19/02/15
Verona
RESTI DI MURA ROMANE
MINIATURA DI FEDERICO I BARBAROSSA
INSEGNE DEL LEONE DI SAN MARCO A PIAZZA DELLE ERBE
FOTO OTTOCENTESCA
PIAZZA DEI SIGNORI
La storia di Verona si estende dalla fondazione del primo nucleo abitativo sul colle San Pietro, risalente probabilmente al neolitico, sino ai giorni nostri: le testimonianze di una storia così antica e ricca sono visibili nei monumenti, per le strade e le piazze, e perfino nel sottosuolo, dove emergono le rovine ed i manufatti delle antiche civiltà preistoriche, ma soprattutto romane.
È proprio durante la dominazione romana che Verona crebbe sino a diventare una delle più importanti città del nord Italia, statuto che mantenne ancora nei secoli successivi; visto che anche dopo la caduta dell'impero romano la città divenne più volte capitale di regni barbarici. Nel basso Medioevo Verona divenne un Comune indipendente, ma spesso sconvolto da sanguinose lotte tra le famiglie guelfe e ghibelline: le prime capeggiate dai Sambonifacio, le seconde dai Montecchi prima, e dagli Scaligeri poi. E proprio con gli Scaligeri vi fu l'indolore passaggio da Comune a Signoria.
I Della Scala furono protagonisti della storia veronese per due secoli, finché nel 1388 Verona perse la sua indipendenza, e nel giro di pochi anni finì soggiogata dai Visconti, dai Carraresi e infine nel 1405 dai Veneziani. Con la fine della repubblica di Venezia nel 1797 iniziarono le dominazioni straniere, prima sotto i francesi e subito dopo gli austriaci: Verona divenne parte del neonato Regno d'Italia solo nel 1866.
Fondazione
Verona sorse in un luogo, il colle San Pietro, la cui scelta fu naturale, poiché presentava (e presenta) condizioni naturali favorevoli: la collina era facilmente difendibile da attacchi esterni; le rive dell'Adige potevano essere pericolose, poiché il fiume esponeva le zone circostanti a piene annuali; il colle si trovava alla conclusione della val d'Adige, la principale via di comunicazione con le popolazioni del nord Europa, ma oltre a questa passavano anche altre importanti strade preistoriche.
Preistoria
Già nel neolitico si ha la probabile presenza di un villaggio presso la zona meridionale di colle San Pietro, lungo il corso dell'Adige, poiché si tratta di uno dei pochi punti guadabili del fiume, e da lì si possono raggiungere velocemente le sicure colline circostanti (ricche, tra l'altro, di numerosi reperti preistorici, che ne confermano l'antropizzazione). Verso la fine del neolitico (dunque sul finire del IV millennio a.C.) migrarono dalla Francia meridionale numerosi gruppi nomadi che si stanziarono nel luogo dove oggi si trova castel San Pietro (sull'omonimo colle), dove crebbe il primo villaggio di capanne in pietra, al sicuro dalle annuali esondazioni dell'Adige.
Fin dai primi secoli del IV millennio a.C. si diffuse la cultura dei vasi a bocca quadrata, con uno stile geometrico e lineare, che si sarebbe poi evoluto in uno stile meandro-spiralico.
Quella del colle San Pietro è quindi un'area ricca di reperti, nella quale sono stati trovati addirittura i resti delle case che formavano l'antico villaggio: alcune fosse interpretate come strutture e case seminterrate, tipiche della Lessinia. Il villaggio col tempo si ingrandì, e vide lo stanziamento di varie popolazioni, come gli abitanti terramare nell'età del bronzo. Sempre sul colle, durante l'età del ferro, proliferarono le civiltà protostoriche.
Protostoria
Il Veneto venne risparmiato dall'occupazione delle popolazioni galliche, che a varie ondate da ovest occuparono la pianura padana, ma vi furono comunque stretti rapporti tra Paleoveneti e Galli. A Verona la situazione era diversa perché i Galli Cenomani giunsero sino al corso dell'Adige: nella zona veronese, infatti, sono stati trovati manufatti retici o comunque legati alla cultura celtica, e molto probabilmente il villaggio fu abitato insieme dai Cenomani e dai Paleoveneti.
Gli storici latini hanno accreditato a Euganei, Reti, Paleoveneti, Etruschi o Galli Cenomani le origini di Verona: lo storico Polibio afferma che ai suoi tempi (II secolo a.C.) era ancora numerosa l'etnia venetica tra la popolazione della città, ed infatti la presenza veneta è ben documentata, in particolare presso il colle San Pietro, e su questa sua affermazione si basa l'ipotesi della fondazione veneta; l'ipotesi della fondazione da parte dei Reti e insieme degli Euganei è stata invece formulata da Plinio il Vecchio (dei primi tra l'altro la presenza è accertata dai numerosi ritrovamenti nel territorio veronese delle loro ceramiche); quella dei Galli Cenomani fu invece sostenuta da Tito Livio.
Verona romana
I primi rapporti con la repubblica romana
La zona di Verona, prima della latinizzazione, era popolata dai Paleoveneti e dai Galli Cenomani: più forte a Verona era sicuramente le presenza Veneta, testimoniata da numerosi reperti appartenenti a quel popolo. La cispadania era abitata nel III secolo a.C. da numerose popolazioni bellicose, e i Romani si rivolsero, per ottenere aiuto, ai Paleoveneti, poiché li ritenevano consanguinei: questa credenza era frutto di una leggenda che vedeva Antenore e gli Eneti, tra i pochi sopravvissuti alla guerra di Troia, cacciati dalla loro terra, e giunti dopo un lungo viaggio nell'alto Adriatico, nella regione corrispondente grosso modo al Veneto odierno, dove cacciarono gli Euganei. Lo stesso Catone afferma che Venetos Troiana stirpe ortos.
I primi contatti fra Roma e Verona sono documentati intorno al III secolo a.C.: vi furono subito rapporti di amicizia ed alleanza (già nel 283 a.C. il senato romano strinse un patto con i Paleoveneti ed i Galli Cenomani per rallentare l'invasione gallica). Probabilmente ci furono contatti più anticamente, già nel 390 a.C.: infatti, quando i Galli di Brenno invasero la stessa Roma, forse grazie ad un'azione diversiva dei Paleoveneti i Galli potrebbero essere stati costretti a venire a patti con i Romani.
Nel 225 a.C. i Romani mandarono ambasciatori presso i Paleoveneti ed i Galli Cenomani per stringere un'alleanza contro i Galli Boi e gli Insubri, che minacciavano le frontiere romane. Dati i rapporti amichevoli, i Galli Cenomani concessero ai Romani l'erezione di un piccolo presidio in cima a Colle san Pietro, da cui controllare la zona. Ancora durante la seconda guerra punica i Galli Cenomani ed i Paleoveneti aiutarono i Romani, mentre tutte le altre popolazioni galliche si erano schierati con Cartagine. Al termine della guerra, per poter completare la sottomissione della Gallia cisalpina (Galli e Liguri non accettavano la supremazia romana) Roma cominciò una vera e propria guerra di conquista, sempre sostenuta da questi due popoli.
Nel 174 a.C., a seguito della sottomissione dell'Gallia cisalpina e dell'inizio di un nuovo periodo di colonizzazione della pianura Padana, cominciò a rivelarsi la grande importanza strategica di Verona. Il senato romano, infatti, richiese a Cenomani e Paleoveneti l'ampliamento del castrum fortificato, mentre coloni romani e popolazioni indigene ponevano le basi per l'edificazione di una nuova città all'interno dell'ansa dell'Adige. Alla conclusione della terza guerra punica passavano ormai da Verona vie di comunicazione vitali come la via Postumia, che partiva da Genova e giungeva ad Aquileia attraverso la pianura Padana.
È probabile che in questo momento storico i Paleoveneti fossero legati ai Romani tramite amicitia, diversamente dai Galli transpadani legati a Roma dal foedus: questo legame era utilizzato soprattutto negli stati ellenistici, e prevedeva la neutralità, che poteva diventare alleanza solo in via eccezionale.
Verona rimase alleata di Roma anche tra la fine del II e l'inizio del I secolo a.C. contro gli invasori Teutoni e Cimbri, da non confondere (come fecero gli storici rinascimentali) con gli Tzimber del XIII secolo che ripopolarono la Lessinia nel basso Medioevo.
Res publica Veronensium
Il diritto latino venne esteso alla Gallia cisalpina (concessa dal Senato Romano nell'89 a.C., in seguito alla Guerra Sociale) tramite la Lex Pompeia de Transpadanis, proposta dal console Pompeo Strabone; i centri preesistenti, fra cui Verona, divennero perciò delle colonie latine fittizie (cioè senza una vera e propria deduzione, né l'invio di coloni). È di questo periodo lo sviluppo della città tramite un impianto pianificato nell'ansa dell'Adige.
Grazie a Cesare, Verona ottenne nel 49 a.C. (al pari del resto della Gallia Transpadana) la cittadinanza romana e, tramite Lex Roscia, le venne attribuito il rango di municipium e concesso un agro di ben 3.700 km² (oggi la provincia di Verona ha un territorio di 3.121 km²). Il municipio poté quindi fregiarsi del nome di Res publica Veronensium.
Durante il periodo repubblicano Verona fu raramente coinvolta in modo diretto nel terribile e sanguinoso periodo delle guerre civili (49-31 a.C.); ciò aiutò il suo sviluppo e la sua economia, che andò a rafforzarsi principalmente nella coltivazione di vite ed olivo, nell'allevamento di cavalli (che aveva origine dalla tradizione paleoveneta) ed ovini e nella produzione di lana. Ebbero inoltre uno forte sviluppo l'artigianato ed il commercio. In questo periodo la città, ormai spostata nell'ansa dell'Adige, cominciò ad ingrandirsi ed ammodernarsi. Furono costruiti due nuovi ponti in luogo del guado: il Ponte Pietra (costruito quasi sicuramente nel luogo di un preesistente ponte in legno, poiché estraneo al regolare tessuto della città), ed il Postumio, sul quale passava l'omonima via.
L'epoca imperiale
Sotto l'Impero di Augusto Verona divenne un nodo strategico ancora più importante, poiché fu utilizzata come base temporanea per le legioni, in particolare dopo la conquista della Rezia e della Vindelicia (15 a.C.). E proprio l'accresciuta importanza della val d'Adige, quale collegamento con il nord Europa, ed in virtù dell'importanza strategica di Verona, permise la costruzione della via Claudia Augusta, che da Ostiglia (dove arrivava un'altra strada da Roma) portava fino al passo del Brennero e quindi nell'attuale Austria. Augusto provvide a risistemare la penisola tramite la suddivisione in undici regiones; Verona venne quindi incorporata nella Regio X Venetia et Histria, che includeva Galli Cenomani, Reti, Euganei, Veneti, Carni ed Istri.
Durante questo periodo Verona fu interessata da un notevole afflusso di ricchezza che portò ad un ulteriore sviluppo della città: vennero erette le terme e il teatro ai piedi del colle San Pietro. Nel periodo dell'imperatore Claudio venne costruita la via Claudia Augusta, la via Gallica (che giungeva da Mediolanum e si immetteva nella via Postumia e nel Vicum Veronensium), e furono risistemate anche altre strade.
