01/08/17

Renzi: Big Pharma e i soldi oscuri



di Gianni Lannes

La vaccinazione di massa dei minori in Italia? Un cavallo di Troia per entrare e controllare direttamente i corpi dell'intera popolazione di un paese occidentale. Un esperimento su larga scala mai tentato prima. Prima domanda cruciale in presenza di un esecutivo italidiota eterodiretto dall'estero (Washington, 29 settembre 2014). Matteo Renzi ha intascato quattrini dalle multinazionali farmaceutiche? Ecco i fatti documentati non mere opinioni. 3.288.888,49 euro: non sono bruscolini ma i milioni di euro che la fondazione Open (dopo Link, Festina lente e Big Bang), riconducibile a Renzi ha incassato. Gran parte dei finanziatori, però sono ignoti. 


Perché il rottamatore ormai rottamato dal disastro elettorale e dalla sconfitta al referendum per tentare di manomettere la Costituzione repubblicana, in virtù della trasparenza tanto proclamata, non rende di dominio pubblico la lista completa dei suoi benefattori? E come mai Renzi il 31 marzo 2016 a Boston, ha firmato un accordo segreto per la cessione alla famigerata IBM dei fascicoli sanitari di tutti gli italiani, in cambio di un investimento da 150 milioni di dollari a Milano? Ma che combinazione: Matteo Renzi, è lo stesso politicante che da presidente del consiglio il 29 settembre 2015 ha varato il Dpcm 178 (“Regolamento in materia di fascicolo sanitario elettronico”). E chi ha sollecitato alle istituzioni italiane la schedatura elettronica della popolazione? Proprio l'Ibm.


 Singolare coincidenza. Il 13 aprile dell’anno scorso, Il sole 24 ore, annuncia: «Vaccini e farmaci, Glaxo scommette 1 mld sull'Italia». Che tempismo all’italiana. 13 mesi dopo, esattamente il 19 maggio 2017, a sorpresa il governo Gentiloni, calpestando l’ultimo piano vaccinale biennale appena varato dalle stesse autorità ministeriali, approva un provvedimento che obbliga neonati, bambini e adolescenti all’inoculazione forzata di ben 12 vaccini. Il 7 giugno viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legge 73. Il provvedimento, a pena di decadenza deve essere ratificato entro non oltre il 6 agosto 2017, e trasmesso il medesimo giorno di pubblicazione alle due Camere, però viene inoltrato al Senato soltanto l’8 giugno, in violazione dell’articolo 77 della Costituzione.

Il 7 ottobre 2014 ancora il quotidiano di Confindustria dà una clamorosa notizia, dimenticando comunque che nel settore della farmaceutica sono stati licenziati in Italia ben 11.500 dipendenti nell'ultimo lustro:
«Metti dieci Ceo mondiali di Big Pharma a Palazzo Chigi e un premier che li invita a puntare (e a investire) sull'Italia. E metti che Big Pharma risponda: lo stiamo già facendo, anche oltre le promesse fatte, «siamo pronti a dare ancora una mano». Prove tecniche di sintonia tra il Governo e le industrie farmaceutiche ieri a Roma. Con un incontro a sorpresa tra Matteo Renzi e le imprese del farmaco internazionali, comprese alcune italiane come Menarini e Chiesi, che già hanno base e forza in Italia. Un incontro che fa seguito a quello avvenuto nei mesi scorsi a Bari, quando il premier per la prima volta fece un esplicito endorsement pro industria farmaceutica, definendola strategica per lo sviluppo e invitandola a consolidare e ad allargare la propria presenza nel nostro Paese. Ebbene, a qualche mese di distanza, il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, ha presentato a Renzi i primi risultati della promessa fatta a Bari: aveva annunciato 2mila posti di lavoro entro il 2015, Scaccabarozzi. Invece il traguardo è già oggi a quota 1.600 nuovi occupati under 30, che diventeranno 2mila a giugno del prossimo anno. Come dire che alla fine del 2015 potranno essere ben di più, anche escludendo i 5mila nuovi ingressi totali (non solo under 30 e anche per via del turn over con i pensionati) prevedibili alla fine del 2015. «Sono felicemente sorpreso di aver sbagliato le previsioni – ha commentato il presidente di Farmindistria –. Questo Paese può tornare a crescere, solo così può uscire dalla crisi. Ho visto nel premier una grossa determinazione e noi siamo pronti a fare la nostra parte. Abbiamo le carte in regola per aiutare il Paese». Restano sul tavolo gli inviti di Renzi alle industrie a «investire in Italia, per voi è un'opportunità, il Paese sta cambiando», avrebbe chiosato il premier. Come interamente sul tappeto restano le richieste rilanciate dalle farmaceutiche al Governo: stabilità normativa e certezza di regole, un sistema regolatorio forte e solido, snellezza burocratica, una riforma dell'Aifa (Agenzia del farmaco) che la rende efficiente, che acceleri l'accesso dei prodotti ai mercati e le ispezioni.Una nuova prospettiva italiana per il farmaco, insomma. Che per Big Pharma costituisce quasi una pre condizione per continuare a scommettere sull'Italia, o addirittura per arrivarci ex novo. Chissà. Certo è che la presenza a palazzo Chigi dei Ceo di Bayer, Bristol-Myers Squibb, Eli Lilly, GlaxoSmithKline, Johnson & Johnson, Merck Serono, Novartis e Roche, insieme a due delle italiane ben radicate all'estero, non è stato un evento di secondo piano. «Per la prima volta un primo ministro italiano incontra un gruppo di Ceo mondiali dello stesso settore, gliene va dato atto. Per noi questo è un segnale molto positivo e anche una dimostrazione di fiducia nel nostro Paese», ha commentato Scaccabarozzi. Ora, è chiaro, si attendono i fatti da parte del Governo. Chissà se già con la prossima legge di Stabilità. La presenza di altri ministri accanto a Renzi, – da Pier Carlo Padoan (Economia) a Beatrice Lorenzin (Salute) fino a Federica Guidi (Sviluppo) – è di sicuro un segnale in più di attenzione verso le industrie. La manovra 2015 potrebbe essere la prova della verità».
Un altro tassello viene fornito dal Corriere della Sera, in un’intervista a un manager della Novartis: 

