Autoritratto di Giacomo da Cardone - Crocifissione a Montecrestese |
Giacomo nacque agli inizi del terzo decennio del XVI secolo: possiamo dedurlo dal fatto che il padre, Guidolo, volle commemorare il completamento della propria abitazione, nel 1522, con un’iscrizione graffita sulla facciata.
Giacomo da Cardone ebbe educazione più accurata e diversa da quella dei suoi conterranei.
Gli inizi si possono supporre a Montecrestese oppure a Domodossola nello studio dei Minori Conventuali. Proseguì l’apprendimento in qualche importante centro della Lombardia, probabilmente Milano o Pavia, dove imparò l’arte della pittura ed acquisì la pratica del notariato.
L’ambiente che frequentava in Lombardia era, quasi sicuramente, vigilato dagli agenti governativi spagnoli e/o dalla santa inquisizione, perché non era difficile che tra gli artisti emergessero pericolose tendenze in contrasto con la politica e la religione dominanti in quel preciso momento storico.
I cantieri aperti a Crevola, nella chiesa dedicata ai Santi Pietro e Paolo, e Baceno, nella chiesa dedicata a San Gaudenzio, scatenarono la vocazione del giovane studente.
Gli esordi risalgono al 1542 quando affrescò un’immagine devozionale in un edificio di Montecrestese.
Il tempo corre veloce.
Crocifissione - Montecrestese |
Si giunge la 1547. La parrocchiale di Montecrestese dedicata a Santa Maria Assunta, ritenuta dalla popolazione buia e troppo bassa, chiama a se il pittore che, negli anni seguenti, imprimerà sui muri il suo pensare, il suo essere diverso. Un uomo fuori dal tempo e dallo spazio. La sua opera inizia con la realizzazione di due personaggi, San Giovanni Battista e San Sebastiano. I due santi sono affrescati sulle colonne che sostengono l’arco d’accesso ad una cappella della navata di destra. Alla sinistra dell’ingresso troviamo San Giovanni Battista. Vestito con l’abito tessuto di peli di cammello.Alla destra del capo di Giovanni Battista la scritta che lo contraddistingue: ecce agnus dei. Ecco l’agnello di Dio. Alla destra dell’ingresso appare san Sebastiano, facilmente riconoscibile dal corpo trafitto di frecce. Durante la lavorazione di questi due affreschi, Giacomo da Cardone, entra in contatto con la confraternita di Santa Marta. Conoscenza che si svilupperà, positivamente per entrambi, con il trascorrere del tempo, sino a giungere al 1550, anno in cui si affida al pittore la realizzazione dell’apparato pittorico di una cappella, costruita a spese della confraternita, in fondo alla navata settentrionale.
Particolare della crocifissione - Montecrestese |
Arriviamo al 1550 quando la cappella della navata settentrionale, che oggi conserva il battistero, è ultimata. La richiesta dei committenti al pittore consisteva nella realizzazione di opere che dovevano riguardare la crocifissione, il purgatorio ed il giudizio universale. Nella grande crocifissione, presente sullo sfondo della cappella, è riscontrabile l’influsso dei grandi pittori contemporanei, o leggermente precedenti, al da Cardone, come il Bugnate o Gaudenzio Ferrari.
Negli anni successivi iniziò ad operare nel cantiere della chiesa dedicata a San Gaudenzio a Baceno dove, nel 1554, affrescò l’ultima cena. Sulla destra del grande affresco ritroviamo un Sant’Antonio Abate sempre del 1554. Negli anni successivi affrescò due sante nella volta. Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto e Santa Apollonia.
Giacomo, fantasioso e versatile, si lasciò catturare dalle idee luterane.
Fu catturato nel 1561 ed accusato di seguire idee luterane.
Fu esaminato e giudicato dall’inquisitore generale di Milano Fra Angelo Enguada.
La tortura in cosa consisteva?
Nel tratto di corda o squassamento.
Questa tipologia è nota per essere stata la prima utilizzata dalla santa Inquisizione.
La vittima era lasciata con indosso solo i “mutandoni”, incatenata alle caviglie e con i polsi legati, saldamente, dietro la schiena con una corda “spessa”, che era fatta passare su una carrucola fissata al soffitto della camera della tortura. Gli inquisitori, che ricordiamo essere frati, issavano il torturato fino all’altezza di circa sei piedi dal pavimento.
Alle caviglie erano legati pesi di ferro, per fare in modo che la gravità della persona venisse a pesare sulle giunture delle spalle.
In quella posizione a Giacomo fu chiesta la verità!
“ Sei tu un aderente della religione luterana?”
Nel caso in cui il pittore si fosse rifiutato di parlare, la sua schiena avrebbe conosciuto la flagellazione. Le sue spalle avrebbero iniziato a subire slogature e dislocamenti!
Questa tortura era eseguita con diversi gradi di durezza, secondo la natura del reato di cui era accusato il prigioniero.
Il giudice diceva:
“..il prigioniero deve essere interrogato applicando la tortura”
Il malcapitato era sollevato da terra con la fune.
L’inquisitore si poteva spingere oltre:
“..che si torturi il prigioniero”
L’eretico era sottoposto allo squassamento per una volta.
Se il carnefice, perché così dovrebbero essere chiamati gli inquisitori, dichiarava.
“..che lo si torturi bene”
L’uomo veniva sottoposto a squassamento per due volte.