Con l'inizio della dinastia Flavia si interruppe per Verona il lungo periodo di pace, in particolare a causa della guerra tra Vitellio e Vespasiano: quest'ultimo scelse la città come fortezza, perché attorniata da campi aperti, in cui poteva utilizzare la cavalleria; inoltre, essendo una colonia ricca e importante, la sua conquista venne utilizzata a fini propagandistici. Siccome la città stava ormai crescendo fuori dalla cinta muraria, venne costruito un vallo intorno alla città, oltre a far scavare l'Adigetto (un lungo fossato, utilizzato anche nel Medioevo) a sud della città. Verona era un luogo strategico per Vespasiano poiché da lì avrebbe potuto bloccare le discesa in Italia di Vitellio. Fortunatamente per la città, l'ammutinamento di una legione di Vitellio spostò la guerra lontano da Verona. Fu però proprio sotto l'imperatore Vespasiano che la città raggiunse l'apice della ricchezza e dello splendore: l'ultima grande opera nel I secolo fu l'Arena, costruita poiché la città, che aveva ormai superato i 25.000 abitanti, aveva bisogno di un grande edificio per far divertire tutti gli abitanti.
L'inizio delle invasioni barbariche
A cominciare dal II secolo, Verona, come la maggior parte delle città del nord Italia, perse la sua funzione di centro di prima importanza ma divenne teatro di alcune lotte civili romane: la città venne investita dalle guerre che videro protagonisti l'imperatore Filippo l'Arabo e Decio nel 249, Aurelio Carino e Sabino Giuliano nel 283, e Costantino I e Ruricio Pompeiano, vinto dopo l'assedio del 312. Verona si trovò poi investita anche dalle invasioni barbariche, essendo il primo baluardo dell'Italia alle discese dal nord Europa, come in occasione delle guerre marcomanniche del finire del II secolo (nel 170), quando un'orda di Marcomanni e Quadi, che avevano poco prima assediato la città di Aquileia, furono cacciati dalle truppe imperiali accorrenti dell'imperatore Marco Aurelio, poco lontane dalla città scaligera.
L'imperatore Gallieno, nel 265, fece allargare le mura della città fino ad includervi l'Arena, fortificandola in soli sette mesi, dall'aprile al dicembre dello stesso anno, come è attestato dalla scritta sull'architrave di Porta Borsari: questa decisione venne presa dopo che gli Alemanni si erano spinti sino a Ravenna. Con Gallieno si aprì un periodo di tranquillità per la città, ma garantirne la sicurezza comportò oneri e tasse sui cittadini che la resero meno fiorente. Sotto Claudio II il Gotico le mura servirono da deterrente all'assedio della città da parte degli Alemanni che, scesi nuovamente in Italia, decisero di lasciarla da parte.
Verona ebbe una lenta conversione al Cristianesimo e talora si trovò sulle posizioni delle prime eresie: Ario, Fotino di Sirmio ed Elvidio. Fu solo con san Zeno vescovo che l'ortodossia cristiana (secondo le disposizione dei concili di Nicea, di Calcedonia e di Efeso) si impose. Il IV secolo fu per la città un periodo relativamente tranquillo e solo dopo il V secolo si ebbero nuove battaglie: già nel 401 i Goti invadevano il Veneto, e nel 402 il re dei Goti Alarico I, battuto, si rinchiuse dentro Verona. Nel 403 i Goti vennero nuovamente sconfitti nella battaglia di Verona. In questo periodo le invasioni furono molto frequenti: nel 452 il re degli Unni, Attila, invase l'Italia e con mezzo milione di uomini lasciò una scia di distruzione che terminò proprio a Verona: qui gli venne incontro una delegazione del Senato romano, composta da papa Leone I, dal console Gennadio Avieno e dal prefetto Trigezio, la quale convinse il re unno a tornare in Pannonia.
Verona nell'Alto Medioevo
Verona capitale dei Goti
Odoacre non ebbe investiture ma governò di fatto e lasciò un buon ricordo nei veronesi. Non mutò nulla del governo precedente, e da ariano non avversò i cristiani latini di credo niceo-efesino. Applicò una regola romana del passato per pacificare il suo esercito: confiscò ai latifondisti un terzo delle terre e le ridistribuì ai suoi soldati. Rilanciò l'agricoltura e l'economia, agevolando i contadini con sgravi fiscali e liberando gli schiavi, che divennero servi della gleba, formalmente liberi, anche se ancora vincolati a padroni. Verona rimase città di primaria importanza militare anche sotto Odoacre. Egli riuscì a fermare i Rugi, ma non poté fare niente contro gli Ostrogoti di Teodorico il Grande, mandati in Italia da Zenone, imperatore d'Oriente. Nel 488 partirono più di 300.000 Ostrogoti verso l'Italia. Teodorico il Grande riuscì a battere Odoacre nella battaglia di Verona, svoltasi il 30 settembre nella zona detta campus minor Veronensis (quasi sicuramente la zona che nel basso Medioevo veniva chiamata campanea minor Veronensis), cioè dove oggi si trova San Martino Buon Albergo; Odoacre fu obbligato a fuggire, rifugiandosi a Ravenna, dove capitolò dopo un assedio durato ben quattro anni.
Il regno di Teodorico iniziò quindi nel 493: capitale ufficiale divenne Ravenna, anche se Verona era il centro militare più importante e la sede preferita del re, tanto che in Germania era conosciuto come Dietrich von Bern, cioè Teodorico di Verona: egli restituì alla città il suo splendore e rialzò le mura atterrate dalle precedenti incursioni barbariche, munendole di ben quarantotto torri, poiché la città rimaneva un luogo strategico per il contenimento dei Burgundi e degli Alemanni. Teodorico fece anche restaurare numerosi edifici, tra cui le terme e l'acquedotto, e fece costruire un palazzo che portasse il suo nome, sul colle San Pietro: il palazzo di Teodorico (non più presente).
In politica interna seguì la strategia di Odoacre, anch'egli ariano, ma come ritorsione alla persecuzione da parte di Giustino I verso gli ariani a Bisanzio, vessò i Romani divenuti sospetti uccidendo il fedele consigliere Simmaco e fece arrestare Albino e Boezio, suo segretario che in prigione scrisse il famoso De consolatione philosophiae. Con la morte di Teodorico il dominio dei Goti continuò, anche se nel 535 l'Italia fu invasa dai Bizantini, e Verona era comandata da Ildibaldo, che venne in seguito eletto re dai capi goti dopo la caduta di Ravenna in mano bizantina (540). Alla morte di re Ildibaldo la corona passò al nipote Totila, ottimo politico e comandante: volendo eliminare i Bizantini dal suolo italiano seguì la politica di Teodorico, espropriando latifondi e accettando gli schiavi nel proprio esercito.
I Bizantini, con circa 12.000 uomini tentarono l'attacco a Verona, riuscendo a far entrare dentro la cinta muraria notte tempo un centinaio di soldati. I Goti, sorpresi, scapparono nelle colline a nord della città, ma accortisi del basso numero di soldati penetrati, e della discordia che serpeggiava fra i generali (per la spartizione del bottino) li attaccarono, costringendoli a fuggire e a ritirarsi oltre il Po. Quando l'intero esercito arrivò ai piedi delle mura di Verona i comandanti bizantini decisero di non porre d'assedio la città, viste le ottime difese.
A Totila succedette re Teia, che governò in un periodo in cui, ormai, gli antichi edifici e le strade romane cominciavano a cadere in rovina: alla sua morte Verona resistette per qualche tempo all'esercito bizantino comandato da Narsete, aiutata nella resistenza anche dai Franchi che avevano invaso, nel corso del conflitto, le Venezie; Procopio narra che quando il generale Valeriano, dopo la sconfitta di Totila, tentò nel 552 di assediare Verona, il presidio, che già pensava di arrendersi disperando di resistere, fu salvato dall'intervento dell'esercito franco che si trovava nelle zone limitrofe.
La guerra gotica ufficialmente finì nel 555, con la resa di Conza in Campania, ma nelle Venezie e nell'Italia transpadana vi erano ancora da scacciare i Franchi, oltre agli ultimi resti dell'esercito ostrogoto che ancora rifiutavano la resa; tra le sacche di resistenza ancora in mano agli Ostrogoti vi era anche Verona, che, insieme a Brescia, continuava a resistere. Nel 556 iniziarono le operazioni di riconquista di questi territori ancora al di fuori del controllo imperiale e già nel 559 Milano e gran parte delle Venezie erano in mano bizantina. Dovevano però resistere ancora Verona e Brescia. Intorno al 561 Narsete, di fronte al rifiuto del comandante dell'esercito franco nel Nord Italia, Amingo, di concedere agli Imperiali il permesso di varcare il fiume Adige, marciò contro i Franchi, che nel frattempo si erano alleati con un generale ribelle goto di nome Widin (che gli studiosi hanno supposto fosse il comandante del presidio di Verona); Narsete sconfisse entrambi in battaglia, determinando l'espulsione dei Franchi dall'Italia e, più o meno contemporaneamente (561-562), la resa delle ultime sacche di resistenza gote, cioè Verona e Brescia, le cui chiavi vennero inviate a Costantinopoli; Verona cadde il 20 luglio 561 e Brescia nello stesso anno o al più tardi nel 562, mentre la notizia della resa delle due città giunse a Costantinopoli nel novembre 562. Secondo alcuni studiosi, Verona e Brescia caddero in mano bizantina solo nel 561/562; mentre altri, ritenendo inverosimile che la città sia resistita così a lungo dopo la conclusione "ufficiale" del conflitto (555), ritengono più verosimile che la città fosse già in mano bizantina e che nel 561/562 si rivoltò insieme a Brescia, costringendo Narsete ad intervenire.
I Longobardi
Alboino, re dei Longobardi, interruppe il breve dominio bizantino su Verona. Nel 568 penetrò in Italia passando da Cividale, da cui partì alla conquista di quella terra che sarebbe stata conosciuta poi con il nome di Langobardia Maior: Verona era indifesa e venne occupata senza spargimento di sangue. La città divenne capitale d'Italia sino al 571, quando la sede della corte longobarda fu spostata a Pavia. Il territorio veronese fu eretto a ducato: gli unici duchi di Verona conosciuti sono Autari (il primo), Giselberto, Zangrulfo e Lupone. Durante la dominazione longobarda Verona rimase tra le principali città della Langobardia Maior, accanto a Milano, Cividale e alla capitale Pavia. Alboino venne ucciso dalla moglie Rosmunda nel palazzo di Teodorico a Verona, dove ancora oggi riposa.
Sempre a Verona, nel 774, Carlo Magno venne a capo dell'ultima resistenza dei Longobardi, guidata dal figlio di Desiderio, Adelchi; il principe cercò rifugio all'interno della città, prima di essere costretto alla fuga, segnando la fine del Regno longobardo. Manzoni ha trasposto questo fatto storico nella sua tragedia omonima, spostando tuttavia l'accento sul dramma personale di Ermengarda, figlia di Desiderio ripudiata e abbandonata da Carlo Magno.
