31/08/15

il più grande crimine

Paolo Barnard - Il più Grande Crimine; nomi e cognomi, date e fatti.


Paolo Barnard:


guarda il video http://www.dailymotion.com/…/xncrbw_paolo-barnard-il-piu-gr…

“Le elite sapevano che gli Stati a moneta sovrana avrebbero potuto creare la piena occupazione senza problemi, in tutto il
mondo, ma ciò gli avrebbe sottratto il potere. Dovevamo soffrire.”

Soffrirono e soffriranno per una decisione che fu presa a tavolino da pochi spregiudicati criminali, assistiti dai loro sicari intellettuali e politici. Essi sono all’opera ora, mentre leggete, e il piano di spoliazione delle nostre vite va intensificandosi giorno dopo giorno, anno dopo anno. La decisione di cui parlo si è materializzata in un progetto di proporzioni storiche come pochi prima, architettato con un dispiegamento di mezzi impressionante, quasi impossibile da concepire per una mente comune, e una finalità che toglie il respiro solo a considerarla: la distruzione degli Stati sovrani, delle leggi, delle classi lavoratrici, e di ogni virgulto rimasto di democrazia partecipativa in tutto l’Occidente, per profitto. Fu letteralmente deciso a tavolino, e ci sono riusciti: nomi e cognomi, date e fatti.


http://altrarealta.blogspot.it/

29/08/15

ponte d'Ercole



anche detto Ponte del Diavolo, è un monolito naturale a forma di arco che si trova nel parco del Frignano, tra i comuni di Lama Mocogno, Polinago e Pavullo. Il monolito è composto da roccia arenaria e scavalca un rio in destra della Val Rossenna (bacino del fiume Secchia). L’area circostante il Ponte ha restituito diverse testimonianze di interesse archeologico, databili dall’età protostorica all’epoca medievale, che attestano una frequentazione dell’area legata soprattutto alla presenza del ponte naturale e di sorgenti d’acqua.

Il monolito

Il monolito che dà il nome al sito è una formazione di arenaria, modellata a forma di ponte dall’azione erosiva e millenaria degli agenti naturali: per la sua figura suggestiva ed imponente una leggenda attribuisce al diavolo la sua modellazione.

Il sito è sovrastato a sud dal pianoro di Poggio Pennone o Monte Apollo: proprio sul versante affacciato verso Ponte d’Ercole sgorga una sorgente, le cui acque, oggi captate in un acquedotto, defluivano in direzione del ponte per incanalarsi verso il Fosso di Casina (nel territorio di Polinago).

L’estremità settentrionale della struttura è stata oggetto di interventi dell'uomo che hanno portato alla creazione di una grande vasca per la raccolta dell’acqua scavata nell’arenaria naturale del macigno. La cavità ottenuta presenta alla base una buca di palo, che sosteneva verosimilmente una copertura, e tre grandi fori artificiali alle pareti. Su quello orientale doveva impostarsi un canale di alimentazione, forse collegato direttamente con la sorgente di Poggio Pennone, mentre altri due nella parete opposta dovevano servire per l’uscita del liquido, come testimoniano i profondi solchi generati dallo scorrimento dell’acqua, riscontrabili alla base delle aperture. Una di esse è sormontata da una rientranza di forma quadrangolare, probabile alloggiamento di una paratia per regolare il deflusso.

L’esigenza di convogliare e governare lo scorrimento dell’acqua nel bacino non deve essere stata priva di connotazioni rituali (è possibile che si tratti di una sorta di vasca lustrale per bagni purificatori), forse legate anche a possibili proprietà terapeutiche delle acque cui si attribuiva un’azione guaritrice.

Non vi sono elementi certi per una datazione della vasca, ma l’intensa frequentazione del sito in età romana porta ad ipotizzare la sua realizzazione nell’antichità; essa comunque appare già realizzata in un affresco cinquecentesco conservato al Castello di Spezzano.

Conformazione geologica

L’arco, lungo 33 m circa con direzione nord-est sud-ovest, ha una larghezza quasi costante di un paio di metri che tende ad ampliarsi fino a 3 metri all’estremità sud-ovest, mentre va riducendosi verso la parte centrale a meno di un metro. Ha fianchi sub-paralleli quasi verticali, una forma leggermente rampante verso nord-est, con l’estradosso che qui termina con un gradino di un paio di metri sulla sponda; verso l’estremità opposta, invece, la superficie di calpestio scende piana e di poco inclinata. L’arco si salda al fianco sinistro della vallecola, mentre dalla parte opposta fa corpo con una spalla, scolpita all’interno da una profonda cavità variamente articolata; una croce a sbalzo, poco leggibile, è incisa sul fianco di monte, forse a voler santificare l’opera, perché a questo punto non si può più tacere la leggendaria fantasia che ha visto la mano del Diavolo stesso gettare l’arco attraverso il corso d’acqua per passare oltre senza bagnarsi i piedi, foggiare dei gradini a calci e plasmare un sedile interno per riposare, nonché, con tre zuccate, forarne per ornamento le pareti laterali.

Dappertutto, purtroppo, si leggono scritte deturpanti. Non si può escludere che l’uomo, nel corso del tempo, abbia contribuito alla definizione delle forme che oggi si osservano, come nel caso d’altre morfosculture analoghe presenti in provincia di Modena (la vicina Pietra Tetta o il Dito di Samone). La genesi dell’arco è connessa all’azione continua e sinergica di più processi di degradazione meteorica: disgregazione fisica (umidificazione-essiccazione, gelo-disgelo, ecc.), disfacimento chimico (decomposizione dei feldspati, “soluzione” del calcare cementante, ecc.) ed erosione da parte delle acque di ruscellamento. La forma risultante è stata favorita dalla fessurazione degli strati, riferibile principalmente ad un sistema di fratture verticali e sub-verticali di direzione sud ovest-nord est, parallele ai fianchi dell’arco. Si ritiene che l’acqua scorresse a livello del ponte, per cadere a cascata subito a valle, e che la fessurazione, a monte, si sia aperta tanto da offrire un transito al flusso; questo poté proseguire lungo le superfici di strato sottostanti all’attuale arco, che pertanto si è conservato per il procedere dell’erosione alle sue spalle.

Il quadro evolutivo si potrebbe così riassumere: poco a valle dell’attuale struttura esisteva un gradino da cui l’acqua incanalata, cadendo, ne erodeva la base; a monte, intanto, la fessurazione andava degradandosi tanto da lasciar penetrare acqua, che poté proseguire in un passaggio ipogeo laterale lungo strato, andando a sfondare nella cavità già formatasi sotto la cascatella. Col progressivo allargamento questa via divenne preferenziale, preservando il tratto di roccia posta a valle, sotto la quale l’acqua continuò a fluire, mentre il letto del ruscello andava regredendo verso monte per adattarsi al nuovo livello di base.

Ponte d'Ercole nella storia

L’area circostante il Ponte d’Ercole ha restituito diverse testimonianze di interesse archeologico, databili dall’età protostorica all’epoca medievale, che attestano una frequentazione dell’area legata soprattutto alla presenza del ponte naturale e di sorgenti d’acqua. I numerosi materiali rinvenuti sono dovuti per lo più a ritrovamenti occasionali avvenuti durante il XXI secolo, seguiti da alcuni sondaggi eseguiti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna.

Un’occupazione dell’area durante il I millennio a.C. è attestata dal rinvenimento di frammenti ceramici ed oggetti di ornamento di ambito villanoviano databili tra l’VIII ed il VI secolo a.C. Nel periodo successivo il sito sembra rientrare, come tutta la montagna modenese, nella zona di influenza ligure: lo rivelano le forme ceramiche ed alcuni accessori dell’abbigliamento che trovano confronti in coevi contesti dell’Emilia occidentale e di oltre Appennino, oltre ad una punta di lancia ritualmente piegata che caratterizza i depositi funerari liguri tra IV e III secolo a.C.

Con il periodo romano le testimonianze si intensificano e sono rappresentate da reperti ceramici, strumenti in metallo e vasellame di vetro, insieme a resti murari, frammenti laterizi e tessere di mosaico che indicano la presenza di ambienti coperti. Si segnala in particolare il ritrovamento di migliaia di monete, che coprono tutto l’arco di frequentazione del sito (II secolo a.C. – V secolo), con una maggiore presenza di emissioni della prima età imperiale (I secolo - II secolo); esse costituivano probabilmente un’offerta votiva deposta direttamente nelle acque oppure entro piccole buche scavate nel terreno.

Tali testimonianze fanno ipotizzare l’esistenza in età romana di una complessa area cultuale articolata attorno al Ponte d’Ercole, cui vanno riferite anche le notizie del ritrovamento di tracciati stradali, le quali suggeriscono, oltre ad un itinerario appenninico, un possibile percorso processionale che congiungeva l’altura di Poggio Pennone con l’area del “ponte” e le strutture annesse.