Infine vi era la sentenza devastante:
“..che venga torturato duramente”
Al prigioniero erano applicati i pesi alle caviglie..
Giacomo da Cardone abiurò!
Non sappiamo a quale livello di tortura fu sottoposto, sappiamo che qualche tempo dopo l’arresto ritornò nella natia Montecrestese.
Qui finisce la tortura fisica.
Inizia quella psicologica.
Dopo una severa inquisizione fece atto d’abiura dei suoi errori.
Fu soggetto ad una dura penitenza e rimandato in Ossola.
La punizione fu severa, ad indicare l’importanza dell’eresia nella quale era caduto.
Doveva portare cucita addosso, su tutti i vestiti, una croce rossa.
Tutte le feste doveva recarsi in chiesa per ascoltare la messa inginocchiato con una candela in mano: doveva recarsi in tutti gli altari presenti in chiesa, cinque, e per ognuno recitare 5 ave maria e 5 padre nostro.
Doveva confessarsi quattro volte l’anno mandando all'inquisitore la relazione del parroco circa l’espletamento dell’obbligo.
Doveva dipingere l’immagine di san Rocco nella sua casa. Santo invocato contro la peste e le malattie gravi. San Rocco fu imprigionato come spia a Voghera. Rimase dimenticato in un carcere per almeno tre anni. In quel luogo desolato trovò la morte. La Santa Inquisizione scelse san Rocco come monito per il prigioniero? Nel 1591 in quella stessa casa si svolse un processo contro una presunta strega.
Per tre anni doveva digiunare a pane ed acqua in tutte le vigilie delle feste comandate.
Doveva, su richiesta dell’inquisitore, ripetere pubblicamente il suo atto d’abiura a Montecrestese.
Vi sembra dura come sentenza?
Dovremmo insieme pensare che a Giacomo sia andata bene, poiché non ha conosciuto il fuoco riconciliatore.
Non facendo vita pubblica decise di farsi costruire una nuova casa che si impegnò a decorare sbrigliando completamente la sua fantasia.
Nella sala della sua abitazione vi è una bellissima decorazione della cappa del camino: la predicazione di san Giovanni Battista sulle rive del Giordano. Il battista al centro, vestito di pelli di cammello, presenta la scritta Ecco l’agnello di dio che toglie i peccati dal mondo ed indica cristo sulla sponda opposta ad un gruppo di persone che giunge alle proprie spalle.
Ai piedi del battista s’intravede la scritta IO.b 1564 (Iohannes Baptista 1564).
Giacomo si è firmato con il nome del battista?
Nella propria casa non aveva necessità di firmare le opere.
Dovremmo pensare ad una sorte d’identificazione tra Giacomo ed il battista?
Nella sua non usuale istruzione, consideriamo che siamo nel XVI secolo, Giacomo per abbellire la propria casa attinge dalla cultura lombarda del quattrocento.
Le scene ci riportano ad una ribellione interiore del pittore per il processo subito: Giacomo lo riteneva ingiusto nel procedere e nelle punizioni.
In questo periodo ritornò a lavorare al cantiere della chiesa dedicata a San Gaudenzio a Baceno, dove affrescò la deposizione dalla croce e la sepoltura del Cristo.
Trascorso il tempo della condanna per eresia, quattro anni, i compaesani si riuniscono in un forte atto di solidarietà: chiedono il reintegro di Giacomo all’ufficio di Notaio. Tanto fecero che il pittore fu reintegrato con decreto del 19 agosto 1566. L’atto fu firmato dal vicario del vescovo di Novara monsignore Serbelloni.
Un interessante documento riporta:
“Giacomo da Cardone dopo essere caduto nell’eresia, dopo la sua penitenza, è sempre vissuto da cattolico e cristiano secondo i precetti della Santa Cattolica Ortodossa e Romana chiesa e come si conviene a quell’uomo probo che sempre fu, eccetto la caduta di sopra, ed è al presente, ed ha sempre condotto vita onesta modesta e morigerata.”
Dell’attività notarile di Giacomo non esistono attestazioni.
Deposizione del corpo di Gesù - Baceno chiesa dedicata a San Gaudenzio |
Lo ritroviamo nel 1591 quando nella sua casa prese dimora frate Francesco Silvestrio, dei minori conventuali, vicario dell’inquisitore di Novara Andrea Gotescho.
Il motivo della presenza del frate inquisitore si deve ad un processo a carico di alcune donne di Montecrestese accusate di stregoneria.
Qui si conclude questo ricordo di un pittore, notaio ed eretico.
Spaccato della vita del Cinquecento del nostro assurdo bel paese.
Fabio Casalini
fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/
Bibliografia
fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/
Bibliografia
Arioli Luigi. Una camera nuziale del 1500, presente in Illustrazione Oscellana 1959.
Bertamini Tullio. Processo alla stria che ha toccato la vacca sulla schiena, presente in Illustrazione Ossolana 1962.
Bertamini Tullio. Le disavventure del pittore Giacomo di Cardone, presente in Oscellana 1991
Bianchetti Gianfranco. Il pittore Giacomo di Cardone, presente in Oscellana 1988
Edward John. Storia dell'Inquisizione. Oscar Mondadori. 2006
Lea Henry. Inquisizione. Storia e Organizzazione. Res Gestae editore. 2012
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