L'impero carolingio e le ultime invasioni
Alla caduta del Regno longobardo corrispose la nascita dell'Impero carolingio con l'incoronazione di Carlo Magno nell'800. Carlo Magno assegnò al figlio Pipino la parte longobarda dell'Impero, quindi anche Verona. Con i Franchi ci fu una prima introduzione del feudalesimo e Verona divenne una contea. Durante il regno di Pipino furono ristrutturate numerose chiese e ne furono costruite di nuove, come la basilica di San Zeno, eretta sui resti di una primitiva chiesa paleocristiana sorta presso la tomba del santo. Pipino fece inoltre riadattare la cinta muraria, per il pericolo delle nuove invasioni da parte degli Avari. Pipino soggiornò spesso a Verona presso il palazzo di Teodorico e il colle San Pietro, tanto che quando morì, nell'810, venne seppellito a Verona. Il padre morì quattro anni dopo e la dinastia carolingia continuò quindi con Carlo il Grosso, che venne deposto nell'887. Il regno d'Italia divenne quindi formalmente indipendente ma, mentre i pretendenti al trono lottavano tra di loro, gli Ungari saccheggiavano il nord Italia, compresi i sobborghi di Verona. Risale a questo periodo il primo documento in latino volgare contenente delle tracce di volgare italiano: l'Indovinello veronese.
In questo periodo vi fu un continuo susseguirsi di lotte sanguinose tra feudatari. Berengario II d'Ivrea ebbe la corona del regno d'Italia, ma per mantenerla dovette intraprendere numerose guerre e spesso, dopo cocenti sconfitte, trovò riparo a Verona, dove ebbe come consiglieri il vescovo Adalardo ed il marchese Walfredo. Nella stessa città trovo però la morte dalle mani di Milone di Sambonifacio, un parente. A lui succedettero vari re d'Italia: re Berengario II formò la Marca di Verona, che venne però sottomessa al Ducato di Baviera prima, e al Ducato di Carinzia poi. Berengario II cercò di riconquistarla, ma alla discesa di Ottone I perse nuovamente la Marca. Già conte di Verona, Milone di Sambonifacio divenne marchese di Verona.
Verona aumentò di importanza con l'unione delle corone di Italia e Germania, che comportò maggiori rapporti tra i due paesi: Verona era infatti una tappa forzata per chi voleva avvalersi del passo del Brennero.
La città fu spesso meta degli imperatori, che vi soggiornarono anche per lunghi periodi, e numerose diete si svolsero nella città. Nel 967 l'imperatore Ottone II venne a Verona per preparare la guerra contro i Saraceni, ma dopo una pesante sconfitta in Calabria dovette riparare a Verona, dove nel 983 indisse una dieta a cui parteciparono personaggi di spicco del regno d'Italia e del territorio romano, oltre che i vescovi ed i principi di Franconia, Sassonia, Svevia e Lorena. Alla morte di Ottone II, nel 983, suo figlio Ottone III venne incoronato imperatore, ma già nel 1002 morì, ed il suo corteo funebre passò da Verona, attraversando l'Italia in rivolta.
Verona nel Basso Medioevo
Alla morte di Ottone III nel 1002 alcuni feudatari si riunirono a Pavia, dove elessero re d'Italia Arduino d'Ivrea, che mosse guerra al vescovo di Verona Oberto: il vescovo venne sconfitto in battaglia, e stessa sorte toccò poi ad Ottone, duca di Carinzia, che possedeva Verona. Oberto scappò in Germania per chiedere all'imperatore Enrico II di scendere in suo aiuto: egli scese in Italia passando da un valico secondario, cogliendo di sorpresa l'esercito nemico, che fuggì, così Enrico II poté entrare a Verona, dove venne accolto dai Canossa, e dopo una breve sosta partì alla volta di Pavia, dove venne incoronato. Enrico II successivamente scese in Italia altre tre volte (l'ultima, nel 1021, si fermò a Verona, dove tenne una dieta), e nel 1024 gli succedette Corrado II.
In quegli anni l'Italia settentrionale era sconvolta da numerose guerre, per cui Corrado II, dopo aver passato il Natale a Verona, decise di mettervi ordine tentando di pacificarla. Morto nel 1039, gli succedette Enrico III, che a Verona tenne la rivista del suo esercito, e vi scese una seconda volta per problemi privati con i Canossa (che a Verona miravano al potere).
La città fu sempre fedele all'imperatore Enrico IV, che era occupato nella lunga guerra per le investiture con il papato, mentre numerose città lombarde lo abbandonavano. Il 10 aprile 1090 a Verona organizzò un esercito composto per lo più di veronesi, con il quale attaccò Nogara ed assediò (con successo) Mantova, mentre in una seconda battaglia a Monteveglio morì il figlio di Enrico IV, che fece seppellire nella basilica di San Zeno.Tra l'altro negli ultimi anni di soggiorno in Italia il vescovo di Verona fu cancelliere dell'imperatore. Enrico IV tornò in Germania nel 1097, ma Verona persistette nell'ostilità alla riforma papale. Ciò portò ad un fatto singolare: papa Pasquale II doveva andare in Germania seguendo la via più veloce, ovvero la val d'Adige, ma venne male accolto dai veronesi e fu obbligato a cambiare strada, passando così dalla Francia.
Devastante per Verona fu il terremoto del 3 gennaio 1117, che fece cadere l'anello esterno dell'Arena, oltre a distruggere numerosi edifici; pochi anni dopo (1122) fini la lotta per le investiture, con il concordato di Worms.
Verona comunale
Nel 1125 Enrico V morì e il conte di Verona Sambonifacio divenne marchese e duca della città. Nel frattempo in Germania venne proclamato re Lotario, e andavano delineandosi due fazioni che in seguito sarebbero state chiamate dei guelfi e dei ghibellini: Verona fu particolarmente colpita dalla lotta tra queste due fazioni, anche perché nel contado si trovava una maggioranza guelfa (con massimi esponenti i Sambonifacio), mentre la città era prevalentemente ghibellina (con numerosi esponenti, come i Montecchi, resi famosi dal dramma Romeo e Giulietta di Shakespeare).
I primi consoli del Comune, per l'esattezza tre, vennero eletti solo nel 1136, e in seguito furono aumentati a sei. Il passaggio, con la scelta di san Zeno come patrono della nuova istituzione, è attestato da un bassorilievo sulla lunetta del portale della cattedrale risalente al 1138, ove il santo compare al centro, quasi a sancire simbolicamente il patto tra i milites (l'aristocrazia feudale, rappresentata dai cavalieri alla destra) e i pedites (il popolo grasso, la borghesia nascente). Nella fase di transizione dal feudalesimo al comune si creò un'oligarchia di una decina di famiglie (tra le quali i Sambonifacio e gli Ezzelini) che sancirono il loro potere nella fase comunale. Nel 1147 fu eletto console anche Balduino della Scala, uno degli antenati della famiglia scaligera, che avrebbero in seguito governato Verona per più di cento anni. Con la nascita del Comune si svilupparono all'interno della città lotte tra le varie famiglie, mentre la lotta politica non dilagò contro le città vicine: pare che gli scontri con Ferrara, Treviso e Padova furono per motivi economici. Nel 1151 i consoli vennero sostituiti dal veronensium rector, rettore, a sua volta sostituito nel 1169 dal podestà, più propriamente capitano e rettore di gastialdoni dei Mestieri e di tutto il popolo.
Federico Barbarossa ed il Comune di Verona
Il 4 marzo 1152 salì al trono Federico Barbarossa, detto "Barbarossa", che nel 1154 scese in Italia per muovere contro Milano. Nella sua politica di assoggettamento dei Comuni italiani (che avevano usurpato alcuni poteri imperiali), distrusse castelli, paesi ed intere città (come Asti, Tortona e Spoleto) in tutta Italia. Il suo esercito fu però colpito da una pestilenza, fu costretto quindi a tornare in Germania: dovette passare da Verona, dove fece costruire un ponte di barche per attraversare l'Adige, poco fuori dalle mura cittadine. Mentre l'esercito passava il ponte fu distrutto da alcuni tronchi liberati da veronesi, così Barbarossa, infuriato, per ripicca fece tagliare il naso dei veronesi presenti tra le sue file, anche se innocenti. Nella sua risalita verso la Germania trovò un nuovo ostacolo a Rivoli Veronese, luogo dove ha l'inizio la val d'Adige: qualche centinaio di uomini diedero battaglia a Barbarossa, ma furono sconfitti, e quindi tutti uccisi (i più sfortunati impiccati) o mutilati. Barbarossa ritenne il Comune di Verona responsabile dei disagi, e lo obbligò a promettergli un aiuto militare in caso di una sua guerra contro Milano.
Nel 1157 Barbarossa preparò una nuova discesa: occupò Brescia e poi avanzò verso l'Adda, incontrando e sconfiggendo l'esercito milanese. A questo punto richiese l'aiuto delle città italiane, compresa Verona, a cui ricordò l'obbligo, e riuscì così a reperire un esercito di 100.000 fanti e 10.000 cavalieri, con cui assediò Milano che fu obbligata a cedere dopo un mese. Nel 1163 scese ancora in Italia, a Lodi tenne una dieta dove stabilì che le flotte di Genova e Pisa dovessero essere messe a disposizione sua nel caso di un attacco alla Sicilia, ma nel frattempo si formava una lega formata da Verona, Venezia, Padova, Vicenza e Ferrara: la Lega Veronese, o meglio Veronensis societas. Il Barbarossa giunse alle porte di Verona, e sostò vicino Vigasio, aspettando che alcuni congiurati contattati all'interno della città aprissero le porte, ma nel frattempo l'esercito della Lega Veronese era giunto nelle vicinanze dell'accampamento tedesco, così il Barbarossa decise di ritirarsi in Germania.
Papa Alessandro III tornò a Roma, così Barbarossa decise un suo intervento in Italia, per paura che il papa si alleasse con i Comuni: i veronesi riuscirono però a fermarlo alla chiusa di Rivoli Veronese, l'imperatore fu quindi costretto a passare dalla Valcamonica, ma nel frattempo Cremona, Mantova, Brescia e Bergamo si allearono, mentre il mese successivo nacque la Lega Lombarda, formata da Milano, Ferrara, Lodi, Parma e Piacenza. Nel 1167 le due leghe (Veronese e Lombarda) si unirono formando la cosiddetta Concordia: partecipavano all'alleanza Bergamo, Bologna, Brescia, Cremona, Ferrara, Lodi, Mantova, Milano, Modena, Novara, Padova, Piacenza, Reggio Emilia, Treviso, Venezia, Vercelli, Verona e Vicenza. Il Barbarossa nel frattempo era entrato a Roma dove venne nuovamente incoronato; poco dopo però il suo esercito venne colpito da una pestilenza e fu dunque obbligato a ritirarsi. Federico alla quinta calata in Italia tentò l'attacco alle città della Lega Lombarda: 12.000 soldati, tra cui erano presenti trecento cavalieri veronesi, vinsero la battaglia di Legnano contro i circa 4.000 uomini dell'imperatore, mentre la fanteria veronese e bresciana si trovava a difesa di Milano. L'imperatore sconfitto dopo lunghe trattative riconobbe le autonomie comunali (pace di Costanza, 1183). In questa occasione nacque il Carroccio, un carro riccamente addobbato con i simboli della città che veniva portato in processione per Verona in occasione delle grandi festività e custodito gelosamente nella basilica di San Zeno fino al 1583, quando i monaci tedeschi dell'Abbazia, probabilmente umiliati dai ricordi che esso evocava non lo vendettero come ferro vecchio.