Il sito è stato frequentato anche in età medievale e moderna, fino ai giorni nostri, come dimostrano alcuni elementi di armamento riferibili ad una sepoltura medievale sconvolta (tra cui un eccezionale morso di cavallo in ferro) e le numerose medagliette devozionali databili dal XVII al XIX secolo, segno della continuità delle pratiche legate alle acque salutifere in associazione con il culto mariano.

Origine del nome e leggende locali

I toponimi della località riflettono la curiosità suscitata in ogni epoca da questa emergenza naturale. Non è sicura l’origine antica dei due toponimi Ponte d’Ercole e Monte Apollo, attestati per la prima volta verso la metà del XVIII secolo, epoca a cui risalgono i primi ritrovamenti archeologici nell’area: è probabile quindi che tali appellativi siano una creazione erudita di epoca moderna, anche se le divinità interessate sono spesso legate a sorgenti e culti delle acque. L'origine del nome Ponte del Diavolo probabilmente è da collegarsi a leggende locali che attribuivano l'origine del ponte ad opera del maligno.

fonte: Wikipedia

25/08/15

casa, tasse, debiti: ecco come l’euro ha spolpato gli italiani

Beniamino Andreatta spiegava nel 1995 perché bisognava liberarsi della lira e affidare la politica monetaria a qualcuno “a duemila chilometri dal Parlamento italiano”, cioè a Francoforte. Il discorso di Andreatta è lineare, semplice che lo capisce anche la casalinga e ha una sua logica che convince. E’ sostanzialmente quello a cui aderiscono ancora oggi la maggioranza dei professori di economia italiani, da Monti a Draghi (che una volta era professore) a Gianpaolo Galli, a Rainer Masera, a Riccardo Puglisi, a Tommaso Monacelli a Michele Boldrin, Alberto Bisin, Salvatore Brusco. Il succo del discorso è che la lira è una moneta soggetta a svalutazione e inflazione e quindi comporta un costo del denaro molto elevato, perchè appunto chi presta soldi in lire sa che poi queste si svaluteranno e quindi chiede tassi di interesse alti. Andreatta dice che, liberandosi della lira, i tassi di interesse si ridurranno del 4% e questo costo del denaro più basso consentirà più spesa e investimenti.
Ora che sono passati venti anni è più facile vedere l’errore di Andreatta. Nel 1995 i tassi di interesse erano in effetti alti sui Btp, e gli interessi sul debito pubblico si mangiavano il 10% del Pil e il 18% della spesa pubblica. Ma questi alti tassi venivano Beniamino Andreattapagati per il 90% a famiglie (e imprese) italiane. Con l’euro, la maggioranza degli interessi sono andati a investitori esteri (che sono arrivati a detenere la maggioranza dei Btp). Oggi la maggioranza dei titoli di Stato sono in mano a banchebanche centrali e investitori esteri. E gli italiani che avevano Btp nel 1995 dove hanno messo i soldi? In maggioranza negli immobili, che sono raddoppiati di prezzo in termini reali da allora. Semplificando un poco, prima dell’euro, una casa costava 200 milioni di lire e i Btp pagavano un 10%, per cui le famiglie incassavano queste cedole e quando compravano casa avevano i soldi anche senza fare mutui all’80%. Con l’euro le famiglie hanno venduto i Btp e comprato case che costavano 200.000 euro (il doppio) facendo mutui all’80%, case che poi si sono deprezzate e su cui ora pagano l’Imu.
Con l’euro il debito di famiglie e imprese è aumentato di più del 100%, da 900 a 2.000 miliardi, e come si sa il grosso dell’aumento è stato dovuto ai mutui per la casa. Tenendo conto dell’inflazione annuale, il debito privato è aumentato dal 90% circa al 130% circa del Pil. Questo è successo in praticamente tutti i paesi europei, dalla Finlandia alla Spagna, dalla Grecia all’Irlanda alla Francia (unica eccezione la Germania). Dal 1995, quando Andreatta parlava di liberarsi della lira, l’inflazione è scesa dal 6-7% al 2-3% negli anni dell’euro, quindi di un 3-4% (quasi come prevedeva Andreatta). Poi però l’inflazione è scesa anche sotto zero, e ora è circa uno 0%. I tassi sui Bot sono sprofondati allo 0% e quelli sui Btp all’1,8%. Il motivo però non è solo l’euro, ma anche e soprattutto il fatto che ora la Banca Centrale Europea e Bankitalia stanno stampando moneta per comprare Btp. Cioè stanno ora facendo esattamente quello che Andreatta diceva fosse la disgrazia della lira e che non sarebbe Ciampimai successo con l’euro. Se la banca centrale non stampasse moneta per comprare debito, il costo del Btp non sarebbe meno del 2%, ma probabilmente il 4 o 5% perché incorporerebbe il rischio di default.
Come mai? Perché con l’euro la produzione industriale è crollata in cinque anni del -25% e la spesa per consumi del -9% e così il Pil reale. Il motivo del crollo della produzione, del reddito e del Pil è che da quando è stato lanciato il progetto dell’euro, intorno al 1994-1995, la tassazione è diventata sempre più soffocante e ha costretto famiglie e imprese a indebitarsi. La tassazione è stata aumentata costantemente dai governi Amato, Ciampi, Dini e poi Prodi e anche Berlusconi, per finire con Monti per rientrare nei parametri dell’euro e poi per rassicurare gli investitori che il debito pubblico in euro sarebbe stato ripagato. Le cose sono andate in senso quasi opposto a quello che prevedeva Andreatta. Innanzitutto nel suo discorso non menzionava il costo reale del denaro, cioè il tasso d’interesse meno l’inflazione. Nel 1995 il costo reale era sul 4% perché appunto i tassi d’interesse erano alti (intorno al 10%), ma anche l’inflazione era alta (intorno al 6%). Oggi questo costo del denaro non è quasi cambiato; per lo Stato ad esempio il costo medio del debito è il 3,8% ma Andreatta con Prodil’inflazione è zero, quindi il costo reale è sempre intorno al 4%.
Che il costo del denaro sia sceso con l’euro è un illusione, perché se l’inflazione va da 6% a 0% ovviamente il costo reale non cala. Intanto però come si è visto si è accumulato molto più debito in percentuale del reddito, perché senza crescita e senza inflazione il reddito o prodotto nazionale in euro è sempre lo stesso ormai da 10 anni. Il debito però ha un costo annuale reale appunto del 4% anche adesso che lo fa salire come percentuale del reddito. Per cui il risultato finale è che il peso reale del debito rispetto al reddito aumenta ora sempre. Al tempo in cui parlava Andreatta (1995) il peso reale del debito non aumentava, perché sia il reddito reale che l’inflazione aumentavano, il Pil nominale dell’Italia aumentava in media negli anni ‘90 dell’8-10% l’anno, in cui per 3/4 era effetto dell’inflazione, ma questo impediva al debito di aumentare in proporzione.
Il discorso di Andreatta è errato essenzialmente perché per lui è come se il debito e le banche non esistessero e la moneta la creasse lo Stato quando spende troppo. In realtà, con l’euro si vieta allo Stato di creare moneta tramite i deficit, per cui le banche creano quasi tutto il denaro sotto forma di debito. Con Andreatta (e gli altri come lui) si è impedito allo Stato di fare deficit finanziati con moneta, qualcosa che è stato implementato in Italia in due stadi, prima nel 1981 vietando a Bankitalia di comprare debito e poi appunto con il Trattato di Maastricht. Questo è il principio base dell’euro, ma significa che devi anche aumentare le tasse per pagare gli interessi sul debito in euro, e in secondo luogo che tutto il denaro Amato e Prodilo creano le banche come debito. Questo fa aumentare il peso del debito, rallenta l’economia, crea anche deflazione, aumenta ancora il peso del debito, aumenta il rischio di default e poi inevitabilmente devi anche aumentare le tasse con l’austerità per garantire dal rischio di default.
Con l’euro si è creato un meccanismo in cui il debito privato aumenta fino al punto in cui si ha una crisi, le banche hanno perdite e riducono il credito, l’economia si ferma, l’inflazione si azzera, aumenta il peso reale del debito, aumenta il rischio di default, si impone l’austerità. E questo circolo vizioso di aumento del peso reale del debito, aumento di tassazione, deflazione e crisi non si ferma più. Ora, nell’ultimo anno qualcosa è effettivamente migliorato, ma perché? Perchè la Banca Centrale Europea e Bankitalia stanno stampando moneta per comprare debito, riducendone sia il costo che l’ammontare. Cioè stanno facendo ora, nel 2015, quello che Andreatta nel 1995 diceva fosse il male dell’Italia, per evitare il quale ci si doveva liberare della lira. La conclusione è che abbiamo perso 20 anni e subito una crisi devastante perché si è cercato di impedire che lo Stato facesse quello che deve fare, cioè creare moneta in quantità sufficiente perché l’economia funzioni.
(“Beniamino Andreatta 1995, liberiamoci della lira”, da “MonetAzione” del 31 luglio 2015

fonte: www.libreidee.org

NATO: prove di guerra lampo in Europa


di Gianni Lannes


Parole d'ordine: guerra e distruzione della vita. La cosiddetta alleanza atlantica è passata fulmineamente da una funzione difensiva ad una smaccatamente offensiva, che snatura il suo stesso statuto. E’ un programma bellico in piena regola che a partire dall’imminente mese di settembre, sarà realizzato nel vecchio continente in funzione anti Russia. Le esercitazioni belliche dello zio Sam prevedono ben 4 appuntamenti in Italia: Sardegna (ex Shardana), Mar Jonio (ex Dinamic Manta), Italia Meridionale (ex Smerex), Italia Settentrionale (ex Virtual Flag). Dati ufficiali: l'Italia nel 2014 ha bruciato 30 miliardi di euro in spese militari, mentre il contributo quotidiano per l'aerosolchemioterapia è di 20 milioni.


