membri superstiti (Brown, Squire e Mounfield), compare una quarta figura che indossa solamente una maschera con il viso del batterista Reni, che aveva da poco lasciato la band per motivi personali.

Durante l'assenza prolungata per le cause legali sopracitate, il gruppo accumulò una notevole distanza dalla scena musicale del periodo. Il panorama musicale era cambiato, dominato da gruppi quali Ocean Colour Scene, Suede, Blur e in particolare Oasis, la band più direttamente influenzata dagli Stone Roses. Si era infatti in piena ondata Britpop, della quale gli Stone Roses sarebbero stati indicati come fondatori.

Nel marzo del 1995 Reni lasciò il gruppo, e questo fu l'inizio della fine per gli Stone Roses. Fu inserito al suo posto Robbie Maddix, che aveva lavorato anche con i Simply Red, tecnicamente apprezzabile ma non al livello del suo predecessore. Nello stesso tempo venne ingaggiato per le esibizioni dal vivo il tastierista-programmatore Nigel Ippinson, che aveva già lavorato con il gruppo nel remix di Begging You per la realizzazione del singolo.

Fu programmato un tour segreto per il ritorno dei Roses dal vivo, ma lo stesso fu cancellato dopo che la stampa musicale annunciò le date. Un altro duro colpo per il gruppo fu la cancellazione della loro esibizione al Festival di Glastonbury del giugno 1995, a causa dell'incidente capitato a John Squire in mountain bike nel nord della California poche settimane prima del festival, e cui venne prescritto il collare. Alla fine il gruppo programmò un tour per novembre e dicembre del 1995 e tutte le date fecero tutto esaurito in una giornata.

John Squire lasciò comunque il gruppo il 1º aprile 1996, tra la rabbia degli altri componenti, in particolare di Ian Brown, che affermò che Squire aveva preso le distanze dagli altri componenti e che facesse frequentemente uso di cocaina. Dalla sua, l'ex chitarrista negò l'abuso di droga e parlò senza mezzi termini di Brown come di uno "spliffhead" (gergalmente "cannato"), attribuendo al frontman le colpe principali circa la difficoltà a far procedere il lavoro in studio per Second Coming alle pessime condizioni vocali di Brown. Squire venne quindi sostituito da Aziz Ibrahim (già turnista con Asia e Simply Red). Anche Slash dei Guns N' Roses si offrì come sostituto di Squire, ma il gruppò rifiutò l'offerta con un secco "No, odiamo i Guns N' Roses, fanculo!". Brown, fra l'altro, ironizzò sulla questione chiedendo se per caso Slash avesse intenzione di portare con sé anche un serpente (riferendosi al video dei Guns N' Roses, Patience). Il gruppo continuò a suonare così per altri sei mesi, ma dopo la disastrosa esibizione al Festival di Reading del 1996, nella quale i fan li fischiarono e tirarono oggetti sul palco, decisero di sciogliersi definitivamente.

Dopo lo scioglimento

Nel 1998 John Robb scrisse un libro bestseller sul gruppo, The Stone Roses and the Resurrection of British Pop, che in maniera dettagliata descrive l'ascesa e la caduta del gruppo. Gli Stone Roses rimangono uno dei gruppi inglesi più influenti di sempre, capaci, con un solo grande album, di spianare la strada ad una generazione di nuovi musicisti - gli esponenti del brit pop- e di continuare a far parlare di loro anche nel nuovo millennio, segno questo che autorizza a ritenere il quartetto di Manchester un punto di riferimento importante nel panorama musicale degli ultimi vent'anni. Dopo lo scioglimento le strade dei componenti non si sono mai del tutto divise. Solo fra Brown e Squire si creò un irrimediabile silenzio.

Brown intraprese una carriera solista con notevole successo a partire dal 1998.

Squire fondò, con il cantante Chris Helme, i Seahorses, che misero a segno la hit Love Is the Law nel 1997, per poi sciogliersi. Nel 2002 realizzò anche il suo primo album da solista, Time Changes Everything, a cui nel 2004 seguì Marshall's House. Durante i suoi concerti eseguiva anche canzoni degli Stone Roses, come Waterfall e Your Star Will Shine.

Gary Mounfield ha collaborato saltuariamente con l'amico Ian Brown ma dal 1998 divenne membro fisso dei Primal Scream di Bob Gillespie che anche grazie al suo arrivo la band ha ritrovato ispirazione e successo.

A lungo si vociferò di un improbabile sogno rock'n'roll, secondo cui Mounfield e Squire avrebbero dovuto prendere il posto rispettivamente di Paul Guigsy McGuigan e Paul Bonhead Arthurs, al tempo in cui questi lasciarono gli Oasis, nel 1999, dando vita così ad un vero e proprio super-gruppo, ma non se ne fece mai nulla, sebbene Oasis ed ex membri degli Stone Roses siano legati da forti rapporti di amicizia. In particolare nel 1996 Squire suonò a Knebworth con gli Oasis la canzone Champagne Supernova e la reinterpretazione dei Beatles I Am the Walrus. Liam Gallagher co-firmò con Squire un brano dei Seahorses, Love Me and Leave Me e Noel Gallagher nel 2001 realizzò con Ian Brown il singolo di quest'ultimo, Keep What Ya Got.

Reni formò un nuovo gruppo nel 1999, The Rub, con il quale fece una serie di concerti. Nel 2004 ha realizzato il suo primo album da solista.

Aziz Ibrahim suonò la chitarra in alcune tracce del primo album di Ian Brown e successivamente andò in tour con lui. Ha anche partecipato alla stesura di molto del materiale presente negli album solisti dello stesso Brown.

I componenti degli Stone Roses si erano incontrati tutti qualche mese fa al funerale della madre del bassista Mani, e subito la stampa aveva strumentalizzato. Successivamente hanno deciso di tornare insieme. Nella conferenza stampa al London’s Soho Hotel Ian Brown ha detto: "Siamo qui per risollevare le persone".

Nell'ottobre 2004 Fools Gold compare nella radio alternative rock Radio X nel videogioco Grand Theft Auto: San Andreas.

Reunion

Il 18 ottobre 2011 la band in una conferenza stampa annuncia il suo ritorno con la storica formazione al completo per tre grandi concerti a Heaton Park, Manchester, in programma il 29 e il 30 giugno e il 1º luglio seguenti. In soli 68 minuti sono stati venduti 220.000 biglietti. Nel 2012 è stato programmato un tour euro-asiatico denominato Reunion Tour, che iniziato il 16 e 17 giugno 2012, ha fatto tappa in Svezia all'Hulstfred Festival, è passato poi per la Danimarca e la Germania ed è tornato Manchester il 29 e 30 giugno e il 1º luglio 2012. Il tour è proseguito poi in Irlanda, Scozia, Spagna, Portogallo e Italia. Seguono altre date in Giappone, Corea del Sud, Ungheria. Il tour termina in Inghilterra al V Festival di Chelmsford & Stafford il 18 agosto 2012.

Riconoscimenti

L'album di debutto degli Stone Roses ha avuto numerosi riconoscimenti dalla stampa musicale inglese, come per esempio:

nel 2003, il NME ha votato The Stone Roses come il numero 1 degli album di tutti i tempi, davanti a lavori di gruppi come Pixies e The Beach Boys.

nel giugno 2004, il settimanale The Observer decretò The Stone Roses come il numero 1 degli album inglesi di tutti i tempi (battendo Beatles e Rolling Stones), dopo aver combinato insieme le classifiche di 100 tra giornalisti e musicisti.

nel 2006, il NME votò The Stone Roses come numero 1 degli album inglesi di tutti i tempi, battendo The Queen is Dead degli Smiths e Definitely Maybe degli Oasis.

i giornalisti ed i lettori di Q magazine l'hanno votato:

numero 29 miglior album inglese di tutti i tempi (giugno 2000)

numero 9 miglior album tra i migliori album dalla nascita del giornale (ottobre 2006)

numero 6 miglior album di tutti i tempi (febbraio 2006), in seguito ai precedenti sondaggi che li classificava al numero 7 (gennaio 2003) ed al numero 4 (febbraio 1998)

numero 5 miglior album degli anni ottanta (agosto 2006)

Formazione

(novembre 1987 - marzo 1995 e 2011 - presente)

Ian Brown - voce
John Squire - chitarra, cori
Mani (Gary Mounfield) - basso
Reni (Alan Wren) - batteria, percussioni, cori

Altri componenti

Andy Couzens - chitarra (1984 - luglio 1986)
Pete Garner - basso (febbraio 1984 - agosto 1987)
Cressa (Steve Cressa) - tecnico del suono live (1989 - 1990)
Robbie Maddix - batteria, percussioni, cori (aprile - luglio 1995)
Nigel Ippinson - tastiere, cori (1995 - 1996)
Aziz Ibrahim - chitarra (1996)