Nel marzo del 1182 scoppiarono a Roma delle rivolte contro il papa Lucio III, che cercò e trovò rifugio a Verona, dove venne ospitato presso il Vescovado. L'imperatore Barbarossa nel 1184 compì la sua sesta discesa in Italia, e per accattivarsi le simpatie delle città della Marca di Verona, diede alle città stesse numerosi privilegi. Nel frattempo si tenne nella città il Concilio Veronese, a cui partecipò l'imperatore che alloggiava presso l'abbazia di San Zeno, in cui vennero condannati Catari, Patarini, Valdesi e Arnaldisti. Nel 1185 Lucio III morì e venne sepolto nel Duomo di Verona, dove tutt'oggi riposa. Gli succedette Urbano III, che venne incoronato nella città, più precisamente a Castel San Pietro, alla presenza dell'imperatore. Durante il suo soggiorno cercò anche di ripacificare i Montecchi ed i Sambonifacio.
Nel 1188 Verona iniziò un conflitto con Ferrara, più che altro per motivi economici, e riuscì a conquistare alcuni borghi nel Polesine: fu quindi la prima espansione territoriale del Comune. Sempre in questo periodo un certo numero di soldati veronesi presero parte alle crociate, in particolare alla terza, in cui morì il Barbarossa, e si narra che presero parte all'assalto di Accone. Nel frattempo continuava il conflitto con Ferrara, così Verona si alleò con Mantova riuscendo ad avere la costa orientale del lago di Garda e la chiusa di Rivoli Veronese. Nel 1198 vi fu la fine della guerra, ma ben presto Mantova mosse guerra agli ex alleati veronesi: dopo una vittoria veronese si formarono due alleanze, una composta da Verona, Ferrara, Treviso e Vicenza, e l'altra da Mantova, Padova e Ravenna. Intanto, nel 1201, a Palermo veniva incoronato Federico II, nipote del Barbarossa, che risultò in seguito essere importante nella storia della città.
Gli Ezzelini e l'inasprimento delle lotte tra guelfi e ghibellini
Nel 1206 il podestà di Verona Azzano d'Este cercò di eliminare dalla città, senza successo, le famiglie dei Montecchi e dei Sambonifacio, si alleò così con i guelfi del contado veronese, cui lasciò invadere la città e distruggere i palazzi delle famiglie ghibelline: una parte riuscì a fuggire con l'aiuto di Ezzelino II il Monaco. Ezzelino II raccolse allora un esercito a Bassano e si diresse verso Verona: anche Azzano d'Este raccolse un esercito, ma perse la battaglia e fu costretto a fuggire, mentre nella città veniva eletto podestà il ghibellino Oderico Visconti. Per festeggiare l'importante vittoria venne indetta la festa del popolo da cui ebbe origine la corsa del palio di Verona, di cui parla anche Dante (Inferno XV, 122).
Nel 1223 Ezzelino III sposò Giglia di Sambonifacio, mentre sua sorella Cunizza da Romano sposò Rizzardo di Sambonifacio. Nello stesso anno il padre lasciò a Ezzelino il potere su Verona. È a questo punto che la discordia con i Sambonifacio diventa lotta aperta, tanto che, ripudiata la moglie, avanzò con un esercito verso la città facendo fuggire, dopo una breve resistenza, i guelfi. Allora numerosi capi guelfi si riunirono a Villafranca di Verona per restituire la Lega Lombarda che fece però poco o nulla, mentre, nel frattempo, Ezzelino III fece scrivere il primo statuto veronese (l'originale si trova presso la Biblioteca Capitolare di Verona) che doveva essere fatto rispettare dal podestà.
All'inizio la reggenza ezzeliniana fu tranquilla, ma, dopo voci insistenti di un attacco guelfo, fece imprigionare numerosi esponenti guelfi della città, e addirittura sant'Antonio di Padova supplicò il podestà di rilasciare i Sambonifacio. I padovani cominciarono a compiere scorrerie nell'est veronese, così Ezzelino III chiese aiuto all'imperatore Federico II, che gli diede l'importante titolo di vicario imperiale in Italia: poté quindi iniziare un grande numero di battaglie e saccheggi di città e castelli guelfi, che cercavano di tenergli testa. Il patto tra Ezzelino III da Romano e Federico II fu sancito dal matrimonio tra il despota veronese e Selvaggia, figlia di Federico II nella basilica di San Zeno, con presenti l'imperatore e il suo ministro, il famoso notaio Pier delle Vigne, che soggiornarono nell'abbazia.
Fra Giovanni di Schio cercò di pacificare le città del nord (grazie alla sua notevole eloquenza), partendo da Bologna, spostandosi poi a Padova e in numerose città, divenendo famoso in breve tempo. Ultima meta del suo viaggio fu Verona: con migliaia di fedeli e soldati arrivò alle porte della città, dove propose un trattato di pacificazione universale. Ezzelino III si mise allora in disparte, immaginando che presto sarebbero iniziate le discordie. Ed infatti Fra Giovanni di Schio si fece dare poteri illimitati a Verona e Vicenza, dove si moltiplicarono gli arresti. A Verona cominciò a dare la caccia ad eretici o presunti tali, mettendo al rogo in pochi giorni più di 60 uomini e donne. Fu allora che Vicenza insorse: Fra Giovanni di Schio partì con un esercito ma venne respinto, mentre si ribellava anche Verona, costringendolo a rifugiarsi a Bologna.
Poté quindi tornare in città Ezzelino III, che nel 1239 mise al bando i maggiori esponenti delle famiglie guelfe veronesi. Anche i ghibellini (ed in particolare i Montecchi) non erano felici della situazione che si stava creando, così Ezzelino riformò alcune leggi: allargò il consiglio creando il Consiglio dei Cinquecento, formato dagli esponenti delle Arti, e diede ad un consiglio di quindici anziani le chiavi della città.
Lo stesso Federico II cominciò a preoccuparsi della prepotenza di Ezzelino III, tanto che nel 1245 tenne a Verona una dieta: Ezzelino III fu più volte accusato di eresia dai vescovi che partecipavano alla dieta, ed a questo punto anche i veronesi cominciarono ad accorgersi delle preoccupazioni che tormentavano l'imperatore Federico II. Ci furono tumulti popolari contro l'imperatore, che fu costretto ad andarsene senza neanche concludere la dieta. Furioso, Ezzelino III fece arrestare e torturare numerose persone, continuando l'espansione territoriale. A questo punto papa Alessandro IV promosse una crociata contro di lui. Quando Ezzelino venne a conoscenza del fatto che Padova (sua città natale) si era data spontaneamente al papato, sfogò la sua rabbia sul popolo veronese: la strage di Verona, iniziata il 25 giugno 1256, vide per ben otto giorni il massacro di numerosi veronesi, senza distinzione di età, sesso e importanza. Alcuni furono decapitati, altri impiccati, i più sfortunati messi al rogo o squartati. Questo massacro fu operato dalle truppe padovane ancora fedeli ad Ezzelino III.
Il 29 settembre 1259 Ezzelino perse uno scontro sull'Adda, venne catturato, ma morì poco dopo. Alla sua morte Verona fu l'unica città sotto il suo dominio a non finire in mano ai guelfi. Il podestà della città, già dal 1258, era Mastino I della Scala.
Nonostante le guerre continue, fu un periodo felice per le lettere: i trovatori provenzali, esuli dalla Francia in seguito alla crociata papale contro gli albigesi, trovarono in Verona un asilo sicuro, da cui poté anche propagarsi la cultura dei minnesänger, i trovatori tedeschi. La stretta alleanza tra Federico II ed Ezzelino garantì uno scambio intenso tra i poeti della Magna Curia, la celebre "Scuola siciliana" e i trovatori d'oltralpe.
La signoria scaligera
A Verona la fazione ghibellina aveva ormai preso il sopravvento e, con Mastino della Scala, la città veneta passò in forma non traumatica da Comune a signoria. Fu nel 1262 che Mastino della Scala venne nominato Capitano generale perpetuo del popolo, il quale cercò subito di attenuare i contrasti civili e fece aiutare i villaggi devastati dalle numerose lotte. Già l'anno seguente i guelfi attentarono alla sua vita, ma il complotto venne svelato ancora prima che potesse essere messo in atto: i congiurati catturati furono condannati a morte, mentre quello che riuscirono a fuggire vennero aiutati dai Sambonifacio. Nel 1265 si ribellò Trento, che venne velocemente rioccupata, mentre poco dopo furono conquistati i castelli di Lonigo, Montecchio Maggiore e Montebello.
Due anni dopo scese in Italia l'imperatore Corradino di Svevia, che lo scaligero, ghibellino fedele alla dinastia sveva, sostenne militarmente, anche contro gli stessi ghibellini del rivale Manfredi. L'intera città di Verona fu quindi scomunicata dal pontefice: i guelfi ne approfittarono e insorsero a Mantova, dove però la città cadde in mano ai Bonacolsi, alleati degli Scaligeri. Quello stesso anno furono ritirate le scomuniche ma ad un prezzo altissimo: in opposizione al papa Mastino della Scala fece catturate a Sirmione circa 170 vescovi e preti catari che furono imprigionati. Mastino non se la senti di ucciderli ed infatti solo dopo la sua morte furono messi al rogo nell'Arena.
Con Mastino della Scala la città raggiunse un notevole stato di benessere, ma i guelfi tentarono ugualmente una congiura nel 1277, riuscendo in questo caso ad uccidere Mastino e l'amico di famiglia Nogarola. Ai colpevoli che riuscirono a scappare venne proibito il ritorno, mentre le loro case furono rase al suolo.
Gli successe allora il fratello Alberto, con cui si ebbe l'effettivo passaggio da Comune a Signoria, che si ebbe grazie al grande favore che ottenne dal popolo: in soli 10 giorni gli vennero affidati ampi poteri. Alberto della Scala venne eletto podestà e fece redigere quello che venne poi chiamato Statuto Albertino, che rivedeva l'ordinamento della città: vi era un Consiglio Maggiore costituito da 500 cittadini scelti dal podestà ogni anno, mentre i capi delle arti formavano il Consiglio dei Gastaldoni dei Mestieri, e vi erano poi dei consigli di minore importanza, come quello degli Anziani e quello degli LXXX. Egli fu abile nel sottoscrivere la pace con Brescia, Mantova e Padova, città guelfe in contrasto con il ghibellismo scaligero. Fu tra l'altro proprio in questo periodo che il vescovo di Verona permise ai Cimbri di stanziarsi nei territori semideserti della Lessinia. All'inizio degli anni novanta vennero occupate Este, Parma e Reggio, mentre nel 1297 Vicenza, insanguinata dalle lotte civili, si diede spontaneamente a Verona. Al governo di Vicenza venne designato Cangrande. Le conquiste continuarono nel 1299 quando, con i figli Alboino e Cangrande, Alberto si impadronì anche di Feltre, Cividale e Belluno.
Alberto I della Scala morì nel 1301 lasciando tre figli e la moglie, Verde di Salizzole, che morì nel 1306: primogenito Bartolomeo, secondogenito Alboino, terzogenito Cangrande. Assumeva il potere quindi il figlio primogenito, a cui Dante dedicò due terzine del canto XVII del Paradiso. Bartolomeo riuscì ad impadronirsi di Riva ed Arco nel trentino, ma nel 1303 morì senza figli e lasciò quindi il posto al fratello secondogenito Alboino.