«La Pharma Valley italiana, che il presidente della Toscana Enrico Rossi ha proposto? Si può fare, «ma anche in Lombardia ». E la crescita nel Paese, dopo la cessione a Glaxo della divisione Vaccini, forte proprio in Toscana? È possibile, a patto che ci sia un piano chiaro del governo. «Siamo pronti a investire in Italia, ma ci sia un programma sulla ricerca coordinato, una strategia», dice Guido Guidi, capo della divisione Farma in Europa di Novartis. Commenta con un «bene» la recente proposta del premier Matteo Renzi di fare dell’Italia l’hub, il fulcro europeo del farmaco, ma chiede «una strategia… Che cosa chiedete? «Una strategia. L’Italia è un Paese importante, la competenza è alta, si ricevono finanziamenti dal ministero della Salute, della Difesa, dell’Istruzione. Ma dove vogliamo andare? Quali sono le aree strategiche? Che cosa può attirare un’industria come Novartis? Quando Renzi dice che vuole fare un hub della farmaceutica deve passare da questo ragionamento. Le aziende decidono sulla base della loro speranza di ritorno, anche in ricerca».
Il 9 ottobre di tre anni fa l’Huffington Post titola: «Matteo Renzi: con Big Pharma e Philip Morris per rilanciare subito gli investimenti. Con buona pace di chi a sinistra li combatte da anni». E' evidente che dietro la politica di Renzi c'è una grande visione del mondo, ispirata da nobili ideali. Basta con le utopie ottocentesche, Renzi ci sta traghettando verso un futuro di prosperità, altroché. Poi, sarà pure vero che "il fumo uccide", ma vuoi mettere avere l'ultimo modello dell'I-Phone? Comunque l’industria del tabacco, o meglio la British American Tobacco ha versato alla fondazione Open di Renzi ben 150 mila euro. Perché? Per ottenere cosa? Sorta con atto notarile nel 2012 come Big Bang, la fondazione ha finanziato le attività legate all'ex presidente del Consiglio, a partire dalla Leopolda. Tra i finanziatori di Open c’è anche, con 60 mila euro, l’Isvafim di Alfredo Romeo, l’imprenditore arrestato per il caso Consip. Open vanta lo scopo (articolo 3 dello statuto) “di  promuovere, supportare ed elaborare ricerche, analisi, studi e proposte”, vale a dire finanziare le attività del renzismo. Oltre a Bianchi nel consiglio di Open figurano i “gigli” più cari a Renzi: Maria Elena Boschi (segretaria), il ministro Luca Lotti e Marco Carrai. L’elenco dei sostenitori di Open si ferma al 30 giugno 2016 ma è assai parziale. Comunque vi figura con 17.800 euro il lucchese Andrea Marcucci, dell’omonima famiglia assurta alle cronache per lo scandalo degli emoderivati, potente in economia e in politica (Marialina Marcucci è stata vice presidente della Regione Toscana ed ex editrice dell’Unità). Potrà dire la sua nella delicatissima situazione il senatore Pd Andrea Marcucci - tra i fedelissimi di Matteo Renzi - già intervenuto in passato in situazioni non poi tanto differenti? Del resto, oltre ad essere toscano, è un super esperto del settore, visto che suo padre, Guelfo Marcucci, appunto il re degli emoderivati in Italia, è stato per anni a capo dell’impero Sclavo. Forse ha sussurrato qualcosa all’orecchio di Renzi, l’ascoltatissimo Marcucci junior? Era il candidato vincente alle politiche ’92 per il Pli targato Francesco De Lorenzo, in vena di liberalità per far vivere il partito di Sua Sanità, 70 milioni (di lire) tondi; poi fulminato sulla via dei Pds-Ds, insieme alla sorella Marilina, un amore per le tivvù e i media, editrice per un paio d’anni (inizio 2000) dell’Unità già allora in acque burrascose. E proprio l’acquisto della Sclavo, nel ’90, è valso ai Marcucci “l’ingresso in Tangentopoli - come in un documentato articolo ricostruiva nel 1995 uno degli inviati di punta del Corriere della Sera, Ivo Caizzi - scaturito dall’acquisto della Sclavo dall’Enimont. L’ex vice presidente della Banca di Roma, Oliviero Prunas, ha ammesso di aver intermediato la vendita e una mazzetta di oltre 3 miliardi per il Psi e al presidente dell’Eni Gabriele Cagliari, sborsata da Guelfo”. Ne scriveva delle belle in quel reportage, Caizzi, sul “Conte Dracula della Garfagnana”, “il boss nazionale dei discussi business legati al sangue”, il commerciante di emoderivati “intraprendente e spregiudicato, in ottimi rapporti con i politici locali della Dc e degli altri partiti di governo”. E sul fratello maggiore Leo Piero che già “nel dopoguerra riforniva le farmacie del Congo Belga e oggi, pur mantenendo una quota del gruppo, si dedica al suo hotel Palace a Viareggio”. Una passione dunque antica per il Congo Belga, coltivata negli anni. Ecco cosa scriveva la Voce delle Voci sull’allora sconosciuto impero Marcucci in un articolo del, luglio 1977. «Quali le fonti di provenienza del sangue trattato negli stabilimenti Marcucci? In gran parte il terzo mondo, fino al ’75 in prevalenza il Congo ex Belga. Qui l’abile finanziere aveva impiantato un centro poliambulatoriale e un centro di raccolta del sangue dove, mediante una tecnica assai sofisticata, veniva prelevata agli ignari donatori una quantità tripla di plasma sanguigno, reimmettendo in circoli i globuli rossi diluiti in apposita soluzione fisiologica». Amicizie politiche trasversali al punto giusto, per i Marcucci: i primi amori targati democrazia cristiana, tanto che a sponsorizzare l’acquisto degli stabilimenti Merrel a Napoli e la nascita dell’Isi (Istituto sieroterapico italiano) a Sant’Antimo, nell’hinterland partenopeo, dove oggi dominano le imprese di Luigi Cesaro & C., ramificate anche nel ramo sanitario, fu l’allora sottosegretario al Bilancio (vice di un certo Giulio Andreotti) Enzo Scotti, poi ministro quasi ovunque. Mentre nello staff di vertice della stessa Sclavo, la perla di famiglia, già in quegli anni faceva capolino la presenza di Renato De Lorenzo, avvocato e fratello di “Sua Sanità” Francesco. E più recentemente? Guelfo Marcucci e Duilio Poggiolini – il re mida della Sanità, quello che nascondeva le mazzette miliardarie nel puff di casa – sono in attesa di processo al tribunale di Napoli per lo scandalo del sangue infetto che ha fatto migliaia di vittime innocenti. 