Evidentemente non basta la guerra ambientale segreta a base di scie chimiche e irradiazione di energia elettromagnetica, e così mandano in onda anche quella classica, anzi convenzionale, grazie a governanti europei telecomandati dall'estero. E Renzi che fa? A parte minacciare di trattamento sanitario obbligatorio chi avvista le chemtrails, concede alle multinazionali la rapina degli idrocarburi nei mari italiani e sulla terraferma, contornato dal solito teatrino di finti ambientalisti, associazioni rosso-verdastre vendute al miglior offerente, governatori regionali ed onorevoli che tengono a bada la gente con promesse altisonanti. 

Comunque, tornando agli stranieri extracomunitari (Washington, Londra, Tel Aviv e Berlino) che comandano in questa Italia senza sovranità, non c’è da stare allegri, perché le esercitazioni navali prevedono l’uso e l’impiego di unità a propulsione ed armamento nucleare. I sommergibili atomici, per esempio, sono paragonabili a centrali nucleari galleggianti, solo con meno sistemi di sicurezza. A dirla tutta, i piani di protezione della popolazione sono inesistenti, obsoleti e segreti, in palese violazione delle norme nazionali ed internazionali a fronte della presenza in almeno 12 porti italiani di naviglio nucleare “alleato”. In fondo, questo è un dettaglio su cui la magistratura nostrana non si sofferma. E come dimenticare, fra gli innumerevoli incidenti consumati senza far trapelare nulla all’ignara popolazione italiana, tragedia United States of America, avvenuta nel mare di Sicilia nel 1975, quando la portaerei Kennedy entrò in collisione con il caccia Belknap? Risultato: 7 morti, 49 feriti ed inquinamento nucleare a macchia d’olio.

A proposito: la NATO terrà un’esercitazione navale a antisommergibile su vasta scala in Italia, a partire dal 12 settembre. Le manovre, nome in codice “Dynamic Manta” testeranno le capacità dei partecipanti nell’ “anti-submarine warfare” (Asw) e in particolare il controllo del mare e il contrasto alle attività navali. L’esercitazione si concluderà il 22 settembre e si terrà presumibilmente nel Mar Ionio. Precedentemente, le esercitazioni anti-sommergibili dell’Alleanza avevano visto la partecipazione di dodici navi da guerra, quattro sommergibili e assetti aerei da dieci paesi della Nato, inclusi gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, l’Italia e la Francia.

 riferimenti:


http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=NATO

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=porti+nucleari

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2015/08/litalia-vende-sempre-piu-armi-nazioni.html

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2015/08/italia-un-mare-nero.html



 RAPINA IDROCARBURI:

d 85 F.R-.GM della  GLOBAL MED



Province: Crotone, Catanzaro

Comuni: Strongoli, Cropani, Montepaone, Soverato, Borgia, Staletti’, Ciro’ Marina, Sellia Marina, Melissa, Crucoli, Catanzaro, Crotone, Isola di Capo Rizzuto, Botricello, Cutro, Simeri Crichi, Ciro’, Montauro, Squillace, Belcastro

“d 86 F.R-.GM



d 87 F.R-.GM



d 89 F.R-.GM



Province: Lecce

Comuni: Tricase, Gagliano del Capo, Ugento, Racale, Alessano, Castrignano del Capo, Taviano, Andrano, Diso, Otranto, Morciano di Leuca, Patu’, Tiggiano, Gallipoli, Alliste, Salve, Santa Cesarea Terme, Castro, Corsano

d 90 F.R-.GM

fonte: sulatestagiannilannes.blogspot.it

23/08/15

Civita di Bagnoregio


VEDUTA


VALLE DEI CALANCHI


ALTRA VEDUTA

Civita è una frazione del comune di Bagnoregio, in provincia di Viterbo, nel Lazio, facente parte dei borghi più belli d'Italia, famosa per essere denominata "La città che muore".

Geografia fisica e antropica

Abitata da una decina di persone e situata in posizione isolata, è raggiungibile solo attraverso un ponte pedonale in cemento armato costruito nel 1965. Il ponte può essere percorso soltanto a piedi, ma recentemente il comune di Bagnoregio, venendo incontro alle esigenze di chi vive o lavora in questo luogo, ha emesso una circolare in cui dichiara che, in determinati orari, residenti e persone autorizzate possono attraversare il ponte a bordo di cicli e motocicli. La causa del suo isolamento è la progressiva erosione della collina e della vallata circostante, che ha dato vita alle tipiche forme dei calanchi e che continua ancora oggi, rischiando di far scomparire la frazione, per questo chiamata anche "la città che muore" o, più raramente, "il paese che muore".

La valle dei Calanchi

La valle dei calanchi è situata tra il lago di Bolsena ad ovest e la valle del Tevere ad est, nel comune di Bagnoregio. È costituita da due valli principali: il Fossato del Rio Torbido e il Fossato del Rio Chiaro. In origine questi luoghi dovevano essere più dolci e accessibili ed erano attraversati da un’antica strada che collegava la valle del Tevere al Lago di Bolsena.

Territorio

La morfologia di quest’area è stata provocata dall’erosione e dalle frane. Il territorio è costituito da due formazioni distinte per cronologia e tipo. Quella più antica è quella argillosa, di origine marina e costituisce lo strato di base, particolarmente soggetto all’erosione. Gli strati superiori sono invece formati da materiale tufaceo e lavico. La veloce erosione è dovuta all’opera dei torrenti, agli agenti atmosferici, ma anche al disboscamento.

Flora

La superficie del territorio di Civita di Bagnoregio non è molto estesa, ma abbastanza eterogenea. La vegetazione dei calanchi, a causa della loro natura argillosa, è limitata a poche specie, disposte in piccoli e radi gruppi. Anche in primavera, quando la flora è al massimo rigoglio, il terreno rimane per buona parte scoperto. Nella fascia più bassa dei calanchi si trova una zona cespugliosa, costituita da rovi, canne, ginestre, qualche arbusto di olmo e, talvolta, rosa canina. All’interno della valle la vegetazione è costituita da piante arboree, da arbusti e da erbe palustri. La vegetazione delle rupi tufacee dello sperone roccioso sul quale si erge Civita, risulta limitata a poche specie con copertura esigua.

Fauna

La fauna di questa zona è quella tipica delle aree collinari dell’Alto Lazio. Negli ambienti boschivi, costituiti soprattutto da macchie di bosco ceduo, tra le principali specie di mammiferi risultano il riccio tra gli insettivori, l’istrice tra i roditori, la volpe, la donnola, il tasso, la faina e il cinghiale tra i carnivori. Inoltre presenti la tortora e l’upupa, entrambi estivi. Da segnalare la gremita comunità felina che vive all'interno delle mura della città. Non si tratta di gatti selvatici, ma di gatti domestici randagi, la cui presenza va certamente collegata all'ambiente antropico abbandonato.

Storia

Civita venne fondata 2500 anni fa dagli Etruschi. Sorge su una delle più antiche vie d'Italia, congiungente il Tevere (allora grande via di navigazione dell'Italia Centrale) e il lago di Bolsena.

All'antico abitato di Civita si accedeva mediante cinque porte, mentre oggi la porta detta di Santa Maria o della Cava, costituisce l'unico accesso al paese. La struttura urbanistica dell'intero abitato è di origine etrusca, costituita da cardi e decumani secondo l'uso etrusco e poi romano, mentre l'intero rivestimento architettonico risulta medioevale e rinascimentale. Numerose sono le testimonianze della fase etrusca di Civita, specialmente nella zona detta di San Francesco vecchio; infatti nella rupe sottostante il belvedere di San Francesco vecchio è stata ritrovata una piccola necropoli etrusca. Anche la grotta di San Bonaventura, nella quale si dice che San Francesco risanò il piccolo Giovanni Fidanza, che divenne poi San Bonaventura, è in realtà una tomba a camera etrusca. Gli etruschi fecero di Civita (di cui non conosciamo l’antico nome) una fiorente città, favorita dalla posizione strategica per il commercio, grazie alla vicinanza con le più importanti vie di comunicazione del tempo.