Alboino volle al potere insieme a lui il fratello Cangrande, col quale ottenne la riva bresciana del lago di Garda e vinse alcune battaglie contro Este, Brescia e Parma. Nel 1310 l'imperatore Enrico VII nominò entrambi vicari imperiali, ma Alboino presto morì e lasciò il potere al solo fratello.
Massima espansione e ricchezza della Signoria
Cangrande della Scala fu signore illuminato e rispettato, ospitò per il secondo periodo Dante, esiliato da Firenze, nella reggia fatta allestire apposta per i grandi rifugiati politici, gli scienziati, i poeti e gli artisti di talento che coprì generosamente di denaro e doni. A Cangrande Dante dedicò una menzione d'onore nel canto XVII del Paradiso nella Divina Commedia: Dante sperava che questo principe valoroso e potente potesse realizzare l'unificazione italiana dal poeta vagheggiata.
Fu allora che Padova fece lega con i Sambonifacio, Treviso e Aquileia, che firmarono una pace nel 1314. Già l'anno successivo, però, Padova invase Vicenza: Cangrande allora con un contingente di cavalieri partì alla volta della città, dove mise in fuga il nemico e catturò il Carrara. Il prigioniero venne trattato come un ospite sino alla pace del 1315. Nel 1318, a Soncino, Cangrande venne addirittura nominato generale della Lega Ghibellina.
Nel 1325 Cangrande venne colpito da una grave malattia e si sparse la voce che fosse morto: Federico della Scala allora si fece eleggere principe, ma alla sua guarigione Cangrande bandì lui e la sua famiglia, oltre alle altre famiglie che parteciparono al complotto (compresi i Montecchi).
Nel 1328 un legato pontificio indisse una crociata contro di lui (con un'accusa di eresia), a cui risposero numerose città guelfe che vennero però sconfitte. Cangrande riuscì quindi a consolidare il dominio di Padova e mise d'assedio Treviso, che poco dopo si arrese: divenne quindi signore di Verona, Vicenza, Padova, Treviso, Belluno, Feltre, Monselice, Bassano, oltre che vicario imperiale di Mantova e capo ghibellino italiano.Cangrande però morì a soli 38 anni, battuto da una malattia presa bevendo da una fonte fredda. La prematura e inaspettata morte di Cangrande della Scala lasciò la Signoria senza discendenti diretti (ebbe solo figlie femmine, oltre che maschi illegittimi) e il potere venne preso dal nipote Mastino II della Scala che allargò la signoria fino a Pontremoli e sul Mar Tirreno.
Nel 1328 i figli illegittimi di Cangrande tentarono una congiura per uccidere i figli di Alboino della Scala (Alberto II e Mastino II), ma vennero scoperti e imprigionati. Mastino II l'8 agosto 1331 venne eletto Capitan Generale della lega formata, oltre che da Verona, dagli Estensi, dai Gonzaga e dai Visconti (in seguito si unì anche Firenze), per difendersi dalla discesa del re di Boemia (sollecitato dal papa), che aveva già conquistato alcune città lombarde. Mastino II, a capo dell'esercito, corse in soccorso di Ferrara (posta d'assedio): vinse la battaglia, ed al suo ritorno a Verona venne acclamato dalla popolazione. Sottomise successivamente Bergamo, data agli alleati, e per la signoria scaligera Brescia, Parma, Lucca, Massa e Pontremoli.
Decadenza della Signoria
I due scaligeri furono mal consigliati, e finirono per infastidire Venezia che, spaventata dalla spinta verso Chioggia di Verona, fece lega con Firenze (nel 1337 si unirono anche Milano, Mantova ed Este), con conseguenze disastrose per la signoria scaligera: venne addirittura fatto prigioniero Alberto II. Con la pace del 1339, che coinvolse con prezzi alti Ludovico il Bavaro, e una gestione di paci separate con i contendenti, Mastino II riuscì a salvare la Signoria ed il fratello con un forte ridimensionamento territoriale: rimasero solo Verona, Vicenza, Parma (persa successivamente a favore di Azzo da Correggio) e Lucca (separata dal territorio, indifendibile e pertanto venduta a Firenze).
Si creò con Mastino II una situazione ambivalente, in cui una città sconfitta, sotto il peso di costi altissimi per il ridimensionamento territoriale e nuovamente divisa da discordie fra le famiglie influenti mantenne a lungo la fama di città-rifugio dei numerosi esuli delle lotte fratricide tra italiani. Per via di parentele con Ludovico il Bavaro Verona divenne una sorta di protettorato: furono tempi in cui gli Scaligeri avevano sempre meno potere ma, ironia della sorte, in cui eressero i monumenti che più li ricordano: Castelvecchio, il Ponte scaligero, le Arche scaligere che ne custodiscono i resti.
Mastino II morì nel 1351 e la Signoria passò ai figli Cangrande II della Scala, Cansignorio della Scala e Paolo Alboino della Scala (Alberto II si ritirò a vita privata e morì poco dopo). Il primo detto "Can rabbioso" fu il vero e proprio governante della città. Si comportò come alcuni dittatori moderni, ammassando ricchezze fuori Verona per i figli tutti illegittimi, impoverendola ed alimentando scontri interni fino alla sua morte nel 1359 per mano del fratello Cansignorio.
Cansignorio della Scala governò in una relativa pace e abbellì Verona al punto di farla soprannominare Marmorina per l'abbondanza di antichi marmi e statue romane, gettò il primo ponte in muratura sull'Adige, il ponte Navi, e pose il primo orologio su una torre in Italia, la torre del Gardello, mosso con meccanismi ad acqua.
Prima della sua morte, nel 1375, ordinò la morte del fratello Paolo Alboino al fine di garantire la successione ai figli illegittimi Bartolomeo II della Scala ed Antonio della Scala, allora non ancora maggiorenni.
I due ragazzi entrarono però in una sorta di protettorato dei Visconti, che approfittarono della debolezza politica del momento e del forte indebitamento in cui era caduta la città. Bernabò Visconti attaccò Verona reclamando l'eredità per la moglie Regina della Scala sorella di Cansignorio, ma i veronesi fecero una sortita e li costrinsero alla fuga. Per altri sei anni la città rimase in mano agli Scaligeri, ma Antonio della Scala fece uccidere il fratello per poter governare da solo: egli fece incolpare di questo i Malaspina, i Nogarola (da sempre amici di famiglia) ed i Bevilacqua, che riuscirono a trovar rifugio a Milano. Essi incitarono i Visconti a portare guerra ad Antonio della Scala: si formò quindi una lega tra Visconti, Carraresi, Estensi e i Gonzaga, che segnò la fine della signoria scaligera. L'esercito veronese combatte due grandi battaglie, prima della sconfitta definitiva.
Ebbe così fine l'indipendenza di Verona e Antonio della Scala si ritirò a Venezia. Morì nel 1388 non lontano da Firenze, da dove era partito con un piccolo esercito alla volta di Verona.
Il duro dominio visconteo e carrarese
Il dominio visconteo iniziò il 20 ottobre 1388, fu rigido e inutilmente i veronesi tentarono di opporsi, poiché le ribellioni furono domate nel sangue.
Gian Galeazzo Visconti si curò quasi solamente di rafforzare le difese murarie della città contro la crescente potenza di Venezia. Ampliò quindi le mura, eresse i castelli di San Pietro e San Felice e costruì una cittadella militare all'interno della città. La cittadella era una fortezza quadrata protetta da una fossa profonda e da mura (da cui ancora oggi prende il nome il quartiere). Contro questo complesso di fortificazioni s'infranse la rivolta tentata nel 1390 dalla popolazione, poiché le truppe viscontee, prese di sorpresa, vi si ritirarono. Con l'arrivo dei rinforzi seguirono però tre giorni di saccheggi, dal 25 al 27 giugno. Nell'anno 1393 Gian Galeazzo ordinò una revisione degli Statuti: venne in particolare soppressa la milizia comunale.
Con la morte di Gian Galeazzo Visconti, cadde anche la Signoria Viscontea in Verona (1402), infatti Francesco da Carrara fece credere ai cittadini veronesi di voler mettere a capo della città Guglielmo della Scala, figlio di Cangrande II della Scala. Fu allora aiutato ad entrare in città, e Guglielmo venne proclamato dal popolo entusiasta Signore della città; poche ore dopo, però, Guglielmo morì, avvelenato dallo stesso carrarese. Poco dopo che i figli di Guglielmo della Scala furono proclamati signori dai cittadini veronesi, il carrarese li fece arrestare e s'impadronì del potere. Il gesto contribuì a fargli perdere in breve tempo la Signoria.
Venezia approfittò del malcontento dei veronesi e dei disordini che continuavano dentro la città, ed il suo esercito, aiutato in parte dal popolo, riuscì ad entrare a Verona e metter in fuga il Carrara.
Verona veneziana
Il 24 giugno 1405 i cittadini veronesi inviarono una delegazione composta da 40 persone a Venezia, affinché portassero al Doge le insegne della città e giurassero fedeltà alla repubblica veneta. Il procuratore Gabriele Emo ebbe in consegna le chiavi e il sigillo della città, mentre gli stendardi del comune vennero posti in piazza San Marco dal Doge Michele Steno. A Verona, nel frattempo, il carroccio fu fatto sfilare trionfalmente per le vie della città, con issato il vessillo della repubblica veneta. Il 16 luglio i privilegi della città furono sanciti dalla bolla d'oro. Da quel momento la città veniva retta da due veneti: il podestà, con funzioni civili, e il capitano, con funzioni militari.
Nonostante l'entusiasmo che aveva contagiato la città, quando la popolazione venne a sapere che Brunoro della Scala stava preparando un esercito, per riconquistare la città, la popolazione tentò una ribellione a favore dello Scaligero: questa venne però facilmente repressa e non fu possibile per Brunoro entrare in città (durante la sua vita tentò varie volte di riappropriarsi del potere a Verona, ma sempre senza successo). Ciò indicava l'attaccamento e la dedizione che la città aveva per la dinastia scaligera.
La guerra tornò a insanguinare le campagne veronesi nel 1438, per via della guerra tra Venezia e Milano: un evento eccezionale che interessò Verona fu il passaggio di una flotta composta da sei galere e venticinque navi. Questa flotta risalì l'Adige e giunse fin quasi a Rovereto, per venire poi trasportata sino al lago di Garda via terra scavalcando la dorsale del monte Baldo attraverso il valico di Loppio, trainata da 2.000 buoi (il viaggio durò 15 giorni). La flotta venne utilizzata nel lago per contrastare quella milanese, ed ebbe il suo maggior successo in una battaglia presso Riva del Garda, che costrinse la città a capitolare.
Il 16 novembre venne presa d'assalto Verona: furono scalate le mura della cittadella e sfondate le porte d'accesso alla città, quindi i soldati milanesi si diedero al saccheggio, mentre il podestà e il capitano trovavano rifugio in castel San Pietro e castel San Felice. Da lì essi chiesero soccorso a Venezia, e le truppe arrivarono in quattro giorni: queste entrarono a nord da castel San Felice e riuscirono a mettere in fuga la milizia nemica, che si accalcò presso il ponte Nuovo, in cerca di una via di fuga. Il ponte a quel tempo era però di legno e non riuscì a sostenere il peso dei soldati: crollò e molti affogarono nelle acque dell'Adige, mentre ben 2.000 soldati vennero catturati. La città tornò quindi completamente libera il 20 novembre 1439, e con la pace Peschiera e Legnago tornavano a far parte della provincia veronese.