Tornando al bomba. Il finanziamento più grande, sempre stando a quanto scritto sul sito della fondazione Open, arriva però dalla British American Tobacco, la seconda più grande società produttrice di sigarette al mondo che, essendosi aggiudicata la privatizzazioni dell’Ente Tabacchi Italiani nel 2004, vanta marchi nazionali come Ms oltre ai planetari Lucky Strike e Pall Mall. 

Ma quanto è piccolo il mondo:  il primo vaccino sperimentale al mondo per il virus Ebola è stato messo a punto, e testato su scimmie, nei laboratori della Okairos a Napoli e Pomezia. Si tratta di un’azienda nata nel 2007 da una costola della Merck, che nel 2013 è stata acquistata per 250 milioni dalla inglese GlaxoSmithKline. Anche qui attenzione agli eccessi di sensazionalismo: la notizia è che Gsk ha sottoscritto un contratto con l’Organizzazione mondiale della sanità per la fornitura di un milione di dosi.
Nel polo di ricerca di Siena il professor Lino Rappuoli (Chief Scientist di GSK Vaccines ) ha scoperto un nuovo vaccino contro il meningococco B, prontamente reso obbligatorio dall’eterodiretto governo italiano. In un annunciaTo della GSK si legge: «Il vaccino contro il meningococco B è oggi approvato in oltre 35 paesi con più di 10 milioni di dosi distribuite dall'Italia in tutto il mondo. Nel 2000 il vaccino contro il meningococco di tipo C realizzato dal team di Rappuoli e prodotto a Siena, ha permesso di debellare questa patologia nell'intero Regno Unito».
Sarà un caso, ma proprio la Glaxo a suo tempo pagò una mazzetta da 600 milioni di lire all’allora ministro della sanità Francesco de Lorenzo per rendere obbligatorio il vaccino antiepatite B (legge 165/1991). Corsi e ricorsi affaristici sulla pelle dei bambini. La storia si ripete?

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