Del periodo etrusco rimangono molte testimonianze: di particolare suggestione è il cosiddetto “Bucaione”, un profondo tunnel che incide la parte più bassa dell’abitato, e che permette l’accesso, direttamente dal paese, alla Valle dei Calanchi. In passato erano inoltre visibili molte tombe a camera, scavate alla base della rupe di Civita e delle altre pareti di tufo limitrofe che purtroppo furono in gran parte fagocitate, nei secoli, dalle innumerevoli frane. Del resto, già gli stessi Etruschi dovettero far fronte ai problemi di sismicità e di instabilità dell’area, che nel 280 a.C. si concretarono in scosse telluriche e smottamenti. All’arrivo dei romani, nel 265 a.C., furono riprese le imponenti opere di canalizzazione delle acque piovane e di contenimento dei torrenti avviate dagli etruschi.

Antiche opere di Etruschi e Romani per arginare l'erosione

Come detto sopra, il problema dell'erosione era già all'epoca degli Etruschi molto importante. Quindi misero in atto alcune opere che avevano il preciso scopo di proteggere Civita dai terremoti e dagli smottamenti, arginando fiumi e costruendo canali di scolo per il corretto deflusso delle acque piovane. I romani ripresero le opere dei loro predecessori, ma dopo di loro queste furono trascurate ed il territorio ebbe un rapido degrado che portò, infine, all'abbandono della Civita.

Monumenti e luoghi di interesse

All'interno del borgo rimangono varie case medievali, la chiesa di San Donato, che si affaccia sulla piazza principale e dove al suo interno è custodito il S.S. Crocefisso ligneo, il Palazzo Vescovile, un mulino del XVI secolo, la casa natale di San Bonaventura e la porta di Santa Maria, con due leoni che tengono tra le zampe una testa umana, a ricordo di una rivolta popolare degli abitanti di Civita contro la famiglia orvietana dei Monaldeschi.

Nel 2005 i calanchi di Civita di Bagnoregio sono stati proposti come sito di interesse comunitario.

Cultura

Il giorno del venerdì santo avviene il più sentito appuntamento della cittadina di Civita, quando all'interno della Chiesa di San Donato, durante una commovente cerimonia, viene deposto il S.S. Crocifisso il quale viene adagiato su una bara per trasportarlo all'interno della secolare Processione del Venerdì Santo di Bagnoregio. La leggenda vuole che durante un'epidemia di peste che nel 1499 riguardò tutto il territorio intorno a Bagnoregio, il Crocifisso abbia parlato ad una Pia donna, la quale si recava ogni giorno al cospetto della venerata Immagine chiedendo con le sue preghiere che avesse fine lo strazio. Un giorno, mentre la donna pregava "il Cristo", udì una voce, che la rassicurava e la avvertiva che il Signore aveva esaudito le sue preghiere e che la pestilenza avrebbe a breve avuto fine, come puntualmente avvenne dopo qualche giorno contemporaneamente alla morte della Pia donna.

Eventi

Nel periodo natalizio vi si tiene un presepe vivente. Le vicende di Maria e Giuseppe sono ambientate nelle vie medievali.

La prima domenica di giugno e la seconda di settembre viene allestito nella piazza principale il secolare Palio della Tonna ("tonda" nel dialetto locale), in cui le contrade di Civita si sfidano a dorso di un asino, sostenuti dal tifo degli abitanti.

La prima domenica di giugno la prima festa patronale di Maria SS. Liberatrice.

L'ultima settimana di luglio e la prima di agosto si tiene il Tuscia in Jazz Festival con concerti, seminari e jam session. I migliori nomi del jazz mondiale si ritrovano insieme a centinaia di studenti provenienti da tutto il mondo nella splendida cornice di Civita di Bagnoregio ogni primo sabato di agosto per la Notte in Jazz unica notte in bianco dedicata al jazz in Italia.

La seconda domenica di settembre la seconda festa patronale del SS. Crocifisso

Economia e turismo

Il vecchio paese è iscritto all'associazione de I borghi più belli d'Italia. Per la sua posizione geografica suggestiva e il suo impianto medievale è ogni anno meta di numerosi turisti ed è stata diverse volte utilizzata come set cinematografico. Da Giugno 2013 l'accesso al Borgo di Civita di Bagnoregio costa €1,50.

Nella televisione e nel cinema

Maria e Tony i protagonisti della soap brasiliana Terra Nostra 2 (trasmessa in Italia nel 2002-2003) e molti altri personaggi della telenovela sono originari di Civita di Bagnoregio. La cittadina ha ospitato le riprese iniziali dello sceneggiato con la partecipazione straordinaria di Massimo Ciavarro.

Per I due colonnelli (1962), regia di Steno con Totò protagonista, come luogo del film si scelse Civita di Bagnoregio.

Ennio Flaiano cita "Civitella di Bagnoregio" nella rubrica giornalistica Diario notturno (1956), pubblicata sulla rivista "Il Mondo" e raccolta in volume da Bompiani, 1956.

È qui ambientato anche il quarto episodio (Il prete) del film Contestazione Generale del 1971 con Alberto Sordi.

fonte: Wikipedia

22/08/15

ponte del Diavolo


DUOMO DI SANTA MARIA ASSUNTA E PONTE DEL DIAVOLO

Puìnt dal Diàul in friulano, è il simbolo della città di Cividale del Friuli (UD). Costruito in pietra a partire dal 1442 e ripartito in due arcate, poggia su un macigno naturale collocato nel letto del fiume Natisone, lungo il quale si può ammirare una scenografica gola. Il ponte è alto 22,50 m, poggia su tre piloni sviluppandosi per 48 m su due archi di larghezza differente (22 m e 19 m). L'asimmetria è dovuta alla posizione del masso su cui poggia il pilone centrale.

Cenni storici

Sino al XIII secolo vi era un passaggio in legno, frequentemente sottoposto alla furia distruttrice delle acque del fiume; emerse così la necessità di sostituirlo con una più solida costruzione in pietra. Il progetto del nuovo ponte fu elaborato da Iacopo Dugaro da Bissone, con cui il Comune stipulò un contratto l'11 dicembre 1441. I lavori proseguirono attraverso una interminabile serie di intoppi e si protrassero sin quasi all'inizio del XVI secolo.

Nel 1442 fu iniziata la costruzione, che proseguì sotto la direzione di Dugaro fino alla sua morte (1445). Fu poi ripresa dal suo collaboratore Erardo da Villaco. Nel 1453 fu tolta l'armatura ma, ad opera ancora non terminata, morì anche Erardo. Nel 1558 il ponte venne lastricato, e nel 1689 venne restaurato una prima volta. Un successivo restauro, ad opera di Giuseppe Cabassi, venne eseguito nell'anno 1836.

La costruzione venne abbattuta il 27 ottobre 1917 durante i tragici eventi della ritirata di Caporetto nel tentativo, inutile, di ritardare l'avanzata del nemico. Fu prontamente ricostruito, nelle stessa forma, dai tedeschi sotto la direzione di Anselmo Nowak ed inaugurato già nel maggio del 1918. Successivamente subì danni limitati nel 1945 ad opera dei soldati tedeschi.

Origine del nome

Il nome del ponte deriva da una leggenda popolare, alimentata verosimilmente dalle tormentate vicissitudini costruttive del manufatto: si dice che per costruire il ponte, i cividalesi avessero chiesto aiuto al Diavolo. Questi avrebbe preteso in cambio l'anima della prima creatura che fosse passata sul ponte. Accettato il patto, in una sola notte il Diavolo eresse il ponte, ma la mattina seguente i cittadini fecero passare sul ponte un animale (o un gatto o un cane o, addirittura, un maiale, secondo altre versioni: pare che in alcuni periodi dell'anno qualcuno abbia udito dei rumori, simili a grugniti, provenire dal letto del fiume intorno al ponte). Il Diavolo così beffato, dovette accontentarsi dell'anima dell'animale, lasciando per sempre in pace i cividalesi.

Secondo un'altra versione molto diffusa, il diavolo si sarebbe limitato a semplificare la costruzione dell'opera collocando la grossa pietra su cui poggia il pilastro centrale del ponte.

fonte: Wikipedia

in giro transitano più indiani che pellerossa


cambiano le persone, cambia il contesto, ma quello che si compie è sempre lo stesso. Non tanto nel discutere quanto nel ripetere.

basta poco a trasformare il gatto che teme il topo



dove collocare un nome vero nell'universo finto, dell'istinto intrappolato nel recinto. Mittente respinto.Tuonano mortai nei corridoi. Uomini e donne presi a ringiovanire, o meglio, farsi compatire, a riverire il sire, il vuoto da riempire. Casi da riaprire. Archiviare il divenire.

19/08/15

Facebook

AMICI FINTI, AUGURI FINTI, OPINIONI FINTE


Facebook sotto accusa, come l’ipocrisia la fa da padrona

Credo di essere l’unica studentessa della mia scuola con un computer e un ADSL ad essere senza Facebook. Se mi sento una reietta o una sfigata? No anzi, me ne vanto. E lo dico al mondo. Mi ricordo l’anno scorso la grande novità di questo sito che ti mette in comunicazione con l’intero pianeta, con mille possibilità di conoscere meglio altre persone e siti che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti.