Il primo secolo veneziano a Verona fu ricco di costruzioni di chiese e monumenti, la presenza del monaco Giovanni da Verona e degli olivetani di Santa Maria in Organo portò la stampa a Verona, che da quel momento entra di forza nella storia locale. Con la fine della guerra, inoltre, la città godette di un lungo periodo di pace, che si perpetuò sino al 1501, quando la repubblica veneta venne attaccata dalle potenze della lega di Cambrai.
La lega anti-veneta
All'inizio del XVI secolo Venezia cominciò a pensare alla creazione di uno stato italiano, e per questo il pontefice, i sovrani italiani ed europei si unirono nella lega di Cambrai, con lo scopo di togliere a Venezia il dominio della terraferma. Nel 1508 i veneziani si diedero alla fortificazione delle città (creando anche il primo sistema difensivo di Verona, che sarebbe stato poi ripreso e potenziato dagli austriaci nell'Ottocento), ma nel frattempo cominciarono a subire le prime sconfitte, e cominciò una ritirata generale verso Verona. La città però non aprì le porte; infatti, se avesse dato ospizio all'esercito veneto, sarebbe stata assediata dall'esercito nemico. L'esercito veneto dovette quindi passare l'Adige su un ponte di barche: i rappresentanti della repubblica veneta capirono la situazione, e il 31 marzo 1509 sciolsero il giuramento di fedeltà che legava Verona, in modo da salvare la città, e richiamò l'esercito a difesa di Venezia.
I veronesi decisero di mandare degli ambasciatori al re di Francia, che entrò trionfalmente nella città. Seppero allora i veronesi che la città sarebbe stata destinata all'imperatore Massimiliano I, che voleva farne la capitale di un futuro regno d'Italia. Fluirono a presidio della città truppe francesi e spagnole (da cui prese il nome il bastione di Spagna), che commisero violenze e ruberie ai danni della popolazione. Intanto la flotta del lago di Garda, ormai vecchia, venne disarmata, mentre le uniche tre galere ancora utilizzabili ed armate furono fatte uscire dal porto di Lazise e fatte affondare (ancora oggi sono meta dei sommozzatori).
Nell'aprile del 1510 venne scoperto a Verona un complotto ai danni delle truppe imperiali, e come ripicca vennero arrestate e giustiziate numerose persone. La città ebbe inoltre 13.000 morti nella peste del 1511-1512 (la popolazione in un anno scese da 38.000 a 25.000 abitanti circa). Vi fu però la riconciliazione tra il papato e Venezia, per cui i francesi si rischierarono con la Serenissima: riuscirono così ad assediare Verona, che era però ben difesa. Alla fine del 1516, dopo un duro assedio veneziano, l'imperatore, dopo il trattato di Bruxelles del 3 dicembre 1516, iniziò un "giro di valzer": regalò Verona al nipote Carlo V di Spagna, Carlo V la cedette ai francesi i quali dopo un anno, con lo scioglimento della lega di Cambrai, la restituirono ai veneziani. I veneziani, consapevoli della sopravvenuta inadeguatezza delle difese di Verona di fronte allo sviluppo delle nuove armi da fuoco, ricominciarono un'opera di fortificazione in linea coi tempi e fecero di nuovo diventare Verona una città militare, la più importante fra quelle di terra, che assorbiva circa la metà delle sue truppe non di mare.
Tre secoli senza guerre
Ricominciò per Verona un nuovo periodo di pace che sarebbe finito non per la guerra, ma per una malattia devastante: la peste. Questa venne portata nel 1630 dai soldati tedeschi arrivati in Italia per la presa di Mantova. I malati venivano inviati via fiume al Lazzaretto in località Pestrino (di cui oggi restano le rovine) mentre i corpi di coloro che morivano in città venivano bruciati o gettati nell'Adige per mancanza di luoghi di sepoltura. Per la città fu un vero disastro: basti pensare che nel 1626 erano stati censiti 53.333 abitanti, che si erano ridotti a 20.738 alla fine del contagio: morì dunque ben più della metà della popolazione (in totale 33.000 morti circa). Il numero di abitanti tornò a un livello simile solo alla fine del Settecento (nel 1793 erano 49.000). Il XVI secolo vide comunque un rifiorire dell'economia e la costruzione di chiese e di palazzi importanti, di cui uno degli artefici più importanti fu l'architetto Michele Sammicheli. In questo periodo di rinascita artistica e culturale nacque anche la famosa tecnica dei concerti di campane alla veronese. Nacquero inoltre decine di accademie, oltre a un fiorire di attività culturali di dimensione europea.
All'inizio del Settecento tornarono le guerre: nel 1701 la guerra di successione spagnola mise uno contro l'altra Francia e Austria, mentre la repubblica veneta rimaneva neutrale (anche se rafforzava il presidio a Verona). I francesi tentarono di fermare la discesa nemica attraverso il Brennero, andando quindi ad occupare il monte Baldo per poter fermare gli austriaci nella val d'Adige dall'alto (violando tra l'altro la neutralità veneta). Il principe Eugenio di Savoia, informato dei fatti, riuscì nell'impresa di risalire le rapidissime pendici dei monti Lessini con 25.000 soldati austriaci, che scesero quindi ad est di Verona, si diressero verso Legnago e sconfissero a Carpi i francesi, costringendoli a ritirarsi oltre il Mincio.
Nel maggio del 1796, durante la Campagna d'Italia, gli austriaci vennero sconfitti in Piemonte dal generale Napoleone Bonaparte, e dovettero darsi ad una precipitosa ritirata sino al Trentino, mentre Napoleone e le idee rivoluzionarie francesi andavano a sconvolgere la tranquillità dei veronesi: gli austriaci in ritirata infatti occuparono Peschiera, violando la neutralità veneta, e Napoleone ne approfittò per occupare a sua volta Peschiera e poi, il 1º giugno 1796, la stessa Verona con 12.000 uomini.
Verona francese
Alla diffusione della notizia che l'esercito francese stava avvicinandosi alla città in molti fuggirono: il 1º giugno i francesi entravano a Verona con l'artiglieria carica, mentre la popolazione guardava ammutolita. Il 3 giugno, accompagnato da numerosi generali e 500 cavalieri, arrivò anche Napoleone, che subito chiese contributi ingenti ai veronesi. Egli prese alloggio presso palazzo Forti, mentre gli altri generali si sistemarono nelle case dei nobili che si erano dati alla fuga prima del loro arrivo. Già due mesi dopo però Napoleone fu costretto ad abbandonare la città per l'arrivo delle truppe austriache, che vennero accolte con entusiasmo, poiché la popolazione sperava avrebbero ricostituito il governo veneto. Dopo le iniziali vittorie gli austriaci subirono però alcune dure sconfitte, e il 7 agosto dovettero ritirarsi e schierarsi poco fuori Verona. Il giorno successivo i francesi avevano già raggiunto la città e, dopo aver abbattuto porta San Zeno con l'artiglieria, si diedero al saccheggio della città. Un episodio particolare avvenne l'8 marzo 1797, quando i soldati francesi si diedero al saccheggio di un monastero dentro la città: le monache infatti si misero a suonare le campane richiamando la popolazione, che accorse numerosa obbligando i francesi alla fuga.
Il 22 ottobre tornava a Verona Napoleone, mentre a novembre si riavvicinarono alla città le truppe austriache, che furono però prese alle spalle e vinte nella battaglia del Ponte di Arcole il 17 novembre. A metà gennaio un'altra incursione austriaca fu nuovamente vinta nella battaglia di Rivoli, e Napoleone visitò ancora una volta la città. Il secondo giorno di Pasqua del 1797 (da cui il nome Pasque Veronesi) vide l'inizio di una rivolta popolare contro le truppe francesi, unico caso in Italia di ribellione così aperta contro le barbarie delle truppe napoleoniche. La rivolta, iniziata il 17 aprile, continuò sino al 25 aprile, quando la città venne circondata da 15.000 soldati, e dovette arrendersi. Alla fine le morti francesi ammontarono a 500 soldati, i feriti furono circa un migliaio, e i prigionieri 2.400 (di cui 500 soldati e 1.900 loro famigliari). Dunque dei 3.000 soldati francesi di guarnigione circa mille (tra morti e prigionieri) furono messi fuori combattimento.
Come conseguenza aumentò l'oppressione francese sulla città, che venne obbligata al pagamento di 2.000.000 lire torinesi e alla confisca dell'argento delle chiese e delle riserve di cibo, vestiti e scarpe: l'enorme numero di soldati francesi da mantenere (oltre 50.000) creava molti problemi per gli approvvigionamenti, con la continua ricerca di bottino e un non rispetto delle libertà religiose e delle proprietà, per cui ogni occasione era buona per requisire beni. Nei mesi successivi alla ribellione vennero effettuate condanne a morte, in alcuni casi senza neanche un processo. Sotto i francesi si ebbe però anche la dichiarazione di uguaglianza fra tutti i cittadini, compresa la minoranza israelita (circa un migliaio di persone). La maggior parte della popolazione si sentiva comunque ancora veneziana e solo una minoranza aderì alla fazione francese (o austriaca).
Finiva così ufficialmente il dominio veneto, dopo quattro secoli.
La repubblica cisalpina e il regno d'Italia
Il 9 luglio 1797 venne proclamata la repubblica cisalpina e il 17 ottobre veniva firmato il trattato di Campoformio, con il quale la repubblica veneta venne divisa tra Austria e Francia: Verona venne ceduta agli austriaci il 21 gennaio 1798, ma già il 26 marzo ripresero le battaglie tra austriaci e francesi in territorio veronese, e con il Trattato di Lunéville del 9 febbraio 1801 Verona venne divisa tra Austria e Francia: linea di confine divenne l'Adige. È in questo momento storico che i francesi chiamarono dispregiativamente Veronette la parte austriaca di Verona (che ancora oggi prende il nome di Veronetta). Verona entrò a far parte del regno d'Italia il 31 marzo 1805, con Napoleone come re.
Ad ottobre iniziò una battaglia tra le due parti di Verona, con il bombardamento da parte dei napoleonici, che riuscirono a respingere un attacco austriaco presso il ponte di Castel Vecchio: la parte austriaca della città si arrese il 29 ottobre. Con la pace di Presburgo del 2 dicembre tutto il Veneto entrava a far parte del regno d'Italia. I francesi lasceranno Verona solo il 4 febbraio 1814, dopo 17 anni di dominio a fasi alterne: lo stesso giorno gli austriaci entrarono in città da porta Vescovo con 1.800 soldati.
Verona austriaca
Gli austriaci si presentarono a Verona come liberatori. Nel 1815 al congresso di Vienna si decise la creazione del regno Lombardo-Veneto, con a capo un viceré, che venne visitato l'anno successivo dall'imperatore Francesco I. Con il passaggio al dominio austriaco l'industria della seta veronese, che aveva preso il posto di quella della lana durante il dominio veneziano, ebbe una forte crisi, poiché l'Austria era interessata solamente alla ricostruzione delle fortificazioni di Verona. Andò riducendosi anche il trasporto sull'Adige, il cui posto venne preso dalla ferrovia.
Nel 1822 si svolse il congresso di Verona, a cui parteciparono tutti i maggiori sovrani d'Europa, e durante il quale si discusse di problemi come il commercio dei neri, la pirateria nell'oceano Atlantico, la situazione italiana, i problemi causati dalla rivoluzione spagnola e greca.