Discografia

Album studio

1989 - The Stone Roses (Silvertone)
1994 - Second Coming (Geffen)

Compilation

1992 - Turns into Stone
1995 - The Complete Stone Roses
1997 - Garage Flower
2000 - Remixes
2002 - The Very Best of The Stone Roses

Singoli

1985 - So Young
1987 - Sally Cinnamon
1988 - Elephant Stone
1989 - Made of Stone
1989 - She Bangs the Drums
1989 - Fools Gold/What the World is Waiting For
1990 - One Love
1991 - I Wanna Be Adored
1992 - Waterfall
1992 - I Am the Resurrection
1994 - Love Spreads
1995 - Ten Storey Love Song
1995 - Fools Gold '95
1995 - Begging You
1996 - Crimson Tonight
1999 - Fools Gold '99

fonte: Wikipedia

THE STONE ROSES - FULL ALBUM

30/05/15

Kultura italiana in Italia, benvenuti nel chiasso del nulla

Kultura italiana in Italia = ultimo modello di smartphpone; ultimo modello di tablet; ultimo modello di app; ultimo modello di televisore; ultimo modello di auto; lavare l’auto col detersivo nel cortile di casa; squadra di calcio, comprensiva di allenatore, presidente e bilancio; Tg1; Tg5; la cronaca nera; Renzusconi; il Bunga Bunga; l’evasione fiscale; le escort; le veline; la moglie trofeo; la fidanzata trofeo; l’accompagnatrice trofeo; la segretaria trofeo; la presentatrice trofeo; le ministre trofeo; Maria De Filippi; Antonella Clerici; Carlo Conti; il film di Natale; il Papa santo; il presidente della Repubblica santo; tutti i santi metropolitani e regionali; la messa della domenica mattina; le bestemmie; il presidente del Consiglio cantastorie; Matteo Salvini; le brave persone che seguono Matteo Salvini; il famoso presentatore televisivo scrittore; il famoso politico scrittore; il famoso attore scrittore; il famoso calciatore scrittore; il famoso cuoco scrittore; il famoso giornalista scrittore; il famoso scrittore scrittore;
Dolce & Gabbana; la parrucchiera; l’estetista; fare footing parlando al alta voce; i Tq; il festival di Sanremo; Sky; i giochi on-line; i telequiz; Luciano Ligabue; Laura Pausini; Andrea Bocelli; Giovanni Allevi; Fabio Volo; Il Volo; l’aperitivo; tutto ciò che è Carlo Contimangereccio, preferibilmente a base di salumi, vino bianco e fritti; Carlo Cracco; il nouveau ragu à l’italienne: col cioccolato, il cotechino fritto nell’Amaretto di Saronno, la marmellata fritta nello strutto, la salsiccia fritta nel miele, l’aglio fritto nel patchouli; la Confindustria; la Confcommercio; la Confagricoltura; l’Asppi; l’Uppi; l’Abi; la Confapi; gli affitti in nero; il lavoro nero; il commercio in nero; la Mafia; i tatuaggi; i telefilm americani; i film americani; gli attori americani; i cantanti americani; gli atleti americani; i poliziotti americani; i soldati americani; i serial killer americani; gli adolescenti americani; i wasp americani; i negri americani;
i bambini canterini in televisione; i bambini in pubblicità; i bambini nei telefilm; i bambini nella fame nel mondo; i pianti in televisione; gli abbandoni in televisione; le confessioni in televisione; gli amori in televisione; i giuramenti in televisione; i contratti in televisione; gli insulti in televisione; gli insulti alle donne; gli insulti; i gesti osceni mentre si guida l’auto; la polizia; i carabinieri; i due marò; parcheggiare sulle strisce pedonali; parcheggiare sul marciapiede; parcheggiare sulla pista ciclabile; andare con la moto sulla pista ciclabile; andare con la moto nel parco pubblico; gli abusi edilizi; gli abusi finanziari; Fabio Volole discariche abusive di rifiuti; i condoni; le deroghe; l’emergenza; la crisi; la crescita; che cazzo menefregaammé; la Spending Review.
Kultura italiana in Italia 2 = gli annunci patacca. E’ costume consolidato da parte dei centri di potere lanciare annunci forti, spettacolari, e reiterarli per un tempo sufficiente a farli entrare a forza nell’Archetipo dell’inconscio collettivo. In questo, il “Presidente del Consiglio” attuale è un maestro assoluto, e ha fatto scuola. Gli annunci vanno ripetuti, con scansioni variabili a seconda delle dinamiche (variabili) a cui si riferiscono. Se sono diretti, cioè recitati dal “ministro” di turno, o addirittura dal “Presidente del Consiglio” in persona, vanno accompagnati da una mimica al contempo rassicurante e autorevole, di chi non è sfiorato dal dubbio, e deve sottendere un agire positivo, “giovane”, energico, e soprattutto liberista, che è una delle grandi passioni della kultura italiana in Italia.
Uno degli ultimi, e uno dei più patacca di tutti i pataccari, è stato quello secondo il quale le variazioni catastali conseguenti a interventi edilizi di unità immobiliari siano “tempestivamente inoltrate” direttamente dai comuni all’Agenzia del Territorio (cioè il Catasto), con la fine lavori della pratica edilizia. E’ uno degli articoli del cosiddetto Decreto Sblocca Italia (133/2014), sul quale il “governo” ha puntato molte carte mediatiche: “semplificazione”, lotta alla burocrazia, il fare, il non pagare ecc. Così, i Comuni sono stati inondati da tecnici e da cittadini che chiedevano l’applicazione di questa norma. L’avevano sentito e visto in Tv e in radio, santo cielo! Non si paga, ed è tutto più semplice! “Ci pensa il Comune”. E’ stata una bufala, una norma inapplicabile e inapplicata. A parte problemi molto seri di personale, che i Comuni scontano in seguito ai tagli delle risorse, tra Renzi Pinocchioi due enti non esiste un linguaggio informatico condivisibile: l’Agenzia del Territorio usa una piattaforma e una banca dati indisponibili ai comuni. E’ un linguaggio che va costruito, con un grande investimento di tempo e di denaro. Ma cosa interessa ai professionisti degli annunci?
Nulla! L’importante è sostituire la realtà con l’annuncio, nutrire certi rancori della popolazione, reiterarlo fino a che è possibile, poi abbandonarlo e sostituirlo con un altro, altrettanto “forte”, enfatico, “giovane” e positivo. Funziona. Il cittadino si accorge che quello precedente si è rivelato una patacca, ma c’è già quello nuovo a riempire gli spazi, a stimolare aspettative. Così lo dimentica presto, mentre resta quel brivido liberista, come traccia, come “segno mondano”, come l’avrebbe definito Deleuze, il segno del vuoto, del nulla, dell’ingannevole, dell’effimero, il segno che passa e va, mentre quello nuovo si fa strada e genera altro vuoto, altri inganni. Così si tira avanti con questa straordinaria complicità tra ingannatori e ingannati, che si basa sul complesso e al tempo stesso primordiale sistema dei segni mondani, il codice non tanto segreto che costituisce il vero, solido e palpitante organo vitale della kultura italiana in Italia.
(Mauro Baldrati, “Kultura italian in Italia”, da “Carmilla online” del 21 maggio 2015).

fonte: www.libreidee.org

29/05/15

labirinto di Fontanellato



SITO DI FRANCO MARIA RICCI


Domus Aurea



« Bene! Finalmente posso cominciare a vivere come un essere umano! »

(Nerone, entrando per la prima volta nella sua Domus Aurea)

"Casa d'oro" in latino, era la Villa urbana costruita dall'imperatore romano Nerone dopo il grande incendio che devastò Roma nel 64 d.C..

La Domus Aurea, come tutto il Centro storico di Roma, le Zone extraterritoriali della Santa Sede in Italia e la Basilica di San Paolo fuori le mura, è stata inserita nella lista dei Patrimoni dell'umanità dall'UNESCO nel 1980.

Storia

Struttura

Costruita in mattoni e in pietra e nei pochi anni tra l'incendio e la morte di Nerone nel 68, gli estesi rivestimenti in oro colato che le diedero il suo nome non erano gli unici elementi stravaganti dell'arredamento: vi erano soffitti stuccati incrostati di pietre semi-preziose e lamine d'avorio. Plinio il Vecchio assistette alla sua costruzione (La Storia Naturale xxxvi. 111).