Prima domanda a tutti voi lettori: un amico lontano è vostro amico solo se lo aggiungete su Facebook?Facebook è l’unico modo per gestire un’amicizia a distanza con qualcuno? La posta elettronica e Skype non esistono più? Certo Facebook può essere una facilitazione per mantenerci in contatto con l’amico tedesco che abbiamo conosciuto l’estate scorsa in vacanza studio, ma sicuramente non è l’unico modo.

Già solo la frase che ci presenta il sito sulla pagina iniziale ha un impatto psicologico fortissimo: ci vuole appunto indurre a credere che iscrivendoci potremmo diventare amici del mondo intero. Se per la maggior parte degli adolescenti oggi la concezione di amicizia si limita a: “Ti ho aggiunto su face book, visito spesso il tuo profilo e commento i tuoi link/foto” bèla mia concezione di amicizia è invece fatta di momenti passati insieme, sia a ridere che a piangere, di aiuto vicendevole nei momenti di difficoltà e soprattutto si può portare avanti senza dover per forza visitare una pagina web con i dati personali di una persona.

Le cosiddette amicizie che ogni adolescente ha su Facebook vanno in media dalle 200 alle 600 circa… sono tutti vostri amici sul serio? Sono tutte persone con cui uscite, vi confidate e che sostenete nei momenti difficili? O sono persone che aggiungete solo per fare numero o perché sono della vostra scuola? Magari la ragazza a cui avete appena inviato la richiesta d’amicizia è la stessa che ogni mattina deridete per le scarpe che secondo voi fanno schifo. Non è ipocrisia questa? Non è falsità allo stato puro avere come amico (anche solo se su internet) persone che nella vita reale neanche guardiamo in faccia o peggio ancora ci stanno antipatiche?

Non è forse una generazione di bugiardi quella che si comporta in questo modo? E che valori potrà trasmettere a quelle future? Che le foto non si fanno per ricordare i momenti belli ma solo per metterle su Facebook e sperare che tutti quelli che le vedano ci invidino perché ci stavamo divertendo? O meglio, facevamo finta di divertirci, 

perché è questo che Facebook richiede: la finzione. Amici finti, opinioni finte, sorrisi finti, auguri finti e via dicendo.

Ma la cosa più penosa di tutta questa rete di finzione è che non coinvolge soltanto gli eterni indecisi problematici adolescenti, ma anche quarantacinquenni che spinti dall’amico con la sindrome di Peter Pan o dal desiderio di capire meglio i figli si lasciano trascinare e accorrono all’impazzata a cercare tutte le persone di cui si possono ricordare e magari la prima amicizia arriva dall’ex compagna delle superiori con cui non si parlava mai. Che bello!Dopo quasi trent’anni di indifferenza siamo amici! Wow!

Allora giustifichiamo i falsi e i bamboccioni a loro volta figli di genitori come loro…ma gli altri? Tutte le altre persone apparentemente “normali” che appena effettuano una connessione al sito diventano re e regine del finto interesse verso gli altri e dell’idolatria verso sé stessi? Bè…aspettiamo un altro po’ e al sabato sera si uscirà stando a casa davanti al proprio computer…così potrete uscire con tutti i vostri 500 amici insieme no?

P.S. Voglio sottolineare e ribadire che questo articolo non intende assolutamente screditare Facebook, mettendo in dubbio le sue funzioni e la sua utilità se utilizzato per lo scopo per cui è stato creato, ovvero tenere in contatto le persone. Al contrario è una personalissima opinione riguardante SOLO E SOLTANTO quelle persone che, facendone un uso assiduo e scorretto, si sono rivelate per quello che sono in realtà: incoerenti ed immature.

Giorgia Grisendi (Liceo Scientifico Silvio d’Arzo di Montecchio Emilia -RE)

http://altrarealta.blogspot.it/

fortezza austro-ungarica di Lavarone



« Per Trento basto io! »

meglio nota come forte Belvedere Gschwent, (in ted. Werk Gschwent) sorge a quota 1.177 metri a sud della contrada Oseli su di uno sperone roccioso che si spinge verso la Valdastico e la valle del Rio Torto, dominandone le testate. Il forte appartiene al grande sistema di fortificazioni austriache al confine italiano.

Tecnica e architettura della fortezza

Progettista dell'opera fu il Capitano di Stato Maggiore del Genio ing. Rudolf Schneider, il quale lo costruì a partire dal 1908 sotto la direzione del Genio militare di Trento e seguendo le indicazioni dell'Imperiale e Regio Ministero della guerra di Vienna.

Diversamente a gran parte delle fortezze del periodo, costruite ancora secondo modelli e schemi tradizionali, nella costruzione di Forte Belvedere il progettista Rudolf Schneider adottò soluzioni nuove e per certi aspetti sperimentali. Si nota subito come il forte non sia più concepito come una costruzione in cui tutto è raccolto in un unico complesso architettonico, bensì come un'opera articolata che si compone di diversi fortini per il combattimento ravvicinato, lontani uno dall'altro, in mezzo ai quali fu collocato il blocco della batteria per il combattimento a distanza. Dietro a questo vi è il corpo delle casematte con l'alloggiamento della truppa e i servizi; il tutto collegato a mezzo di corridoi e poterne (gallerie) in roccia.

I ripidi dirupi di roccia da ben tre lati conferivano a Forte Belvedere una naturale sicurezza rispetto agli assalti della fanteria nemica; inoltre lungo la linea frontale era stato scavato un profondo fossato e piantata una duplice fascia di reticolati (tutti battibili con mitragliatrici) e reticolati larghi dai 6 ai 12 metri, sempre battibili con mitragliatrici a tiro radente e incrociato, erano presenti pure nei fianchi e sul terreno di gola. Forte Belvedere poteva, quindi, dirsi praticamente inespugnabile nel senso pieno del termine. Concluso il 18 maggio del 1912, forte Belvedere era costruito e collaudato per resistere anche ai bombardamenti più pesanti e rappresenta un'opera moderna e razionale dove il cemento ed il ferro sono stati sapientemente amalgamati con la roccia.

Per la costruzione del Forte era stata preventivata una spesa di un milione e mezzo di Corone austriache, cifra che a lavoro ultimato raggiunse circa i 2.000.000. A ciò andava aggiunto il costo dell'armamento, che si può stimare in circa 300.000 Corone.

Forte Belvedere, al pari di tutte le fortificazioni austriache più moderne, era un complesso destinato ad essere completamente autonomo, anche in caso di prolungato assedio. Era stato perciò dotato di tutte le attrezzature e dei servizi logistici tali da renderlo autosufficiente per un periodo di cento giorni, anche qualora i ripetuti bombardamenti avessero impedito un regolare rifornimento di viveri e munizioni.

L'armamento

L'armamento principale del forte Belvedere era costituito da una batteria di tre obici da 10 cm di calibro, protetti da cupole corazzate girevoli in acciaio dello spessore di 250 mm. Sebbene il 10 cm risultasse piuttosto piccolo, si era preferito ai calibri maggiori per vari motivi pratici ed anche in considerazione del fatto che i forti austriaci avevano una funzione prevalentemente difensiva. Un calibro relativamente piccolo, infatti, permetteva di accatastare una notevole riserva di munizioni e una relativa facilità di movimento. Inoltre, un calibro maggiore avrebbe comportato una perdita di solidità della cupola, che, per risultare stabile, si sarebbe dovuta riprogettare completamente e fabbricare di dimensioni maggiori.

A differenza delle altre fortificazioni dell'Altipiano, forte Gschwent non aveva postazioni di combattimento armate con cannoni. Di contro, si preferì dotare la fortezza con un consistente numero di postazioni di mitragliatrici Schwarzlose da 8 mm Mod. 07, armi ugualmente efficienti ma molto meno costose.

La guarnigione

Il 24 maggio 1915, giorno della dichiarazione di guerra del Regno d'Italia all'Impero Austro-Ungarico, il presidio ufficiale di Forte Belvedere era così composto: 1 Comandante, 2 Ufficiali d'artiglieria, 1 Ufficiale di Fanteria, 1 Ufficiale Medico, 130 Sottufficiali e artiglieri, 50 Landesschützen; 8 telefonisti, 5 addetti alla sanità, 5 zappatori, 5 ordinanze (portaordini) e 5 attendenti.

I bombardamenti

Sebbene mai direttamente interessato dagli assalti della fanteria italiana, lungo tutto l'arco del primo anno di guerra forte Belvedere subì bombardamenti molto intensi. Il fuoco dell'artiglieria nemica causò più volte notevoli danni alle strutture e fece anche delle vittime tra la guarnigione, non arrivando comunque mai all'intensità raggiunta dai bombardamenti contro forte Campo Luserna e forte Vezzena.

Il giorno 23 maggio 1915 alle ore 18, con la dichiarazione di guerra dell'Italia all'Austria-Ungheria, ebbero inizio le ostilità. Alle 5 del mattino del giorno seguente vennero sparati i primi colpi di cannone contro forte Belvedere. Oltre ai cannoni dei forti italiani Verena e Campolongo, le artiglierie italiane erano dislocate a Porta Manazzo, nei pressi di cima Campomolon, al passo della Vena e sul monte Toraro.

Da parte austriaca, la sola artiglieria in campo nei primi giorni di guerra era costituita dalle batterie della cintura dei forti, spesso troppo deboli. Senza la possibilità di controbattere all'azione italiana, solo la gran resistenza dei forti ai bombardamenti garantì la tenuta della linea. Solo più tardi sarebbero entrati in azione il mortaio da 30,5 cm piazzato sul dosso di Costalta e gli altri grossi calibri.

Il dopoguerra

Alla fine del conflitto, forte Belvedere, alla stregua degli altri forti degli Altipiani, divenne proprietà del demanio italiano. Negli anni venti, una linea di sette fortezze in stato di parziale efficienza stava lì, tra i pascoli e i boschi di queste montagne, a memoria di una guerra ancora troppo vicina per essere dimenticata.

Circa un decennio più tardi, però, una serie di eventi andarono a segnare in modo irrimediabile la storia di queste fortificazioni. Iniziavano quelli che spesso vengono ricordati come “gli anni del recupero”. In quegli anni il governo fascista aveva intrapreso la strada della politica coloniale e dell'autarchia, isolando l'Italia sul piano internazionale. Come immediata conseguenza sorsero subito problemi nell'approvvigionamento di quelle materie prime indispensabili all'industria nazionale. Per contenere almeno in minima parte la grave crisi dei rifornimenti all'industria siderurgica, si pensò anche alla demolizione delle opere corazzate della Prima guerra mondiale. Già alla metà degli anni trenta molti dei Forti degli Altipiani vennero minati per recuperare il ferro in essi contenuto. Questi edifici, prodigio della tecnica militare austriaca, furono ridotti così a cumuli informi di macerie. Forte Belvedere, diversamente dagli altri, si salvò dalla demolizione per intervento del re Vittorio Emanuele III che volle che almeno un forte rimanesse a perenne testimonianza della grande guerra per le generazioni future.

Con grande lungimiranza, negli anni sessanta la famiglia Osele acquistò il forte al fine di sfruttarne la valenza turistica, dotandolo di un impianto di illuminazione e di tabelle indicative dei vari locali e rendendolo visitabile quale museo di se stesso.

Nel 1997 il forte, uno tra i più grandi e meglio conservati, è stato acquistato dal comune di Lavarone che, con il sostegno finanziario della Provincia Autonoma di Trento, ha immediatamente varato ed effettuato una serie di interventi di restauro e di valorizzazione del sito. Oggigiorno infatti il forte ospita un moderno museo.

Il museo della guerra 1914-18

Forte Belvedere-Gschwent si presenta oggi al visitatore quale museo di se stesso e della Grande Guerra 1914-18. Il museo della fortezza si sviluppa nei tre piani della Caserma principale:

al piano terra si spiega la storia di forte Belvedere e del fronte fortificato degli Altipiani di Folgaria, Lavarone e Vezzena;
al primo piano si parla della vita all'interno del forte e della guerra sul fronte alpino;
al secondo piano si affrontano le tematiche più generali del conflitto, ponendo particolare attenzione alla vita in trincea e alla condizione umana dei soldati al fronte.
Al suo interno si trovano reperti storici ed installazioni multimediali che illustrano la storia del forte, della sua guarnigione e delle vicende militari che hanno interessato gli Altipiani. Il museo della fortezza è aperto e visitabile dal 1º aprile al 1º novembre, chiuso il lunedì (tranne luglio e agosto).

fonte: Wikipedia

16/08/15

PPP - 7 -


MARIA CALLAS

mani pulite

sfasciare l’Italia per venderla ai suoi carnefici ( NIENTE E' COME SEMBRA)

Mani Pulite? Un “golpe” giudiziario per radere al ruolo la Prima Repubblica, corrotta fin che si vuole ma non disposta a demolire la sovranità nazionale. «La vecchia dirigenza Dc-Psi, che per anni, nel bene e nel male, aveva governato l’Italia – scrive Gianni Petrosillo – non avrebbe mai ceduto alle pressioni esterne tese ad ottenere la liquidazione degli asset strategici e patrimoniali del Belpaese, per una sua completa subordinazione a (pre)potenze straniere, in atto di ricollocarsi sullo scacchiere geopolitico dopo l’implosione dell’Unione Sovietica». Tutto ciò «verrà fatto dopo, dai residuati della Prima Repubblica, sospettamente scampati alla mannaia giudiziaria, pur avendo ricoperto ruoli e funzioni di primo piano per una lunga fase, e da nuovi partiti frettolosamente nati sulle macerie di quelli vecchi o appena riverniciati di falso moralismo necessario a mimetizzarsi tra scandali e persecuzioni». Un magistrato come Tiziana Maiolo denunciò le “stranezze” del pool di Milano, «il quale, incredibilmente, insabbiò le indagini sui comunisti e mise i bastoni tra le ruote a quei magistrati che avrebbero voluto fare maggiore chiarezza anche da quella parte».

La stessa Maiolo, scrive Petrosillo su “Conflitti e Strategie”, «riprende la tesi del complotto della Cia nell’affaire Tangentopoli», anche se «non arriva a comprendere come gli americani potessero fidarsi dei comunisti, cresciuti sotto l’ala di Mosca, per raggiungere i loro scopi». Forse alla Maiolo erano sfuggiti «importanti spostamenti di campo che il Pci iniziò ad operare sin dalla fine degli anni ’60 e che diventarono sempre più evidenti con il compromesso storico, le dichiarazioni berlingueriane favorevoli alla Nato e i viaggi d’oltreoceano di Giorgio Napolitano». L’onda lunga del “tradimento” si completerà in seguito alla caduta dell’Urss con la svolta occhettiana della Bolognina, che porterà la “ditta” a cambiare apertamente nome e ragione sociale. «E’ vero che la gioiosa macchina da guerra del Pds s’ingripperà sul più bello, mentre dava l’assalto al potere», ma in effetti anche il complotto meglio pianificato può incontrare un inghippo: in quel caso l’inghippo fu Berlusconi, «catalizzatore del bacino elettorale dei partiti distrutti dai giudici».

Quando il pool di Milano «procedeva come un carro armato e tutti aspettavano che finalmente andasse a colpire anche il Pci-Pds, che andasse a fondo, che facesse una pulizia totale», grande stupore destarono quindi le parole del procuratore aggiunto Gerardo D’Ambrosio, che in un’intervista rilasciata al quotidiano “L’Unità” il 26 maggio 1993 annunciò che a grandi linee l’inchiesta su Tangentopoli era finita, dopo aver colpito Dc e Psi e risparmiato il Pci-Pds. Fu lo stesso D’Ambrosio, aggiunge Petrosillo, a battersi per dimostrare che Primo Greganti, il faccendiere del Pci-Pds che aveva prelevato denaro in Svizzera dal “Conto Gabbietta”, «rubava per sé e non per il partito». Un paio di anni dopo, quando il quadro politico era radicalmente cambiato e non esistevano più la Dc né il Psi (ma esisteva ancora l’ex partito di Occhetto), il ministro di giustizia del governo Dini, Filippo Mancuso, avvierà un’ispezione nei confronti del pool di Milano, e la questione Greganti salterà di nuovo fuori.Dov’erano finiti quei soldi? «Nelle casse del Pci-Pds». Ma il pool di Milano cessò di indagare. E a Tiziana Parenti, la giovane magistrata che aveva osato sfidare i vertici della Quercia, l’inchiesta fu tolta.

«Ci sarà un altro magistrato la cui inchiesta sul Pci-Pds si infrangerà su un muro di omertà complici e di “aiutini”», continua Petrosillo. Si tratta del procuratore di Venezia, Carlo Nordio, cui a un certo punto furono trasferiti anche atti provenienti da Milano. «L’interrogatorio di Luigi Carnevale, che chiamava in causa esplicitamente Stefanini, Occhetto e D’Alema, non arrivò mai. Si disse che era stata una “dimenticanza”. E così l’inchiesta di Venezia, come tante altre che si snodarono in tutta Italia, si risolse con le condanne dei pesci piccoli». E che dire di quel miliardo di lire che Raul Gardini, patron di Enimont, avrebbe consegnato a Botteghe Oscure, su cui esistono diverse testimonianze e per il quale Sergio Cusani fu condannato a sei anni di carcere? «Sparito nelle stanze buie della grande federazione del Pci-Pds. Nessun magistrato, né Di Pietro né in seguito i diversi tribunali individuarono in quali mani il denaro fosse finito. Per D’Alema e Occhetto non è mai valso il principio del “non poteva non sapere” o della “responsabilità oggettiva” con cui fu colpito Bettino Craxi. Eppure c’era stato il racconto (indiretto) di Sergio Cusani che aveva riferito di aver consegnato un miliardo nelle mani di Achille Occhetto».

Il tribunale che condannò Cusani scrisse: «Gardini si è recato di persona nella sede del Pci portando con sé 1 miliardo di lire. Il destinatario non era quindi semplicemente una persona, ma quella forza di opposizione che aveva la possibilità di risolvere il grosso problema che assillava Enimont e il fatto così accertato è stato dunque esattamente qualificato come illecito finanziamento di un partito politico». Non si ricordano urla e strepiti del pubblico ministero Antonio Di Pietro (anche se chiederà timidamente di interrogare D’Alema), che dopo quel processo gettò la toga, scrive Petrosillo. Occhetto e D’Alema non furono neppure sentiti e il miliardo passò allastoria come finanziamento illegale “a un partito”. Francesco Misiani, pm romano di sinistra aderente alla corrente più radicale di “Magistratura democratica”, ha spiegato in un libro quale fosse il suo stato d’animo quando scoprì che il Pci-Pds, «lungi dal rappresentare quella “diversità” su cui tanto si era appassionato Enrico Berlinguer, era invece assolutamente omologo (un terzo, un terzo, un terzo) ai partiti di governo e, proprio come aveva denunciato l’inascoltato Craxi, si era sempre finanziato in modo illecito o illegale». Anzi, avendo anche ricevuto finanziamenti dall’Unione Sovietica, come racconterà con franchezza in un altro libro Gianni Cervetti, aveva persino maggiore disponibilità finanziaria.

Un politico di Forza Italia come Giuliano Urbani racconta: «Nel 1994, quando ero ministro del primo governo Berlusconi, fui avvicinato da alcuni professori miei amici, che erano legati alla Cia, i quali mi misero in guardia da Di Pietro, mi suggerirono di diffidare della persona. Mi dissero con certezza che Di Pietro nella costruzione di tangentopoli era stato aiutato dai servizi segreti americani». Secondo i “contatti” di Urbani, il desiderio di vendetta degli Stati Uniti nei confronti di Craxi, Spadolini e Andreotti per i fatti di Sigonella ebbe diversi strumenti operativi, tra cui appunto l’uso di Tonino Di Pietro. «Il quale in effetti arrivò, distrusse e se ne andò. Su mandato dei servizi segreti americani». Il racconto di Urbani, proprio perché proviene da un liberale che arrivò nei palazzi del potere “dopo”, e quindi non aveva nessun motivo di revanchismo nei confronti del Pm di Mani Pulite, sembra convincente: «Quegli amici mi hanno avvicinato per avvertirmi della doppiezza dell’uomo, che era stato protagonista di una pagina oscura. E mi hanno proprio cercato loro, appositamente». Vengono con facilità alla memoria quelle trattative, poi saltate, per far entrare Di Pietro nel governo Berlusconi. E i dubbi aumentano. «Sappiamo come è cominciata, ma non sappiamo perché», osserva Petrosillo. «Perché una colossale retata giudiziaria a strascico abbia rivoluzionato la fisionomia politica del paese».

C’è chi ha sposato la teoria del complotto internazionale, scrive Petrosillo. Sostenuta da molti esponenti governativi prestigiosi della Prima Repubblica (Craxi in primis), questa ipotesi parte dal presupposto che la magistratura fino al 1992 ignorò il finanziamento illecito dei partiti. Poi, con l’arresto di Mario Chiesa, il caso esplose e si trasformò in un “processo al sistema”. «Qualcuno, si dice, aveva interesse ad annientare l’intera classe politica al governo e sostituirla con un’altra. Chi? Perché?». Francesco Cossiga ha fatto parte di coloro che hanno creduto al complotto internazionale. In una delle sue ultime interviste, attribuì alla Cia un ruolo importante sull’inizio di Tangentopoli, così come sulle “disgrazie” di Craxi e Andreotti. In quel periodo alla Casa Bianca c’erano amministrazioni del Partito democratico, «le più interventiste e implacabili». Un altro boss della Prima Repubblica, l’ex ministro democristiano Paolo Cirino Pomicino, sostiene che il “complotto” iniziò proprio nel 1992, la data fatidica di Mani Pulite. In quei giorni il capo della Cia, James Woolsey, spiegò che l’amministrazione Clinton aveva disposto un vero spionaggio industriale, e a Milano sbarcò l’agenzia privata di investigazioni Kroll. Gli Usa raccolsero corposi dossier sul finanziamento illecito. E il capo della Cia fece sapere al suo governo che c’era la possibilità di far scoppiare scandali, se fosse servito.

13/08/15

palazzo della civiltà italiana



talora anche chiamato della Civiltà del Lavoro, è un edificio monumentale che si trova a Roma nel moderno quartiere dell'EUR. Concepito fin dal 1936 e progettato nel 1937, la sua costruzione iniziò nel luglio 1938 e fu inaugurato, benché incompleto, nel 1940; i lavori si interruppero nel 1943 per poi essere ultimati nel dopoguerra.

L’edificio è a pianta quadrata e appare come un parallelepipedo a quattro facce uguali, con struttura in cemento armato e copertura interamente in travertino; presenta 54 archi per facciata (9 in linea e 6 in colonna) e in ragione di ciò è stato ribattezzato anche Colosseo quadrato.

È dichiarato dal ministero per i Beni e le Attività Culturali edificio di interesse culturale ex d.lgs. 42/2004, ed è quindi vincolato a usi espositivi e museali; dal luglio 2013 è concesso in affitto fino al 2028 al gruppo di alta moda Fendi.

Cenni storici

La storia del Palazzo è legata strettamente a quella dell’EUR. Infatti, dopo l’assegnazione a Roma (da poco capitale di un impero) dell’Esposizione universale del 1942, il governo italiano intese cogliere l’occasione per celebrare in tale data il ventennale del regime fascista e per sviluppare, contemporaneamente, l’urbanizzazione della città lungo l’asse viario che portava al mare.

Del dicembre 1936 è la legge che istituì l’Esposizione Universale di Roma, e del gennaio 1937 sono i primi inviti e bandi di concorso per l’ideazione degli edifici dell’istituendo quartiere della mostra, che prese il nome di «EUR 42» dall’acronimo dell’Esposizione e dall’anno di istituzione.

L’ente nato appositamente per vagliare i progetti architettonici dell’EUR 42 già ad aprile 1937 aveva deliberato i primi piani; per i palazzi più importanti furono banditi specifici concorsi tra giugno e ottobre di quello stesso anno: il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi, l’esedra di Piazza Imperiale (oggi piazza delle Nazioni Unite), il Museo delle Comunicazioni (oggi Archivio Centrale dello Stato), la basilica dei santi Pietro e Paolo e, giustappunto, il Palazzo della Civiltà Italiana (un ulteriore concorso per la realizzazione del Palazzo dell’Acqua e della Luce fu bandito un anno e mezzo più tardi ma il progetto non ebbe realizzazione).

La commissione esaminatrice, presieduta da Marcello Piacentini, promosse il progetto di Giovanni Guerrini, Ernesto Lapadula e Mario Romano, ideatori di un palazzo di forma sostanzialmente cubica che presentava quattro facciate caratterizzate dalla presenza di archi, in ragione di 77 per facciata (11 in lunghezza e 7 in altezza); nella successiva realizzazione pratica del progetto gli archi furono diminuiti a 54 (9 in lunghezza e 6 in altezza). Il palazzo, i cui lavori presero inizio nel luglio del 1938, assunse la forma di un parallelepipedo a base quadrata che sulle quattro testate riporta, scolpita sul travertino che lo ricopre, la dicitura in stampatello su tre righe: «Un popolo di poeti di artisti di eroi / di santi di pensatori di scienziati / di navigatori di trasmigratori». Alto 60 metri, con una base di 53 metri, esso poggia su un basamento a gradini la cui altezza massima, sul fronte che guarda la ferrovia Roma — Ostia, è di 18 metri, mentre invece dal lato di viale della Civiltà del Lavoro l’ingresso è praticamente a livello della strada.

Negli archi del piano terreno si trovano 28 statue (6 per le facciate verso viale della Civiltà del Lavoro e la scalinata, e 8 nelle altre due facciate), ciascuna di esse allegorica delle virtù del popolo italiano: in senso orario a partire dalla prima a sinistra del fronte su viale della Civiltà del Lavoro figurano le allegorie dell’eroismo, della musica, l’artigianato, il genio politico, l’ordine sociale, il lavoro, l’agricoltura, la filosofia, il commercio, l’industria, l’archeologia, l’astronomia, la storia, il genio inventivo, l’architettura, il diritto, il primato della navigazione, la scultura, la matematica, il genio del teatro, la chimica, la stampa, la medicina, la geografia, la fisica, il genio della poesia, la pittura e il genio militare. Ai quattro angoli del basamento si trovano altrettanti monumenti equestri raffiguranti i Dioscuri, opera di Publio Morbiducci e Alberto Felci; la coppia di monumenti sul lato sudorientale guarda verso viale della Civiltà del Lavoro, quella sul lato nordoccidentale spazia verso la città dal lato aperto della collina su cui sorge l’edificio. Tutto il complesso si trova, dal punto di vista toponomastico, in un’area chiamata Quadrato della Concordia.

Sorge all’estremo nord-occidentale dell’asse prospettico (odierno viale della Civiltà del Lavoro) che, incrociando la Via Imperiale (oggi via Cristoforo Colombo), termina, sul lato opposto, nella piazza che ospita il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi (e il cui nome attuale è piazza John Fitzgerald Kennedy). Realizzato a partire dal 1938, fu inaugurato, ancora incompleto, nel 1940. La struttura (non visibile) è di cemento armato, indispensabile per realizzare grossi volumi; gli archi delle facciate sono a tutto sesto e la struttura esterna è ricoperta interamente in travertino, secondo una scelta non casuale che, in effetti, intendeva richiamare i valori di romanità a cui il regime si ispirava.

Dal punto di vista architettonico il Palazzo è visto come un esempio di compromissione con il regime: conservatore nell’impianto, esso aderisce quasi completamente allo schema formale imposto dallo spirito ideologico, di stampo monumentalistico, che si era oramai delineato in Italia dopo quindici anni di fascismo; la stessa scelta del travertino, oltre a rispondere alle citate esigenze di ritorno alla tradizione dell’Impero romano, serviva a soddisfare i desiderata autarchici del regime, il quale voleva mostrare autosufficienza economica e capacità di realizzare un edificio di tali dimensioni utilizzando solamente la pietra, essendo l’uso del ferro e del cemento reso difficile dalla loro scarsa disponibilità derivante dalle sanzioni imposte all’Italia a seguito della guerra d'Etiopia.

I lavori sul Palazzo furono interrotti definitivamente nel 1943 ed esso, come il resto delle costruzioni fino ad allora realizzate (tra cui la Basilica, il Palazzo dei Congressi e l’esedra che oggi ospita le sedi dell’INPS e dell’INA), servì dapprima come accampamento per le truppe tedesche, poi alleate e infine, nell’immediato dopoguerra, come rifugio di sfollati. A tal riguardo, il Palazzo fu anche teatro di una battaglia avvenuta il 9 settembre 1943 subito dopo l'Armistizio: sulla scalinata verso il Tevere avvenne uno scontro tra paracadutisti tedeschi, attestati nei pressi del vecchio ponte della Magliana, e soldati italiani, impegnati nel tentativo di rallentare ai primi l’avanzata verso il centro di Roma; nella battaglia rimase ucciso un artigliere italiano, poi decorato alla memoria.

Solo nel 1951, con la nascita dell’Ente EUR (il quartiere mantenne l’acronimo ma fu ribattezzato “Europa”), fu possibile riprendere i lavori di completamento del quartiere, visto come nuovo polo di aggregazione degli uffici della Capitale; il Palazzo della Civiltà Italiana ospitò nel 1953 l’Esposizione Internazionale dell’Agricoltura e a seguire fu utilizzato come sede della Federazione nazionale dei Cavalieri del Lavoro e per altri usi ministeriali. Con il tempo l’edificio si guadagnò anche il soprannome ironico di Palazzo groviera dai romani, per via della forma delle sue facciate.

A metà degli anni ottanta l’Ente EUR riprese la piena gestione del Palazzo, che tuttavia rimase sostanzialmente inutilizzato salvo iniziative sporadiche. Nel 2006 un progetto del ministero per i Beni e le Attività Culturali ne previde il restauro: oggetto degli interventi furono le facciate e il piano terreno, gli infissi e i terrazzi; nel 2008 il progetto trovò pratica realizzazione e i lavori si conclusero il 15 dicembre 2010.

Il 18 luglio 2013 un accordo tra l’EUR e il gruppo Fendi ha concesso a quest’ultimo il Palazzo in affitto per 15 anni fino a tutto il 2028; nel rispetto del vincolo a destinazione museale, stante la sua natura di edificio di interesse culturale il gruppo ha annunciato la realizzazione al piano terreno di un’area destinata a esposizione aperta al pubblico per «celebrare la creatività e l’artigianalità del genio italiano».

Cultura di massa

Per la sua particolare architettura e il suo richiamo alle forme monumentali della Roma antica, il Palazzo della Civiltà Italiana — come, del resto, anche altri luoghi dell’EUR — è stato spesso l’ambientazione, oppure lo sfondo, di produzioni cinematografiche, televisive e spot pubblicitari.

Cinema

Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini;

O.K. Nerone (1951) di Mario Soldati;

L'onorata società (1961) di Riccardo Pazzaglia;

L'eclisse (1962) di Michelangelo Antonioni;

«Le tentazioni del dottor Antonio» in Boccaccio '70 (1962) di Federico Fellini;

8½ (1963) di Federico Fellini;

Siamo tutti pomicioni (1963) di Marino Girolami;

L'ultimo uomo della Terra (1964) di Ubaldo Ragona;

Per amare Ofelia (1974) di Flavio Mogherini;

Io tigro, tu tigri, egli tigra (1978) di Renato Pozzetto e Giorgio Capitani;

Il ventre dell'architetto (The Belly of an Architect, 1987) di Peter Greenaway;

Hudson Hawk - Il mago del furto (Hudson Hawk, 1991) di Michael Lehmann;

Titus (-, 1999) di Julie Taymor;

Equilibrium (-, 2001) di Kurt Wimmer;

Streghe verso nord (2001) di Giovanni Veronesi;

Notte prima degli esami (2006) di Fausto Brizzi.

Musica

La copertina dell’album Andate tutti affanculo (2009) degli Zen Circus ha come sfondo il Palazzo della Civiltà Italiana.

Il video della cover di Meraviglioso dei Negramaro è ambientato sul tetto dell’edificio dell’INPS che fronteggia il Palazzo della Civiltà Italiana, visibile durante il videoclip.

fonte: Wikipedia

il nuovo promo di X-Factor britannico è incentrato sul controllo mentale


Premettendo che tutti gli spot televisivi hanno lo scopo di influenzare e controllare mentalmente le masse, nel video in questione hanno davvero sintetizzato spudoratamente questo programma, più chiaro di così! Il nuovo promo di X Factor UK 2015 mostra i giudici come se fossero robot sotto controllo mentale, programmati in un laboratorio sotterraneo. E' un modo piuttosto preciso di descrivere l'industria dello spettacolo.

X Factor è uno di quei concorsi di canto che affliggono il settore della musica di oggi, trasformando una forma d'arte che è una questione di creatività ed espressione artistica in un grande concorso di popolarità, dove il "vincitore" ha l'opportunità di diventare l'ultimo schiavo dell'industria musicale. Queste competizioni chiamate reality, che si svolgono in tutto il mondo per raggiungere diversi mercati, sono letteralmente fabbriche per la creazione di pop-star, sfornando un burattino dopo l'altro, legandoli ad un contratto che li costringe a seguire le linee guida dell'élite occulta.

I giudici di questi spettacoli sono anch'essi marionette a cui viene chiesto di sedersi lì e giudicare una performance musicale dopo l'altra, criticando coloro che non si adattano a quello specifico tipo di musica o non adatti ad essere mentalmente schiavizzati! L'ultimo promo di X Factor UK, raffigura i giudici come robot programmati, e ciò è un altro esempio di come l'élite ostenta il completo controllo del settore sulle masse, senza che queste nemmeno se ne rendano conto.


L'annuncio del promo avviene in una sorta di base futuristica composta da un gruppo di persone in camice bianco. Perché una gara canora richiederebbe una base sotterranea segreta e un manipolo di pseudo-scienziati?


Questa specie di handler applica ad uno dei giudici (Nick Grimshaw) un microchip. A che gli serve? A quanto pare non può usare il proprio cervello per giudicare. Il circuito integrato è un chiaro riferimento al controllo mentale e un messaggio di persuasione per abituare le masse all'uso e alla visione del microchip o marchio della bestia.


Poi è la volta di Rita Ora nei panni di giudice che però indossa un abito a scacchiera dualistico; praticamente la divisa ufficiale dello schiavo nel settore dello spettacolo, anche lei non fa eccezione!


Come in quasi tutti i promo pubblicitari non può mancare l'occhio che tutto vede. Difatti appare Cheryl Fernandez-Versini in versione robot con centinaia di duplicati pronti per essere utilizzati. Ad un certo punto, si vede una luce flash da un unico occhio e si sente una voce metallica e robotizzata ad indicare sfacciatamente che coloro che entreranno nel mondo dello spettacolo saranno vittime del controllo mentale degli Illuminati in cambio del temporaneo successo.


Il video si conclude con l'ultimo giudice (Simon Cowell) che viene sottoposto ad una "scannerizzazione del cervello" attraverso un apparecchio computerizzato che gli legge i pensieri, mentre seduta dietro di lui c'è una scienziata che sta cercando di prendere appunti, ma è vuoto assoluto!

In breve, questo promo "eccentrico" ed "esilarante" trasmette un messaggio chiaro: nessuno nel settore della musica pop ha una mente propria. Chissà negli altri settori se la musica cambia, in fondo il sistema lo conosciamo più o meno tutti! Sono controllati da un potere superiore che con cura, e scientificamente, plasma l'uscita nel settore per uniformarli all'agenda dell'èlite occulta ed influenzare le masse verso una direzione specifica.

Tratto da Vigilant Citizen

fonte: freeondarevolution.blogspot.it