Nel 1833 gli ingegneri militari austriaci a cominciarono a realizzare un sistema difensivo composto oltre che dalle mura, da forti, castelli, caserme e vari edifici, rendendo Verona una città-piazzaforte. I lavori richiesero l'utilizzo contemporaneo di 10.000 uomini e la città si trovò praticamente senza disoccupati. Per festeggiare la fine dei lavori, diretti dal feldmaresciallo Radetzky, vi furono grandi parate militari.
Francesi, che prima di andarsene distrussero buona parte della cinta muraria, e austriaci ebbero un approccio ben differente verso la città. Gli austriaci diedero a Verona principalmente due caratterizzazioni:
quella militare: la città fu il cardine del famoso Quadrilatero, un sistema di difesa munitissimo basato su quattro città fortificate: Verona, Legnago, Mantova e Peschiera. Verona era il perno del sistema, e vi furono nella città fino a 35.000 soldati.
quella logistica: Verona fu al centro di sistemi di comunicazione sia stradali sia ferroviari, e furono costruite numerose caserme e depositi.
Il controllo della città fu molto duro, anche per via delle idee che stava diffondendo Mazzini in tutta Italia, e che non tardarono ad arrivare anche a Verona: venne addirittura arrestato il poeta Aleardo Aleardi, perché aveva incastonato nel bastone una moneta del regno d'Italia. Questo controllo poliziesco accrebbe l'odio della popolazione verso i soldati stranieri, odio che aumentò in particolare dopo il 1840: in città si manifestavano sporadicamente risse tra popolani e soldati, che sfociarono presto in gravi scontri (con morti e feriti), e manifestazioni patriottiche, come quelle avvenute al teatro Nuovo.
Il Quarantotto[
Il 1848 fu l'anno delle rivoluzioni in tutta Europa: a Milano venne scacciato il viceré Ranieri Giuseppe d'Asburgo-Lorena durante le Cinque giornate, mentre a Venezia dovette fuggire il governatore austriaco. Radetzky quindi dovette proclamare lo stato di assedio nel Lombardo-Veneto. Anche i veronesi in quei momenti erano particolarmente in agitazione, nonostante questo il viceré cercò rifugio nella città, dove andò ad alloggiare in un albergo. La popolazione era però ormai scesa in piazza a reclamare la Costituzione, la libertà e l'Italia. Ad un certo punto la folla si diresse verso l'albergo dove era ospitato il viceré: i popolani gli gridarono di affacciarsi al balcone e, quando lo fece, la folla cominciò ad urlare: Abbasso l'Austria! A morte i tedeschi!. Il viceré rientrò spaventato, mentre la folla insultava e provocava i soldati a difesa dell'albergo, che però non reagirono. Fu allora che un gruppo di moderati andò a trattare con il viceré, calmando così la folla: essi informarono la popolazione di incontrarsi in piazza Erbe il giorno dopo alle dieci di mattina, poiché avevano molto da discutere. Nel frattempo in città vennero evitati gli scontri tra popolazione e truppe: in questo modo i popolani non furono spronati a dare inizio alla rivolta, dando la possibilità all'esercito austriaco in ritirata di avere un luogo sicuro dove potersi riorganizzare, dato che le maggiori città del Lombardo-Veneto si erano già ribellate. Il Quadrilatero fu quindi un fondamentale punto di raccolta per gli austriaci in ritirata.
Il mattino seguente la popolazione, con le coccarde e bandiere tricolori, si raccolse nella piazza in attesa di notizie, quando il gruppo di moderati si affacciò, rivelando che avevano avuto la promessa di un governo costituzionale, la creazione di una guardia cittadina per il rispetto dell'ordine e che sarebbe stata garantita la libertà. Quindi il popolo si calmò per via del raggiro operato da questo gruppo ristretto, e Verona fu una delle poche città a non unirsi ai moti del risorgimento italiano. In realtà alla fine la guardia cittadina fu composta solamente da una quarantina di veronesi, mentre nel contempo si rinforzò il presidio militare austriaco, diminuendo così le possibilità di rivolta alla città. Nel marzo del 1848 ormai la città ospitava 6.000 soldati (essendo la città di 60.000 abitanti vi era un militare ogni dieci abitanti). Il 22 marzo Radetzky si ritirò da Milano e ripiegò su Verona con 20.000 uomini, mentre il 25 il viceré scappò dalla città. Il 28 il generale D'Aspre ricevette l'ordine di spostare le sue truppe dalla provincia di Venezia a Verona. A Verona vennero requisite tutte le armi, mentre la città divenne un enorme accampamento per le truppe, perfino le fabbriche vennero chiuse ed adibite ad alloggi per i soldati.
I piemontesi intanto continuavano a vincere battaglie, ma si muovevano troppo lentamente, dando così il tempo al nemico di retrocedere sino al Quadrilatero. Le truppe piemontesi riuscirono ad accerchiare Peschiera, mentre truppe di volontari si insinuarono fino a Castelnuovo del Garda. Radetzky diede allora l'ordine a 4.000 uomini di attaccare Castelnuovo, per reprimere l'azione e dare insegnamento agli altri paesi. Prima dell'inizio della battaglia di Castelnuovo alcuni abitanti del paese riuscirono a mettersi in fuga, mentre i 400 volontari decisero di resistere ed affrontare l'esercito nemico: essi furono però letteralmente sommersi dalle truppe avversarie, dieci volte superiori, e dovettero ritirarsi verso Lazise. Gli austriaci diedero fuoco all'intero paese, distruggendo e saccheggiando tutto ciò che trovarono; molte donne furono stuprate e trucidate insieme ai mariti. I volontari che furono catturati furono invece torturati sino alla morte.
In aprile il generale Nugent portava a Verona 14.000 uomini in soccorso di Radetzky, mentre l'esercito piemontese avanzava lentamente con 300 cannoni in direzione della città. Solo il 26 aprile venne compiuta una nuova avanzata sino all'Adige, e l'occupazione della linea Villafranca-Custoza-Sona. Radetzky fece bloccare tutte le porte della città, e fece costruire numerose barricate, oltre a vietare alla popolazione di salire sui tetti di palazzi (per non vedere cosa accadeva) e chiudere gli accessi ai campanili (perché non richiamassero la popolazione alla rivolta).
Radetzky fece occupare Santa Lucia e San Massimo (alle porte di Verona), mentre i primi contrasti si ebbero a Lugagnano: illusero i piemontesi che si avvicinarono sino a Santa Lucia, dove ebbe luogo l'omonima battaglia. Lì gli austriaci stavano per essere vinti, ed il re Carlo Alberto si aspettava un rivolta della città: questa non ebbe luogo perché in città erano utilizzati dieci battaglioni, per un totale di 10.000 uomini, per scoraggiare l'insurrezione, mentre le artiglierie erano pronte a bombardare la città dai forti (inoltre erano state confiscate tutte le armi). Dopo la notizia che le truppe alla Croce Bianca erano state sconfitte, il re decise per una ritirata. Questa fu la prima vittoria austriaca dall'inizio della guerra. Alla fine di maggio arrivarono a Verona i generali Thurn e Nugent, così il 30 Radetzky poté uscire da Verona con 30.000 soldati, 5.000 cavalli e 150 cannoni, allontanando da Verona le truppe piemontesi, che si ritirarono sino all'Adda. Solo Peschiera resisteva eroicamente all'assedio austriaco, e solo per ordine di Carlo Alberto si arrese: i soldati furono lasciati liberi e con l'onore delle armi dagli austriaci, per l'incredibile resistenza. Il Quadrilatero alla fine aveva svolto ottimamente la sua funzione.
Dal 1848 al 1866
Il 9 giugno 1849 arrivarono da Vienna le disposizioni di rendere Verona la città più fortificata dell'Impero: i lavori iniziarono subito, e vennero costruiti dapprima otto forti a creare il primo campo trincerato, che furono dedicati ai generali vittoriosi della guerra, in particolare a quelli che salvarono Verona nel 48. Con l'anno nuovo aumentarono anche le tasse, poiché i lavori erano molto costosi, ed inoltre la popolazione doveva mantenere i 120.000 soldati schierati nel Lombardo-Veneto.
Nacquero numerosi comitati patriottici in molte città del regno Lombardo-Veneto, facenti capo a quello di Mantova. Le autorità scoprirono le cospirazioni ed ebbe luogo tra l'8 dicembre 1852 ed il 19 marzo 1853 il martirio di Belfiore. Anche il maggiore esponente del comitato veronese, Carlo Montanari, fu catturato e imprigionato nel castello di Mantova, e l'8 marzo 1853 venne giustiziato.
Anche la seconda guerra di indipendenza ebbe il suo momento culminante a Verona, infatti l'esercito franco-piemontese, dopo battaglie vittoriose arrivò non lontano da Verona. Napoleone III però stipulò un armistizio con l'imperatore d'Austria a Villafranca, mandando su tutte le furie re Vittorio Emanuele, che voleva continuare la guerra da solo (cosa che non fece, per paura di dover combatte sia Austria che Francia).
Nel 1860 anche Verona partecipava alla spedizione dei mille, con 23 volontari. La terza guerra di indipendenza vide la più grande battaglia a Custoza, con una grave sconfitta italiana: però, grazie alla schiacciante vittoria prussiana che aveva fortemente indebolito l'Austria, Verona ed il Veneto poterono essere uniti al regno d'Italia.
Verona italiana
Il plebiscito
La notizia della pace tra l'Italia e l'Austria venne pubblicata a Verona il 6 ottobre, e subito la città si riempì di tricolori, e nelle vetrine dei negozi venivano esposti i ritratti del re e di Garibaldi. La popolazione era in festa, mentre i soldati austriaci tentavano di provocare la folla, e si verificarono così isolate risse. I popolani si ritrovarono in piazza Bra, dove, presso un bar militare, si trovavano numerosi austriaci. Dal palazzo sopra al bar venne srotolato un grande tricolore, ma i soldati infuriati si misero a picchiare un bambino vestito da garibaldino, e presero a sciabolate il grande tricolore e quindi a colpire la folla, che rispose lanciando sassi e sedie. All'arrivo delle guarnigioni dovettero però rifugiarsi, mentre gli austriaci si misero a saccheggiare negozi e palazzi. In un negozio uccisero anche una donna incinta, Carlotta Aschieri, mentre colpirono con la baionetta più volte il marito che tentava di difenderla.
Vennero aggrediti anche due operai, Celeste Bardi e Gio Batta Ridolfi, mentre Angelo Menegotti fu colpito alle spalle da una fucilata e Francesco Vassanelli perse un occhio per la sciabolata di un ufficiale. Le violenze continuarono per due giorni, e secondo le note ufficiali alla fine ci furono una ventina di feriti.
Gli italiani entrarono in città il 16 ottobre 1866, con i bersaglieri da porta Vescovo, che sfilarono tra due ali di folla e con le campane a festa. L'ultimo battaglione austriaco abbassò la bandiera con l'aquila bicipite lo stesso giorno alla Gran Guardia Nuova, dove venne trovata più tardi un'iscrizione di un ufficiale austriaco: Addio mia bella Verona! Mi ti vedrò mai più! Il 21 ottobre e 22 ottobre seguenti il plebiscito sancì l'unione al regno d'Italia con 88.864 voti favorevoli e 2 contrari, come testimonia la lapide all'ingresso dell'odierno Municipio. Il risultato rispecchiò, secondo alcuni studi storici, l'assoluta mancanza di segretezza nel voto e di trasparenza nelle conseguenti operazioni di scrutinio. Infatti la votazione era palese, con schede di colore diverso per il Sì e per il No, che andavano poste in due urne separate. Inoltre ai votanti si chiedeva semplicemente se accettavano l'unione del Veneto all'Italia, senza specificare cosa sarebbe successo se per ipotesi avesse vinto il No.