La residenza dell'imperatore giunse a comprendere il Palatino, le pendici dell'Esquilino (Oppio) e parte del Celio, per un'estensione di circa 250 ettari. La maggior parte della superficie era occupata da giardini, con padiglioni per feste o di soggiorno. Al centro dei giardini, che comprendevano boschi e vigne, nella piccola valle tra i tre colli, esisteva un laghetto, in parte artificiale, sul sito del quale sorse più tardi il Colosseo. Nerone commissionò anche una colossale statua in bronzo di 35 metri raffigurante se stesso, vestito con l'abito del dio-sole romano Apollo, il Colossus Neronis, che fu posto di fronte all'entrata principale del palazzo sul Palatino. Il colosso fu successivamente riadattato con le teste di vari successivi imperatori, prima che Adriano lo spostasse per far posto al tempio di Venere e Roma e l'Anfiteatro Flavio prese quindi il nome di Colosseo nel Medio Evo, proprio da questa statua. La vera residenza di Nerone rimase comunque nei palazzi imperiali del Palatino.

La parte conservata al di sotto delle successive terme di Traiano sul colle Oppio era essenzialmente una villa per feste, con 300 stanze e non una camera da letto e neppure sono state scoperte cucine o latrine. Le camere rivestite di marmo finemente levigato componevano intricate planimetrie, composte di nicchie ed esedre che concentravano o disperdevano la luce del sole. V'erano piscine sui vari piani, e fontane nei corridoi. Nerone s'interessò in ogni dettaglio del progetto, secondo gli Annali di Tacito, e supervisionava direttamente gli architetti Celere e Severo.

Alcune delle stravaganze della Domus Aurea ebbero ripercussioni sul futuro. Gli architetti disegnarono due delle sale da pranzo principali in modo che fiancheggiassero un cortile ottagonale, sormontato da una cupola con un gigantesco abbaino centrale che lasciava entrare la luce del giorno. La cupola era completamente costruita in cementizio ed impostata su di un ottagono di base; la prima parte della cupola segue un andamento a spicchi ottagonali (come la cupola del Brunelleschi di S.Maria del Fiore a Firenze), mentre la seconda parte assume una forma circolare. La parte centrale sormontata dalla cupola svolge funzione di un triclino romano, dove l'imperatore si manifestava come divino, tramite gli effetti di luce che l'abbaino della cupola filtrava, assimilandosi al dio Apollo.

Alla pianta ottagonale si riconducono pure degli spazi laterali che fungevano sia da ambulacri che da elementi di contraffortamento per la cupola; a questi spazi si accedeva tramite delle grandi luci sovrastate da piattabande in laterizio. Fu questo, probabilmente uno dei modelli da cui trasse ispirazione la celeberrima cupola del Pantheon: si tratta in effetti di un esempio precoce dell'utilizzo della tecnica del cementizio, che era stata elaborata dai romani a partire dal II secolo a.C. per lo sviluppo di ampi e articolati spazi interni, tipico dell'architettura romana. Un'altra innovazione era destinata ad avere una grande influenza sull'arte futura: Nerone pose i mosaici, precedentemente riservati ai pavimenti, sui soffitti a volta. Ne sopravvivono soltanto dei frammenti, ma questa tecnica sarebbe stata imitata costantemente, per diventare un elemento fondamentale dell'arte cristiana: i mosaici che decorano innumerevoli chiese a Roma, Ravenna, Costantinopoli e in Sicilia.

Si tramanda che gli architetti Celere e Severo avessero creato anche un ingegnoso meccanismo, mosso da schiavi, che faceva ruotare il soffitto della cupola come i cieli dell'astronomia antica, mentre veniva spruzzato profumo insieme a petali di rosa che cadevano sui partecipanti al banchetto.

«Nerone tenne le feste migliori di tutti i tempi», spiegò l'archeologo Wallace-Hadrill ad un giornalista alla riapertura della Domus Aurea nel 1999, dopo anni di chiusura per restauri. «Trecento anni dopo la sua morte, durante gli spettacoli pubblici, venivano ancora distribuiti gettoni con la sua effigie — un "souvenir" del più grande showman di tutti». Nerone, ossessionato dal suo status d'artista, certamente guardava alle sue feste come opere d'arte.

Gli affreschi ricoprivano ogni superficie che non fosse ancor più rifinita; si tratta di uno dei primi esempi di quarto stile pompeiano. L'artista principale era Fabullus. La tecnica dell'affresco, applicata al gesso fresco, richiede un tocco veloce e sicuro: Fabullo e i suoi collaboratori ricoprirono una percentuale impressionante dell'area. Plinio, nella sua Storia Naturale, racconta come Fabullo si recasse solo per poche ore al giorno alla Domus, per lavorare solo quando la luce era adatta. La rapidità dell'esecuzione di Fabullo dona un'unità straordinaria alla sua composizione, e una delicatezza sorprendente alla sua esecuzione.

L'epoca imperiale

Dopo la morte di Nerone, il terreno della Domus Aurea venne «restituito al popolo romano» dagli imperatori successivi. In circa un decennio la dimora neroniana venne spogliata dei suoi rivestimenti preziosi: i cantieri per le terme di Tito erano già avviati nel 79 d.C. Vespasiano utilizzò lo spazio in cui era stato scavato il lago artificiale per costruire l'Anfiteatro Flavio, col Colossus Neronis nei suoi pressi. Anche le terme di Traiano ed il Tempio di Venere e Roma risiedono nel terreno occupato dalla Domus. In quarant'anni, la Domus Aurea fu completamente sepolta sotto nuove costruzioni, ma paradossalmente questo fece in modo che i "grotteschi" dipinti potessero sopravvivere; la sabbia funzionò come le ceneri vulcaniche di Pompei, proteggendoli dal loro eterno nemico, l'umidità.

Quando un giovane romano cadde accidentalmente in una fessura sul versante del colle Oppio alla fine del XV secolo, si ritrovò in una strana grotta, piena di figure dipinte. Ben presto i giovani artisti romani presero a farsi calare su assi appese a corde per poter vedere loro stessi. Gli affreschi scoperti allora sono ormai sbiaditi in pallide macchie grigie sul gesso, ma l'effetto di queste decorazioni grottesche, per l'appunto, furono elettrizzanti per l'intero Rinascimento. Quando il Pinturicchio, Raffaello e Michelangelo s'infilarono sotto terra e furono fatti scendere lungo dei pali per poter studiare queste immagini, ebbero una rivelazione di quel che era il vero mondo antico. Essi, ed altri artisti che, come Marco Palmezzano, lavoravano a Roma in quegli anni, si diedero a diffondere anche nel resto d'Italia tali "grottesche".

Accanto alle firme di illustri e successivi turisti incise sugli affreschi, quali quelle di Giacomo Casanova e del Marchese de Sade, distanti di pochi centimetri l'una dall'altra, si possono leggere anche le firme di Domenico Ghirlandaio, Martin van Heemskerck, e Filippino Lippi.

L'effetto sugli artisti rinascimentali fu istantaneo e profondo: lo si può notare in maniera ovvia nella decorazione di Raffaello per le logge nel Vaticano. La scoperta, però, provocò anche l'ingresso dell'umidità nelle sale, e questo avviò il processo di lento, inevitabile decadimento. Alla forte pioggia fu attribuito anche il crollo d'una parte del soffitto.

Epoca contemporanea

La riapertura di una parte del complesso, chiuso subito dopo il crollo, era prevista per il gennaio 2007, ma il monumento continua a soffrire di una situazione a rischio, dovuta al traffico, alle radici degli alberi del giardino e ad altri problemi riguardanti l'area, che impediscono di proseguire lo scavo e l'esplorazione.

Il 30 marzo 2010 crolla la volta di ingresso ad una galleria che portava alla Terme Traianee, costruite sopra la struttura neroniana dall'imperatore Traiano nell'anno 104.

fonte: Wikipedia

DOCUMENTARIO

28/05/15

Craco, paese fantasma


VEDUTA


ROVINE


VEDUTA DELLA CHIESA MADRE


VEDUTA DELL'ABITATO E DELLA CHIESA MADRE


INTERNO DI UN EDIFICIO ABBANDONATO

Cracum o Graculum in latino, è un comune italiano di 762 abitanti della provincia di Matera in Basilicata.

Negli anni sessanta, il centro storico ha conosciuto un'evacuazione che lo ha reso una vera e propria città fantasma. Tuttavia, questo fenomeno ha contribuito a rendere particolare l'abitato di Craco, che per tale caratteristica è diventato una meta turistica ed un set cinematografico per vari film.

Geografia fisica

Craco sorge nella zona collinare che precede l'Appennino Lucano a circa 390 m s.l.m., a mezza strada tra i monti e il mare, nella parte centro-occidentale della provincia. Il territorio è vario, con predominanza dei calanchi, profondi solchi scavati in un terreno cretoso dalla discesa a valle delle acque piovane.

I comuni limitrofi sono Pisticci (20 km), Montalbano Jonico e Stigliano (25 km), San Mauro Forte (27 km), Ferrandina (33 km). Dista 58 km da Matera e 104 km dal capoluogo di regione Potenza.

Storia

Fondazione

Le prime tracce delle origini di Craco sono alcune tombe, che risalgono all'VIII secolo a.C. Come altri centri viciniori, è probabile che abbia offerto riparo ai coloni greci di Metaponto, quando questi si sono trasferiti in territorio collinare, forse per sfuggire alla malaria che imperversava nella pianura.

Craco fu successivamente un insediamento bizantino. Nel X secolo monaci italo-bizantini iniziarono a sviluppare l'agricoltura della zona, favorendo l'aggregamento urbano nella regione.

La prima testimonianza del nome della città è del 1060, quando il territorio fu sottoposto all'autorità dell'arcivescovo Arnaldo di Tricarico, che chiamò il territorio Graculum, ovvero piccolo campo arato.

Medioevo

Erberto, di probabile origine normanna, ne fu il primo feudatario tra il 1154 e il 1168. La struttura del borgo antico risale a questa epoca, in cui le case sono arroccate intorno al torrione quadrato che domina il centro. Durante il regno di Federico II, Craco fu un importante centro strategico militare. Il torrione infatti domina la valle dei due fiumi che scorrono paralleli, il Cavone e l'Agri, via privilegiata per chi tentava di penetrare l'interno. La torre di Craco, insieme ad altre fortificazioni ed avamposti della zona, come la Petrolla, di rimpetto a Craco, erano barriera di protezione per città al tempo ricche quali Pandosia e Lagaria, entrambe al di là dell'Agri, entrambe prospicienti la Siritide.

Nel 1276 Craco divenne sede di una Universitas. Nel XV secolo, la città si espanse intorno ai quattro palazzi:

Palazzo Maronna, vicino alla torrione, con bell'ingresso monumentale in mattoni, e con grande balcone terrazzato.

Palazzo Grossi, vicino alla Chiesa Madre, ha un alto portale architravato, privo di cornici. I piani superiori sono coperti da volte a vela e decorati con motivi floreali o paesaggistici racchiusi entro medaglioni. Parte delle finestre e dei balconi conservano ringhiere in ferro battuto.

Palazzo Carbone, edificio della fine del Quattrocento, ha un ingresso monumentale. Nel Settecento, il palazzo fu rinnovato ed ampliato.

Palazzo Simonetti.

Moti rivoluzionari e brigantaggio

Nel 1799 Innocenzo De Cesare, studente a Napoli, rientrò a Craco, e capeggiò il movimento della "borghesia rurale", movimento rivoluzionario della Repubblica partenopea che si proponeva, con sommosse e tumulti in tutta la regione, di rompere i rapporti feudatari che caratterizzavano l'agricoltura del tempo. A Craco, la rivolta fu sedata nel sangue, a Palazzo Carbone.


Veduta dell'abitato e della chiesa madre, dove si è consumata la catastrofe della frana
Come gran parte dei centri lucani, anche Craco non fu estranea al brigantaggio. Durante il decennio napoleonico, bande di briganti comandate da capimassa come Domenico "Rizzo" Taccone, Nicola "Pagnotta" Abalsamo e Gerardo "Scarola" Vota, sostenute dal governo borbonico in esilio, attaccarono Craco il 18 luglio 1807, depredando e uccidendo i notabili filofrancesi e dando libero sfogo a vendette personali.

L'8 novembre 1861, nel pieno della reazione borbonica poco dopo l'unità d'Italia, l'armata brigantesca di Carmine Crocco e José Borjés, dopo aver occupato e devastato Salandra, si diresse verso Craco. Crocco raccontò nelle sue memorie che incontrarono «a mezza via una processione di donne e fanciulli con a capo il curato colla croce. Venivano a chiedere clemenza per il loro paese e clemenza fu accordata, poiché non si verificarono che piccoli disordini difficili ad evitarsi con tanta gente e più semplicemente con gente di tal natura». Secondo altre versioni, sembra che i disordini avvenuti a Craco non fossero del tutto marginali, tant'è che Borjès annotò nel suo diario: «riuniamo la truppa [...] poi abbiam fatto strada verso Cracca (Craco), ove noi siam giunti a tre ore di sera: la popolazione intiera ci è venuta incontro; e malgrado di ciò, avvennero non pochi disordini».

Sui fatti di Craco e sulla situazione esistente dopo l’uscita del paese delle bande in marcia verso Aliano, ne parlò anche Giuseppe Bourelly, militare del regio esercito che partecipò alla repressione del brigantaggio in Basilicata, il quale sugli avvenimenti di quelle giornate riporta: «Intanto il Maggiore Cappa del 50° di linea informato che Borjés con la sua banda minacciava invadere Miglionico, Grassano e Grottole, radunava in Altamura tutte le truppe ch’erano pronte e si metteva in marcia per Miglionico. Da questo paese andò a Pisticci e da qui si portò a Craco che trovò saccheggiato e nel massimo disordine».

In questo periodo si distinse un brigante crachese chiamato Giuseppe Padovano, ex soldato borbonico datosi alla macchia. Il suo soprannome era "Cappucino" in quanto da giovane frequentava il monastero di Craco per poter studiare. Essendo dunque un uomo di cultura fra tanti analfabeti riuscì a spiccare fra tutti in tutta la zona crachese e pisticcese.

Abbandono

A causa di una frana di vaste proporzioni, nel 1963 Craco iniziò ad essere evacuata e parte degli abitanti si trasferì a valle, in località "Craco Peschiera". Allora il centro contava quasi 2000 abitanti. La frana che ha obbligato la popolazione ad abbandonare le proprie case sembra essere stata provocata da lavori di infrastrutturazione, fogne e reti idriche, a servizio dell'abitato. Nel 1972 un'alluvione peggiorò ulteriormente la situazione, impedendo un'eventuale ripopolazione del centro storico e dopo il terremoto del 1980 Craco vecchia venne completamente abbandonata.

Paese fantasma

Ad onta di questo esodo forzato, Craco è rimasta intatta, trasformandosi in un paese fantasma. Nel 2010, il borgo è entrato nella lista dei monumenti da salvaguardare redatta dalla World Monuments Fund.

Il comune, nella realizzazione di un piano di recupero del borgo, ha istituito, dalla primavera del 2011, un percorso di visita guidata, lungo un itinerario messo in sicurezza, che permette di percorrere il corso principale del paese, fino a giungere a quello che resta della vecchia piazza principale, sprofondata in seguito alla frana. Nel dicembre 2012, è stato inaugurato un nuovo itinerario, che permette di addentrarsi nel nucleo della città fantasma.

Nel 2013, il centro storico ha registrato un'affluenza di circa 5.000 visitatori.

Monumenti e luoghi d'interesse

Numerosi turisti salgono a Craco per vedere le rovine del paese fantasma e per avventurarsi tra i vicoli e i dintorni. Il terreno argilloso e brullo coesiste con quello marnoso: su uno sperone di marna calcificata dal tempo sorge il torrione, che per i Crachesi è il "castello". Olivi secolari misti a cipressi antichi sono dal lato del paese verso lo Scalo, quest'ultimo sulla ferrovia calabro lucana da questo lato divelta e abbandonata.

Le contrade

"Canzoniere": prende il nome da un'antica taverna posta lungo un tratturo una volta molto frequentato. La storia vuole che a gestire la taverna fosse una donna affascinante che riduceva in suo potere i malcapitati sedotti dalla sua avvenenza: la maliarda li uccideva e li metteva sotto aceto, facendone il piatto forte della sua osteria.

"San Lorenzo": un'antica fontana a volta, sulla via verso il Cavone dove palme alte convivono con gli olivi sullo sfondo di masserie, arroccate e nel contempo aperte al territorio, come quelle "Galante" e "Cammarota", con il loro svolgersi su due livelli, gli archi che reggono la scala esterna e i terrazzi che sembrano spalti a difesa di non improbabili attacchi.

"Sant'Eligio": protettore dei maniscalchi trova in Craco un tributo che va al di là della semplice menzione toponomastica, con la sua cappella affrescata, forse del Cinquecento, con le sue scene di santi intorno a un Cristo che pur crocifisso resta Pantocratore.

Cultura

Cinema

Craco è stata scelta da molti registi come location per i loro film. Da citare La passione di Cristo (2004) di Mel Gibson, ove Craco fu scelta dal regista come sfondo durante la scena dell'impiccagione di Giuda, e Cristo si è fermato a Eboli (1979) di Francesco Rosi: nell'episodio dell'arrivo di Carlo Levi alla nuova destinazione di confino, Gagliano. Per l'occasione furono disposti sulle prime case del paese degli stendardi a lutto, per ricreare lo scenario descritto nel libro, i quali ancora oggi sono visibili.

Altri film girati a Craco sono:

1953: La lupa di Alberto Lattuada

1974: Il tempo dell'inizio di Luigi Di Gianni

1985: King David di Bruce Beresford

1986: Oddio, ci siamo persi il papa di Robert M. Young

1990: Il sole anche di notte di Paolo e Vittorio Taviani

1996: Ninfa plebea di Lina Wertmüller

1999: Terra bruciata di Fabio Segatori

2004: The Big Question di Francesco Cabras e Alberto Molinari

2006: Nativity, di Catherine Hardwicke

2008: Agente 007 - Quantum of Solace di Marc Forster

2010: Basilicata coast to coast di Rocco Papaleo

2012: Un medico di campagna di Luigi Di Gianni

2013: Murder in the dark di Dagen Merrill

Televisione

A Craco sono state girate alcune scene della serie televisiva Classe di ferro (1989-1991) di Bruno Corbucci.

Il borgo è stato uno dei luoghi di ripresa della telenovela brasiliana O Rei do Gado (1996-1997), diretta da Luiz Fernando Carvalho.

Persone legate a Craco

Nicola Columella Onorati (Craco, 1764 - Portici, 1822), naturalista e teologo, ex-provinciale francescano degli Osservanti, professore di teologia scolastica, di agricoltura e di diritto naturale nella Regia Università di Napoli, socio dell'Accademia dei Georgofili e di altre accademie nazionali ed estere.

Jeff Viggiano, cestista statunitense naturalizzato italiano.

fonte: Wikipedia

FILMATO

legalizzare l'immigrazione: lo ordinano i Rothschild

lord-rothschild2385 703330a Jakob Rothschild
L'analisi puntuale di Maurizio Blondet : "Aprire il campo al diluvio dell’immigrazione fa parte ovviamente del piano globalizzante, del Governo Mondiale dei banchieri e burocrati" ." I settecento morti – poi saliti a 900 – non li ha contati né visti nessuno".Sorgono dubbi: un "false flag" travestito da buonismo?
Maurizio Blondet
Quello qui sopra è il titolo che è apparso su Libération, ed è la soluzione che il giornale francese – posseduto dalla famiglia Rothschild – propone traendo spunto dalla nota «tragedia del Mediterraneo». Interessante coincidenza, anche il New York Times si china, dall’altra parte dell’oceano, sul destino dei poveri morti negri. Sparge e una lacrima, e poi si domanda: Who is to blame?, di chi è la colpa? E si risponde:
«I politici europei puntano il dito sui trafficanti e pongono l’accento sulla soluzione militare; ma ciò che spinge gli immigranti nelle braccia dei criminali son proprio le politiche dell’Unione Europea, che tratta l’immigrazione non come una necessità umana ma come una questione penale da reprimere…da 30 anni stanno costruendo la fortezza europea».
Che bontà, che generosa larghezza di vedute mostra il giornale del capitalismo terminale; gareggia in altruismo con Papa Francesco. Che dico? Il New York Times sostiene la stessa cosa che sostengono la Boldrini e il senatore Luigi Manconi in Berlinguer: «Accogliamoli tutti»!, come strilla un libro del suddetto ricco senatore del PD.
Merita citare l’ultima riga del pensoso e umano articolo del New York Times, che indica a cosa tiene veramente il grande, autorevole giornale di Manhattan, e cosa vogliono i suoi finanziatori:
«Smantellare la Fortezza Europea, aprire strade legali all’immigrazione»
Notare che il Washington Post, il grande e ancor più autorevole, sostiene lo stesso giorno, più obliquamente, la stessa tesi: siamo di fronte a un esodo globale, è gente che fugge da guerre, destabilizzazioni e miseria… sparge una lacrima anche il WP, sorvolando su Chi è stato a provocare guerre, destabilizzazioni eccetera da 20 anni buoni.
Perché mi sento cattivo
Ecco dove andavano a parare, con la grancassa sui poveri morti, 700 anzi 800, anzi 900 affogati: smantellare quella che loro chiamano la fortezza europea, ed invece è già un campo aperto a tutti i venti — solo che in questo momento si tratta in segreto sulTrattato Transatlantico, e ci sono impuntature, resistenze, che il big business americano vuole spianare.
Aprire il campo al diluvio dell’immigrazione fa parte ovviamente del piano globalizzante, del Governo Mondiale dei banchieri e burocrati. È inutile ripeterne i motivi, ce li siamo già detti tante volte: sradicare le identità e le culture, onde omogeneizzare l’umanità e ridurla tutta ad essere il Consumatore Standard, con desideri standard, soddisfacibili dalle multinazionali-standard.
Mi spiego anche un mio vuoto interiore. In questi giorni, ho tentato di scrivere qualcosa sulla «ennesima tragedia nel Mediterraneo», e non mi veniva niente. Sentivo qualcosa di strano. Qualcosa nella resa mediatica dell’immane naufragio mi è suonata falsa, un diluvio di piagnistei ufficiali, di buonismi viscidi e lacrimazioni corali ad imitazione del Papa, alquanto sospette.
Già ho sentito un tono stridente nell’«accorato appello alla comunità internazionale» di Papa Bergoglio e il suo invito a noi di accoglierli, motivato dal fatto che quelli «cercavano la felicità» (il diritto alla felicità non esiste se non per la Massoneria). Poi il Mattarella, passato dai 450 mila euro annui di giudice costituzionale ai 2 milioni di presidente della Repubblica, che a fatica (ha difficoltà ad esprimere i concetti) spremendo una lacrima (è stitico anche in quello), pontifica:
«La morte di centinaia di profughi manifesta la totale insufficienza delle iniziative assunte fin qui dalla comunità internazionale rispetto alla conseguenze delle guerre, delle persecuzioni, delle carestie che flagellano tanta parte dell’Africa e del Medio Oriente» — anche lui senza dire chi è stato.
In compenso minacciava noi e l’opposizione politica (rimanente), insultandoci preventivamente:
«Mi auguro che la sensibilità ai diritti umani prevalga sull’indifferenza che spesso sconfina nel cinismo».

immigrazione italia rothschild 5501
La Boldrini, intervistata in ginocchio dal ballarò, che arcigna contro i cinici e indifferenti che siamo noi, scandisce:
«Ogni vita che abbiamo salvato con Mare Nostrum è costata solo 600 euro»: con l’aria di quella che i soldi ce li ha messi lei. Poi, ho letto Saviano, il prezzemolino di Repubblica. Alla fine, ho sentito anche accodarsi alla pietà ufficiale ed obbligatoria Alba Parietti, la subrettona rifatta coi labbroni e le tette al silicone («7 mila euro l’una mi son costate, ma sono ferri del mestiere», disse una volta), allora ho capito che non sarei riuscito a scrivere niente. Solo a vomitare.
Ma quando trovo il Papa e la Parietti che ci esortano alla stessa pietà ed accoglienza (vero è che quelle signore sono di buon cuore) di quelli che cercano la felicità – qui da noi! – allora mi scopro cattivo, spietato.
Un false flag?
Tanto cattivo, pensate, che ho persino sospettato che l’«orrenda tragedia» del Mediterraneo sia stata una sorta di false flag, volto ad ottenere un effetto psichico su noi spettatori. O, se non proprio un false flag, qualcosa che lorsignori aspettavano, coi discorsi piagnosi già pronti, per strumentalizzare il nostro raccapriccio e soffiarci il senso di colpa che ci deve far aprire il portafoglio.
I settecento morti – poi saliti a 900 – non li ha contati né visti nessuno.  «Stavano chiusi nella stiva. Donne e bambini». Ah già, e chi lo dice: i 27 sopravvissuti. Fra cuiun buon numero sono poi risultati scafisti, criminali recidivi, che vanno e vengono dalla Libia ai centri d’accoglienza per portare la loro carne umana – con tanto di permesso di soggiorno, anche loro ospiti per qualche giorno del centro d’accoglienza – gestito dalla Mafia, o da qualche mafia semi-pubblica, i 30 euro al dì che diamo noi contribuenti, e sigarette gratis, e ricariche telefoniche per chiamare casa.
Adesso li hanno arrestati: fra tre giorni i nostri giudici li metteranno in libertà (vigilata, s’intende) e loro torneranno al business. Impronte digitali? Si bruciano i polpastrelli, tranquilli. Lo fanno tutti i recidivi. Nelle intercettazioni ci prendono i giro, si vantano, «ho fatto 800 mila euro».E queste intercettazioni, i magistrati che spifferano le telefonate di qualunque avversario politico vogliano rovinare, le avevano praticamente segretate; e se non c’era una tv locale ligure a rivelarle, nessuna tv o giornale mainstream ne parlava. Noi, il pubblico gonzo, dovevamo solo piangere sui poveri morti, non vedere lo sporco affare che c’è dietro, non vedere chi finanziano questi presunti innocenti che spendono 3-4 mila euro; non una ma più volte, perché la metà viene rimandata e ci riprova, a polpastrelli bruciati, chissà quante volte.
E mai un giornale che abbia cercato di capire perché questi martiri vengano quasi tutti dall’Africa nera, persino dal Ghana; dove 3-4 mila euro sono una piccola fortuna. E come mai appaiono tutti così giovani e pasciuti, e le belle ragazze negre raccontino con occhioni alla Ruby di essere state violentate e ri-violentate tante volte, che ormai sembra un’abitudine (o un mestiere? Guardate come sono cattivo). Sapete?, anzi no, non vi dicono che non possono tornare a casa, in patria, perché altrimenti l’intera famiglia allargata – che ha pagato per loro perché facciano fortuna e li chiamino per ricongiungimento familiare – li schernisce, li isola, gli fa il vuoto attorno, praticamente li fa morire, perché in Africa senza il sostegno della famiglia allargata si muore: sono dei falliti, e non restituiscono i soldi. È questa la bella società negra, piena di calore umano e di valori da cui vengono: nessun giornale s’è preso la briga di fare un’inchiesta sui Paesi da cui provengono, sugli ambienti in cui sono cresciuti, sulle illusioni che bevono guardando alla tv la nostra società di lustrini e spettacolo…
Ma no, non ce l’ho con loro. Il fatto è che proietto su di loro ciò che provo per i nostri: quelli che ci intimano di accoglierli, di non essere razzisti ed egoisti. Ossia i nostri mantenuti e mantenute, i giornalisti sovvenzionati, i nostri ricchi di Stato, le nostre oligarchie occupanti che ci opprimono, ci angariano e ci spogliano con l’assenza di umanità di un esercito straniero.
A loro, non so perché, non riconosco alcuna autorità morale per dar lezioni a noi che gli paghiamo gli stipendioni. Loro che ci invitano alla solidarietà e alla generosità, sono quegli stessi che non provano alcuna solidarietà verso i 7 milioni di poveri italiani che hanno nel Paese – effetto di una crisi che dura da sette anni ed è come una guerra perduta – che sotto i mille euro vengono trattati da contribuenti, a cui prendono i soldi per pagarsi gli stipendi da Sardanapalo. 
Loro, non si tagliano nulla. Il Mattarella proviene da quella Corte Costituzionale di magliari da 450 mila annuali, che ha sancito per sentenza che gli stipendi della magistratura non devono essere decurtati nemmeno di un centesimo: e adesso, come inquilino del Quirinale, dispone di 2 milioni annui pubblici di «appannaggio» (come il re) e ci fa la lezione a noi. Mica comincia lui. Sparge solo qualche stitica lacrima, che è gratis. Noi stiamo già dando. Noi accettiamo paghe decurtate se abbiamo la fortuna di avere ancora un lavoro, a noi stanno meditando di tagliare le pensioni «d’oro» — ma fatte salve le loro, che sono di platino. Noi nemmeno li abbiamo voluti, questi oligarchi, nemmeno li abbiamo votati.Siamo governati da Governi non eletti ormai da tre svolte, scelti per noi da Bruxelles e Berlino, quando non da Francoforte e Wall Street. 
Tutto ciò che propongono costoro, i nostri oppressori, fra i loro piagnistei concertati, a me suscitano solo sospetti. «Dove vogliono andare a parare?», mi chiedo quando li vedo lacrimare ed esprimere compassione, tenerezza, pietà e umanità.Adesso vedo che sta passando l’ordine dall’estero: anche Rotschild si commuove, anche Wall Street. Dunque, legalizzare l’immigrazione. Senza limiti. E guai a chi protesta: è un razzista, un cinico, probabilmente un evasore, un omofobo e negazionista di sicuro. Far tacere l’opposizione (quel poco che ne resta), ecco dove vanno a parare.
Vorrei solo ricordare le altre soluzioni che questi signori hanno proposto, anzi accettato da fuori e imposto a noi: l’euro che ci strangola e ci avevano detto ci avrebbe dato la prosperità, il trattato di Lisbona che ci cancella e vieta qualunque interesse nazionale, la UE che ci avevano assicurato sarà un paradiso, ed invece è la prigione dei popoli, con camere di tortura dove si suppliziano i greci; sono quelli che ci hanno affogato nella globalizzazione mettendo i nostri lavoratori in competizione con quelli cinesi e pakistani.
Quelli che hanno accettato nella UE la Polonia e Baltici, che su mandato americano ci stanno trascinando tutti alla guerra con la Russia. Sono quelli che per obbedienza e disciplina sovrannazionale (polacca) mantengono le sanzioni a Mosca, che rovinano anche, e soprattutto, noi latini. Sono quelli che non hanno eccepito all’aggressione NATO alla Libia, che vedono nel regime di Kiev una democrazia minacciata dal cattivo Putin, che non dichiarano a chi si deve la destabilizzazione in Siria, la miseria dell’Africa, a chi si devono le disuguaglianze odiose del capitalismo nella attuale sua massima «efficienza»; sono quelli che ci sono stati messi sul collo per garantire la nostra passività (e la nostra solvibilità) anche se la crisi made in USA, unita all’euro germanico, ci ha distrutto il 25% delle imprese – sette anni di guerra, di bombardamenti a tappeto, di impoverimento – e senza che loro abbiano mai avanzato una sola idea, una sola proposta per farci uscire dalla guerra lunghissima, dalla depressione senza sbocco né prospettive.
Sono quelli che – grazie, Governo Monti – stanno inserendo negli asili infantili e scuole elementari l’insegnamento del «genere», l’educazione sessuale secondo la direttiva OMS del 2010: Da 0 a 4 anni, si prescrive l’apprendimento del «godimento e piacere quando giochiamo con il nostro corpo: la masturbazione della prima infanzia». Dai 4 ai 6 anni, si insegnerà a esplorare «le relazioni omosessuali» e «consolidare l’identità di genere». A 15, le ragazzine impareranno dove andare per ottenere un aborto.
Voglio dire, per essere buono: questi hanno applicato politiche tutte sbagliate. Radicalmente odiose, sataniche e stupide, che aggravano tutti i problemi che pretendono di risolvere. E continuano a perseguirle ostinatamente, perché tanto, non sono loro che le subiscono e ne soffrono. Ci tengono buoni: ecco 80 euro, ecco il tesoretto, anzi no. Ai migranti, 30 euro, ricariche e sigarette. E voi, razzisti.
L’altra sera han fatto vedere un paesetto alpino del Bresciano, in cui, per ordine di Alfano, si devono accogliere una dozzina o ventina di migranti. Han fatto vedere i manifesti della Lega, intervistato il sindaco che, sgomento, si oppone: il paesino, dice, conta 200 anime… Razzista.
«Cercano la felicità», ve lo dice il Papa; e voi non volete dividere con loro la felicità che vi dà la UE, l’euro, il capitalismo terminale?
Noi, però, non abbiamo più l’obbligo di seguirli. Non hanno autorità. L’hanno perduta.
Maurizio Blondet
fonte: alfredodecclesia.blogspot.it

27/05/15

grande moschea di Cordova



oggi cattedrale dell'Immacolata Concezione di Maria Santissima in Cordova, è una delle principali espressioni dell'arte arabo-islamica e dell'architettura gotica e rinascimentale dell'Andalusia. È con l'Alhambra di Granada, la Aljafería di Saragozza e la Giralda di Siviglia la più prestigiosa testimonianza della presenza islamica in Spagna dall'VIII secolo al XIII secolo.

Descrizione

La costruzione sorge sul sito in cui si ergeva l'antica chiesa visigotica di San Vincenzo, non lontana dal Guadalquivir. Quando i musulmani occuparono Cordova nel 756 la chiesa fu inizialmente suddivisa e utilizzata contemporaneamente da musulmani e cristiani. Successivamente l'emiro ʿAbd al-Raḥmān I fece demolire la chiesa cristiana e intraprese la costruzione della grande moschea. Essa fu ingrandita tre volte dai suoi successori (ʿAbd al-Raḥmān II 833-48; al-Ḥakam II 962-966; ʿAbd al-Raḥmān III 929-958; Almanzor 988), finendo per coprire 23.000 m² e diventare la più grande moschea del mondo musulmano di quel tempo, destinata a diventare la seconda solo dopo l'edificazione di quella di Sāmarrāʾ, capitale abbaside pro tempore.

Si presenta al giorno d'oggi con la forma di un grande quadrilatero di circa 180 m di lunghezza per 130 m di larghezza, con 19 navate e 856 colonne sormontate da capitelli in stili diversi. Sulle colonne si appoggiano delle arcate doppie in mattoni e pietra bianca (sovrapposte l'una sull'altra con uno spazio intermedio) che permettono di avere un soffitto molto alto e donano all'edificio un'impressione di leggerezza.
Il miḥrāb non è orientato verso la Ka'ba della Mecca (quindi a SE) ma verso sud e, per salvarlo dall'accusa di un così corposo errore, la leggenda vuole che ʿAbd al-Raḥmān, nostalgico della città di Damasco da cui era stato cacciato dagli Abbasidi, avesse voluto appositamente orientare il mihrab della moschea di Cordoba nella stessa direzione di quello della moschea di Damasco. Cosa del tutto implausibile però, essendo doveroso per ogni orante musulmano volgere la faccia, nel corso della sua salat obbligatoria quotidiana, verso la Kaʿba.

Storia della moschea

L'edificio iniziale, cominciato nel 785 da ʿAbd al-Raḥmān I, comprendeva un cortile quadrato (il patio de los naranjos) circondato da un muro di cinta sul quale si apriva in tutto il suo splendore la sala di preghiera, di forma rettangolare, composta da undici navate, ciascuna avente dodici arcate, disposte di fronte al cortile. Le navate erano separate da eleganti colonne di marmo di diversa provenienza (tra cui edifici romani a Cordova e la preesistente chiesa visigota).

Accanto al muro di cinta, sul lato opposto della sala di preghiera, si trova il minareto. Hishām I fece realizzare parecchie ristrutturazioni interne: le gallerie destinate alle donne che venivano a pregare e una vasca per le abluzioni. La lunghezza delle arcate fu successivamente raddoppiata da ʿAbd al-Raḥmān II nell'848 e allungata un'ultima volta da al-Ḥakam II nel 961. In entrambi i casi l'allungamento delle navate avvenne sul lato opposto all'entrata principale e per questo motivo il miḥrāb, anch'esso collocato sul quel lato, dovette essere ogni volta ricostruito. Quello attuale, montato con l'aiuto di artisti bizantini, è un'enorme cupola monolitica in marmo bianco superbamente decorato.

Nel 987 Almanzor volle aumentare ancora la superficie della sala, ma la vicinanza al fiume impedì il proseguimento dell'allungamento delle undici campate nella stessa direzione. Vennero pertanto aggiunte otto arcate supplementari sul lato est dell'edificio (quasi raddoppiandone l'estensione) e il mihrāb fu collocato in una posizione centrale. In quel momento la moschea contava 1293 colonne.

Nel 2010 la zecca spagnola ha dedicato una moneta commemorativa da 2 euro alla grande moschea di Cordova.

La cattedrale

Quando Cordova fu riconquistata dai cristiani di Ferdinando III di Castiglia, nel 1236, la moschea fu convertita in cattedrale. L'apertura tra il cortile e la sala di preghiera fu murata, conservando una sola porta d'entrata (la Puerta de las Palmas). Inoltre vennero abbattute alcune file di colonne per lasciar libero lo spazio per la Cappella Reale decorata con stucchi mudejar.

Nel XVI secolo il clero di Cordova decise di dotare la città di un edificio molto più sontuoso e alla moda del tempo. Il progetto consisteva nella demolizione di una parte importante del centro dell'edificio, rompendo la prospettiva della foresta di colonne, e l'inserimento al suo posto di una cattedrale cristiana. Il progetto fu inizialmente contrastato e oggetto di forti polemiche e soltanto dopo l'intercessione dell'imperatore Carlo V ne fu avviata la costruzione.

Il risultato è una meraviglia architettonica che fonde gli stili gotico, rinascimentale e barocco con magnifiche decorazioni, ma può far rimpiangere che abbia perduto unitarietà l'eccezionale edificio costruito originariamente dai musulmani. È riportato da J. B. Alderete che lo stesso Carlo V successivamente disse: «avete costruito qualcosa che si può vedere ovunque, distruggendo qualcosa che invece era unico al mondo». Fu probabilmente grazie all'inserimento della chiesa che l'edificio poté sostanzialmente salvarsi e rimanere integro.

Al fianco della moschea poi cattedrale c'è il patio de los Naranjos, un grande giardino di circa 130 metri per 50, piantumato ad aranci.

fonte: Wikipedia

FILMATO

compagnie

CIA, BILDERBERG, BR, BRITANNIA ...E RENZI : ECCO A VOI LA VERA STORIA ITALIANA

Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia. E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anni dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi, l'Italia.


A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.
E’ la drammatica ricostruzione di Nino Galloni, già docente universitario, manager pubblico e alto dirigente di Stato. All’epoca, nel fatidico 1989, Galloni era consulente del governo su invito dell’eterno Giulio Andreotti, il primo statista europeo che ebbe la prontezza di affermare di temere la riunificazione tedesca. Non era “provincialismo storico”: Andreotti era al corrente del piano contro l’Italia e tentò di opporvisi, finche potè. Poi a Roma arrivò una telefonata del cancelliere Helmut Kohl, che si lamentò col ministro Guido Carli: qualcuno “remava contro” il piano franco-tedesco. Galloni si era appena scontrato con Mario Monti alla Bocconi e il suo gruppo aveva ricevuto pressioni da Bankitalia, dalla Fondazione Agnelli (facenti anche loro parte del gruppo Bilderberg) e da Confindustria. La telefonata di Kohl fu decisiva per indurre il governo a metterlo fuori gioco. «Ottenni dal ministro la verità», racconta l’ex super-consulente, ridottosi a comunicare con l’aiuto di pezzi di carta perché il ministro «temeva ci fossero dei microfoni». Sul “pizzino”, scrisse la domanda decisiva: “Ci sono state pressioni anche dalla Germania sul ministro Carli perché io smetta di fare quello che stiamo facendo?”. Eccome: «Lui mi fece di sì con la testa».
Questa, riassume Galloni, è l’origine della “inspiegabile” tragedia nazionale nella quale stiamo sprofondando. I super-poteri egemonici, prima atlantici e poi europei, hanno sempre temuto l’Italia. Lo dimostrano due episodi chiave. Il primo è l’omicidio di Enrico Mattei, stratega del boom industriale italiano grazie alla leva energetica propiziata dalla sua politica filo-araba, in competizione con le “Sette Sorelle”. E il secondo è l’eliminazione di Aldo Moro, l’uomo del compromesso storico col Pci di Berlinguer assassinato dalle “seconde Br”: non più l’organizzazione eversiva fondata da Renato Curcio ma le Br di Mario Moretti, «fortemente collegate con i servizi, con deviazioni dei servizi, con i servizi americani e israeliani». Il leader della Dc era nel mirino di killer molto più potenti dei neo-brigatisti: «Kissinger gliel’aveva giurata, aveva minacciato Moro di morte poco tempo prima» (Kissinger è anche l'assassino di Salvador Allende). 
Tragico preambolo, la strana uccisione di Pier Paolo Pasolini, che nel romanzo “Petrolio” aveva denunciato i mandanti dell’omicidio Mattei, a lungo presentato come incidente aereo. Recenti inchieste collegano alla morte del fondatore dell’Eni quella del giornalista siciliano Mauro De Mauro. Probabilmente, De Mauro aveva scoperto una pista “francese”: agenti dell’ex Oas inquadrati dalla Cia nell’organizzazione terroristica “Stay Behind” (in Italia, “Gladio”) avrebbero sabotato l’aereo di Mattei con l’aiuto di manovalanza mafiosa. Poi, su tutto, a congelare la democrazia italiana avrebbe provveduto la strategia della tensione, quella delle stragi nelle piazze.
Alla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico: Ciampi, Andreatta e De Mita, secondo Galloni, lavorano per cedere la sovranità nazionale pur di sottrarre potere alla classe politica più corrotta d’Europa. Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese è in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipita: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esploderà fino a superare il Pil. Non è un “problema”, ma esattamente l’obiettivo voluto: mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione. Degli investimenti pubblici da colpire, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale».
Al piano anti-italiano partecipa anche la grande industria privata, a partire dalla Fiatche di colpo smette di investire nella produzione e preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquista più, i tassi sono saliti e la finanza pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato. L’industria passa in secondo piano e – da lì in poi – dovrà costare il meno possibile. «In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione» (il piano lo stà ultimando Renzi con il suo Job Acts). Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale». Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione».
Alla caduta del Muro, il potenziale italiano è già duramente compromesso dal sabotaggio della finanza pubblica, ma non tutto è perduto: il nostro paese – “promosso” nel club del G7 – era ancora in una posizione di dominio nel panorama manifatturiero internazionale. Eravamo ancora «qualcosa di grosso dal punto di vista industriale e manifatturiero», ricorda Galloni: «Bastavano alcuni interventi, bisognava riprendere degli investimenti pubblici». E invece, si corre nella direzione opposta: con le grandi privatizzazioni strategiche, negli anni ’90 «quasi scompare la nostra industria a partecipazione statale», il “motore” di sviluppo tanto temuto da tedeschi e francesi.Deindustrializzazione: «Significa che non si fanno più politiche industriali». Galloni cita Pierluigi Bersani: quando era ministro dell’industria «teorizzò che le strategie industriali non servivano». Si avvicinava la fine dell’Iri, gestita da Prodi in collaborazione col solito Andreatta e Giuliano Amato. Lo smembramento di un colosso mondiale: Finsider-Ilva, Finmeccanica, Fincantieri, Italstat, Stet e Telecom, Alfa Romeo, Alitalia, Sme (alimentare), nonché la BancaCommerciale Italiana, il Banco di Roma, il Credito Italiano.
Le banche, altro passaggio decisivo: con la fine del “Glass-Steagall Act” nasce la “banca universale”, cioè si consente alle banche di occuparsi di meno del credito all’economia reale, e le si autorizza a concentrarsi sulle attività finanziarie speculative. Denaro ricavato da denaro, con scommesse a rischio sulla perdita. E’ il preludio al disastro planetario di oggi. In confronto, dice Galloni, i debiti pubblici sono bruscolini: nel caso delle perdite delle banche stiamo parlando di tre-quattromila trilioni. Un trilione sono mille miliardi: «Grandezze stratosferiche», pari a 6 volte il Pil mondiale. «Sono cose spaventose». La frana è cominciata nel 2001, con il crollo della new-economy digitale e la fuga della finanza che l’aveva sostenuta, puntando sul boom dell’e-commerce. Per sostenere gli investitori, le banche allora si tuffano nel mercato-truffa dei derivati: raccolgono denaro per garantire i rendimenti, ma senza copertura per gli ultimi sottoscrittori della “catena di Sant’Antonio”, tenuti buoni con la storiella della “fiducia” nell’imminente “ripresa”, sempre data per certa, ogni tre mesi, da «centri studi, economisti, osservatori, studiosi e ricercatori, tutti sui loro libri paga».
Quindi, aggiunge Galloni, siamo andati avanti per anni con queste operazioni di derivazione e con l’emissione di altri titoli tossici. Finché nel 2007 si è scoperto che il sistema bancario era saltato: nessuna banca prestava liquidità all’altra, sapendo che l’altra faceva le stesse cose, cioè speculazioni in perdita. Per la prima volta, spiega Galloni, la massa dei valori persi dalle banche sui mercati finanziari superava la somma che l’economia reale – famiglie e imprese, più la stessa mafia – riusciva ad immettere nel sistema bancario. «Di qui la crisi di liquidità, che deriva da questo: le perdite superavano i depositi e i conti correnti». Come sappiamo, la falla è stata provvisoriamente tamponata dalla Fed, che dal 2008 al 2011 ha trasferito nelle banche – americane ed europee – qualcosa come 17.000 miliardi di dollari, cioè «più del Pil americano e più di tutto il debito pubblico americano».
Va nella stessa direzione – liquidità per le sole banche, non per gli Stati – il “quantitative easing” della Bce di Draghi, che ovviamente non risolve la crisi economica perché «chi è ai vertici delle banche, e lo abbiamo visto anche al Monte dei Paschi, guadagna sulle perdite». Il profitto non deriva dalle performance economiche, come sarebbe logico, ma dal numero delle operazioni finanziarie speculative: «Questa gente si porta a casa i 50, i 60 milioni di dollari e di euro, scompare nei paradisi fiscali e poi le banche possono andare a ramengo». Non falliscono solo perché poi le banche centrali, controllate dalle stesse banche-canaglia, le riforniscono di nuova liquidità. A monte: a soffrire è l’intero sistema-Italia, da quando – nel lontano 1981 – la finanzia pubblica è stata “disabilitata” col divorzio tra Tesoro e Bankitalia. Un percorso suicida, completato in modo disastroso dalla tragedia finale dell’ingresso nell’Eurozona, che toglie allo Stato la moneta ma anche il potere sovrano della spesa pubblica, attraverso dispositivi come il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio.
Per l’Europa “lacrime e sangue”, il risanamento dei conti pubblici viene prima dello sviluppo. «Questa strada si sa che è impossibile, perché tu non puoi fare il pareggio di bilancio o perseguire obiettivi ancora più ambiziosi se non c’è la ripresa». E in piena recessione, ridurre la spesa pubblica significa solo arrivare alla depressione irreversibile. Vie d’uscita? Archiviare subito gli specialisti del disastro – da Angela Merkel a Mario Monti – ribaltando la politica europea: bisogna tornare alla sovranità monetaria, dice Galloni, e cancellare il debito pubblico come problema. Basta puntare sulla ricchezza nazionale, che vale 10 volte il Pil. Non è vero che non riusciremmo a ripagarlo, il debito. Il problema è che il debito, semplicemente, non va ripagato: «L’importante è ridurre i tassi di interesse», che devono essere «più bassi dei tassi di crescita». A quel punto, il debito non è più un problema: «Questo è il modo sano di affrontare il tema del debito pubblico». A meno che, ovviamente, non si proceda come in Grecia, dove «per 300 miseri miliardi di euro» se ne sono persi 3.000 nelle Borse europee, gettando sul lastrico il popolo greco.
Domanda: «Questa gente si rende conto che agisce non solo contro la Grecia ma anche contro gli altri popoli e paesi europei? Chi comanda effettivamente in questa Europa se ne rende conto?». Oppure, conclude Galloni, vogliono davvero «raggiungere una sorta di asservimento dei popoli, di perdita ulteriore di sovranità degli Stati» per obiettivi inconfessabili, come avvenuto in Italia: privatizzazioni a prezzi stracciati, depredazione del patrimonio nazionale, conquista di guadagni senza lavoro. Un piano criminale: il grande complotto dell’élite mondiale. «Bilderberg, Britannia, il Gruppo dei 30, dei 10, gli “Illuminati di Baviera”: sono tutte cose vere», ammette l’ex consulente di Andreotti. «Gente che si riunisce, come certi club massonici, e decide delle cose». Ma il problema vero è che «non trovano resistenza da parte degli Stati». L’obiettivo è sempre lo stesso: «Togliere di mezzo gli Stati nazionali allo scopo di poter aumentare il potere di tutto ciò che è sovranazionale, multinazionale e internazionale». Gli Stati sono stati indeboliti e poi addirittura infiltrati, con la penetrazione nei governi da parte dei super-lobbysti, dal Bilderberg agli “Illuminati”. «Negli Usa c’era la “Confraternita dei Teschi”, di cui facevano parte i Bush, padre e figlio, che sono diventati presidenti degli Stati Uniti: è chiaro che, dopo, questa gente risponde a questi gruppi che li hanno agevolati nella loro ascesa».
Non abbiamo amici. L’America avrebbe inutilmente cercato nell’Italia una sponda forte dopo la caduta del Muro, prima di dare via libera (con Clinton) allo strapotere di Wall Street. Dall’omicidio di Kennedy, secondo Galloni, gli Usa «sono sempre più risultati preda dei britannici», che hanno interesse «ad aumentare i conflitti, il disordine», mentre la componente “ambientalista”, più vicina alla Corona, punta «a una riduzione drastica della popolazione del pianeta» e quindi ostacola lo sviluppo, di cui l’Italia è stata una straordinaria protagonista. L’odiata Germania? Non diventerà mai leader, aggiunge Galloni, se non accetterà di importare più di quanto esporta. Unico futuro possibile: la Cina, ora che Pechino ha ribaltato il suo orizzonte, preferendo il mercato interno a quello dell’export. L’Italia potrebbe cedere ai cinesi interi settori della propria manifattura, puntando ad affermare il made in Italy d’eccellenza in quel mercato, 60 volte più grande. Armi strategiche potenziali: il settore della green economy e quello della trasformazione dei rifiuti, grazie a brevetti di peso mondiale come quelli detenuti da Ansaldo e Italgas.
Prima, però, bisogna mandare a casa i sicari dell’Italia – da Monti alla Merkel – e rivoluzionare l’Europa, tornando alla necessaria sovranità monetaria. Senza dimenticare che le controriforme suicide di stampo neoliberista che hanno azzoppato il paese sono state subite in silenzio anche dalle organizzazioni sindacali. Meno moneta circolante e salari più bassi per contenere l’inflazione? Falso: gli Usa hanno appena creato trilioni di dollari dal nulla, senza generare spinte inflattive. Eppure, anche i sindacati sono stati attratti «in un’area di consenso per quelle riforme sbagliate che si sono fatte a partire dal 1981». Passo fondamentale, da attuare subito: una riforma della finanza, pubblica e privata, che torni a sostenere l’economia. Stop al dominio antidemocratico di Bruxelles, funzionale solo alle multinazionali globalizzate. Attenzione: la scelta della Cina di puntare sul mercato interno può essere l’inizio della fine della globalizzazione, che è «il sistema che premia il produttore peggiore, quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini, quello che non rispetta l’ambiente né la salute». E naturalmente, prima di tutto serve il ritorno in campo, immediato, della vittima numero uno: lo Stato democratico sovrano. Imperativo categorico: sovranità finanziaria per sostenere la spesa pubblica, senza la quale il paese muore. «A me interessa che ci siano spese in disavanzo – insiste Galloni – perché se c’è crisi, se c’è disoccupazione, puntare al pareggio di bilancio è un crimine».


fonte: alfredodecclesia.blogspot.it