Dopo l'iniziale entusiasmo per la partenza degli austriaci, non mancarono tuttavia anche le critiche al nuovo regime. Il 9 gennaio 1868 così scriveva l'Arena: Fra le mille ragioni per cui noi aborrivamo l'austriaco regime, ci infastidiva sommamente la complicazione e il profluvio delle leggi e dei regolamenti, l'eccessivo numero di impiegati e specialmente di guardie e gendarmi, di poliziotti e di spie. Chi di noi avrebbe mai atteso che il governo italiano avesse tre volte tanto di regolamenti, tre volte tanto di personale di pubblica sicurezza, di carabinieri, ecc.?
Dal 1866 alla Grande Guerra
La fine del primo secolo italiano vide Verona gravemente colpita dalla grande alluvione del 1882, avvenuta tra il 15 ed il 18 settembre, e che ebbe il suo picco il 17 settembre, quando la piena raggiunse i 4 metri e mezzo sopra lo zero idrometrico. La piena provocò il crollo di diversi palazzi, mentre i mulini sull'Adige vennero disancorati, andando a sbattere contro i ponti, due dei quali vennero completamente distrutti. Alla fine dell'alluvione si contarono 13 case completamente crollate, circa 30 gravemente danneggiate e più di 170 lesionate. Per prestare soccorso alla popolazione intervenne anche l'esercito, ed il re Umberto I venne a far visita ai veronesi il 22 settembre. Conseguente alla disastrosa piena fu la costruzione degli argini, conosciuti col nome di muraglioni, per la cui edificazione furono abbattuti 120 edifici costruiti a contatto col fiume. Le maggiori opere fluviali furono costruite tra il 1885 ed il 1895. Re Umberto I di Savoia durante le manovre militari del 1887 e 1897 fu nuovamente a Verona dove soggiornò a Villa Pellegrini Marioni Pullè Nel 1886 venne inaugurato in piazza delle Erbe il leone di San Marco, ricostruito dopo che era stato abbattuto dai francesi nel 1797. Alla sua inaugurazione era presente una folla entusiasta, che vedeva nel leone un simbolo patriottico. Ma la fine dell'Ottocento vide anche abbattersi sulla città la crisi economica, e quindi l'inizio della grande emigrazione, che si sarebbe protratta sin dopo la prima guerra mondiale. Nel Veneto era presente già da prima un fenomeno migratorio di carattere perlopiù temporaneo o stagionale, in particolare verso la Germania, l'Austria e l'Ungheria, soprattutto dalle zone montane, ma questo andò aumentando sino a raggiungere un fenomeno di massa. Con la nascita di nuove rotte transoceaniche iniziò l'emigrazione verso il Nuovo Mondo: la meta preferita dei veronesi fu il Brasile, dove era richiesta numerosa manodopera per via della fine della schiavitù. Solamente tra il 1886 ed il 1890 partirono dal veronese 50.000 persone, di cui solo il 10% circa rimaneva in Europa. Nello stesso decennio partirono dal Veneto 333.000 persone, l'11% della popolazione, ma questa percentuale nella bassa Veronese salì addirittura al 33%. La situazione e i pensieri di chi era costretto a partire sono stati ben descritti dal poeta veronese Berto Barbarani in una sua poesia, I va in Merica, che racconta le miserie del Veneto di allora e si conclude con i villici che decidono di partire.
La fine del secolo però vede anche la timida crescita della industrie, in particolare dopo la costruzione del canale industriale Camuzzoni (che prendeva il nome dal sindaco Giulio Camuzzoni), che poteva fornire 3.000 cavalli di potenza. Se fino a quel momento l'unica industria a Verona fu l'officina della stazione di Porta Vescovo, grazie al rifornimento di quella potenza poterono cominciare ad insediarsi nuove industrie, tanto che dal 1890 al 1911 nella provincia gli operai salirono da 8.658 a quasi 20.000 unità.
Le due guerre mondiali
La prima guerra mondiale la vede nelle retrovie, forse per la prima volta, ma venne colpita alcuni attacchi aerei, il primo avvenuto il 14 novembre 1915, quando, tre velivoli verniciati di nero, rilasciarono sulla città numerosi ordigni: in piazza delle Erbe ci fu una strage, alla fine si contarono un centinaio tra morti e feriti. Furono addirittura chiamati i pompieri per lavare il sangue dai marmi ed ebbe un notevole effetto psicologico: per la prima volta la Grande Guerra portava morti civili alla città.
Nell'ottobre 1917, dopo la disfatta di Caporetto, la situazione precipitò e Verona divenne ufficialmente città inclusa nel territorio delle operazioni di guerra, dunque entrava in vigore la legge marziale e venivano sospesi i treni civili. Fortunatamente si fece sentire l'apporto degli alleati che risollevarono il morale della popolazione. Dapprima arrivarono le truppe francesi, e poi quelle americane, tanto che nel 1918 si festeggiarono a Verona nel giro di dieci giorni la festa nazionale americana per la dichiarazione d'indipendenza e quella francese per la presa della Bastiglia. Alla fine di ottobre si cominciò a parlare in città di una vittoriosa offensiva italiana ed il 3 novembre 1918 i veronesi si riversarono per le strade a festeggiare la vittoria: la città si riempiva nuovamente di tricolori dopo il 1866.
L'avvento al potere del fascismo portò nella città grandi progetti, di cui uno dei più importanti per Verona fu la costruzione degli ultimi muraglioni. Questi furono edificati con una velocità incredibile, tanto che i lavori iniziarono all'inizio del 1935 e di conclusero già nel novembre 1936.
La seconda guerra mondiale non coinvolse Verona sino al 1943. La notte del 25 luglio infatti Mussolini venne sfiduciato dai gerarchi fascisti e venne quindi arrestato. A Verona presero il potere i militari per 45 giorni, diventò quindi sindaco della città Eugenio Gallizioli, e presidente della provincia il senatore veronese Luigi Messedaglia. A settembre però si rese il governo, ed i tedeschi cominciarono ad occupare i punti strategici e le città del nord Italia. A Verona il comandante dell'VIII reggimento d'Artiglieria rifiutò di consegnare le armi e diede battaglia ai tedeschi, mentre in città si verificarono numerosi scontri. Con la liberazione da parte dei tedeschi di Mussolini nacque la RSI, e Verona con l'insediamento dei più importanti comandi militari tedeschi e di alcuni ministeri ne divenne di fatto, con Salò e Milano, una delle capitali.
A Verona si tenne l'unico congresso fascista presso castel Vecchio (in cui si decisero le basi del nuovo stato, la militarizzazione del partito e la socializzazione), ed il famoso processo di Verona, in cui si decise la condanna a morte per cinque dei sei imputati al processo.
Verona fu una delle città più bombardate per la sua posizione strategica e per la summenzionata presenza di molti comandi militari tedeschi e di cinque ministeri della Repubblica Sociale Italiana; la città alla fine risultò distrutta al 45% dalle bombe degli alleati ed anche le perdite in vite umane furono elevate. Le incursioni più terribili furono quella del 28 gennaio 1944, quando 120 quadrimotori colpirono la zona della stazione Porta Nuova, e quella del 4 gennaio 1945, quando vennero danneggiati o distrutti Castelvecchio, la biblioteca capitolare, la biblioteca civica ed altri importanti monumenti. Infine nell'aprile del 1945 il giorno della loro ritirata da Verona i tedeschi in fuga ne distrussero tutti i ponti.
Verona è tra le città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione, insignita della Medaglia d'Oro al Valor Militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale:
« Città di millenarie tradizioni risorgimentali, pur vessata da eserciti nemici e lacerata da operazione militari, nel corso di cruenti combattimenti e nei periodi di servitù, in 20 mesi di lotta partigiana. Verona testimoniò, con il sangue dei suoi figli migliori, nelle prigioni e sui patiboli, il suo indomito spirito di libertà, eroicamente sostenuta da persone di ogni categoria sociali ed associandosi idealmente a quei concittadini che, militari all'8 settembre 1943, si erano uniti ai resistenti locali in Francia, in Grecia, in Albania e in Jugoslavia. L'attività del Comitato di Liberazione nazionale rinvigorì le azioni di guerriglia in modo tale da suscitare sorveglianza e spionaggio delle varie polizie, tanto che, fatto eccezionale della lotta di Liberazione in Italia, uno ad uno i suoi membri, tra il luglio e l'ottobre del 1944, vennero catturati, torturati ed inviati nei vari campi di sterminio, dai quali non tornarono. Il 17 luglio del 1944 un gruppo di partigiani penetrò nel carcere degli "Scalzi" con l'obiettivo di liberare dirigenti del movimento antifascista nazionale. Tale contributo di sangue, i bombardamenti, le persecuzioni, le distruzioni di interi paesi, sia nella pianura che nelle valli prealpine, non scalfirono ma rafforzarono la lotta della popolazione di Verona, degna protagonista del secondo Risorgimento Italiano. »
(Verona, settembre 1943-aprile 1945)
.
Verona contemporanea
Con la fine della guerra nacquero anche le premesse per la ricostruzione: il primo intervento fu la demolizione delle protezioni antiaeree che erano state installate nell'Arena, che veniva utilizzata dai cittadini per proteggersi durante i bombardamenti. Con il decreto del 1º marzo 1945 veniva stabilito che tutte le città gravemente danneggiate dalla guerre avrebbero dovuto dotarsi di un piano di ricostruzione e Verona, con 11.627 vani completamente distrutti e 8.347 gravemente danneggiati, era una di quelle. I lavori iniziarono immediatamente con la ricostruzione di tutti i ponti, delle chiese storiche, e della stazione di Porta Nuova. A tempo di record, nell'agosto 1946, fu riaperto ponte Catena, mentre gli antichi ponte di Castel Vecchio e ponte Pietra furono ricostruiti con i materiali originali raccolti dall'alveo dell'Adige. Il processo di edificazione utilizzato era quello originale, per cui i lavori furono molto lunghi: il primo venne terminato nel 1951, il secondo nel 1959.
Un importante evento di cronaca fu il sequestro del Generale James Lee Dozier, comandante delle Forze Terrestri NATO in Sud Europa (ftase), rapito dalle Brigate Rosse il 17 dicembre 1981. Le forze dell'ordine intervennero massicciamente, tanto che la città sembrava essere in stato d'assedio, e solo dopo 42 giorni, il 28 gennaio, fu liberato a Padova grazie ad un'incursione dei NOCS di Verona.
Gli ebrei a Verona
Verona è sede di una di una delle più antiche e importanti comunità ebraiche italiane. A testimonianza di questa presenza, rimangono tracce evidenti: negli edifici del vecchio ghetto, nella grandiosa sinagoga, e nell'antico cimitero di Borgo Venezia.
fonte: Wikipedia
CITTA' PATRIMONIO DELL'UMANITA'
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento