Ispra: centro nucleare europeo |
di Gianni Lannes
Terra dei fuochi in Campania? C’è di peggio nel profondo nord, dove meno te l’aspetti. L'inquinamento radioattivo può avere diverse origini: industriale: gli impianti nucleari sono autorizzati a rigettare nell'ambiente materie radioattive in quantità stabilita dalle autorità competenti ion barba ai limiti biologici. Ma si annovera la contaminazione radioattiva provocata da attività militari. Per la cronaca, a Ghedi, in provincia di Brescia, a 100 chilometri da Milano, come ad Aviano in Friuli Venzia Giulia, il governo di Washington ha allocato un arsenale di bombe nucleari (modello b 61) in palese violazione della Costituzione italiana.
Va tutto bene? Ora a parte i rifiuti radioattivi seppelliti a Brescia e dintorni, come attestano i rapporti segreti del Sismi, le autorità di controllo sanitario quando non mentono spudoratamente, minimizzano come al solito. Ecco, ad esempio, quante mezze verità mescolate a menzogne traspaiono dallo «Studio descrittivo sull’incidenza di tumori maligni nell’area circostante al Centro comune di ricerca (CCR) di Ispra, realizzato dall’Azienda sanitaria di Varese (Epidemiol Prev 2009; 33 (6), Periodo: novembre-dicembre, pagine: 215-221): La presenza nel territorio di Ispra (Varese) di un Centro comune di ricerca (CCR) comporta lo scarico controllato di emissioni radioattive di tipo aeriforme e liquido. Alcune fasce della popolazione circostante hanno espresso preoccupazioni per il possibile aumento del numero di tumori… Il livello di esposizione a materiale radioattivo, contenuto nei limiti consentiti dalle direttive comunitarie, non lascia prevedere aumenti di patologie oncologiche. A partire dalla fine degli anni Cinquanta (1958) il Centro comune di ricerca (CCR) di Ispra ha iniziato un’attività di ricerca a scopo pacifico nell’ambito nucleare sul territorio della Provincia di Varese, regolamentata da autorizzazioni ministeriali. Agli inizi del 2000, il Centro costituisce uno dei depositi italiani di materiale radioattivo. All’interno delle regolamentazioni ministeriali sono stabilite le cosiddette formule di scarico, ossia formule di tipo matematico che consentono di scaricare, in modo autorizzato e per ogni radioisotopo prodotto, un determinato quantitativo (attività) in un determinato lasso di tempo che si ritiene abbia una ricettività accettabile di impatto sul territorio circostante. Le vie di emissione consentite sono di prassi sia di tipo aeriforme sia di tipo liquido. Al fine di supervisionare nel tempo tutte le aree del territorio nazionale in cui era presente un reattore nucleare, a partire dagli anni Sessanta è stata effettuata da organismi centrali, tra i quali l’ENEA e attualmente l’APAT, la raccolta dei dati metrologici provenienti dai vari centri. Per gli scarichi gassosi, l’irraggiamento della popolazione avviene per dispersione atmosferica e per ricadute sul suolo, si tratta quindi di irraggiamento per dose esterna e di contaminazione di matrici alimentari, quali i vegetali e i foraggi (che entrano nella catena alimentare del latte). Per gli scarichi liquidi vi è un contributo alla dose interna mediante l’ingestione di alimenti attraverso l’acqua e i prodotti ittici. Sono stati identificati alcuni gruppi di popolazione a maggiore rischio in base alla fascia d’età (maggiore radiosensibilità nei bambini di età inferiore ai 5 anni), alle abitudini alimentari (pescatori) e alla collocazione geografica, che per gli effluenti aeriformi è funzione della meteorologia locale (nel caso specifico, l’area a Sud-Sudest del Centro ed entro un raggio di 5 Km). I dati raccolti dal Registro tumori Lombardia confermano l’assenza di danni di salute alla popolazione, indicando addirittura una minore incidenza per alcuni di essi».
In realtà, proprio il territorio di Varese purtroppo detiene il record nazionale di carcinomi mammari. Infatti, la dottoressa Franca Sambo del Centro Screening U.O.C. Prevenzione e Promozione della Salute nelle Comunità Dipartimento di Prevenzione Medico Direzione Sanitaria ASL VARESE, a proposito del “tumore della mammella nell’asl di Varese”, scrive: «Dalla rilevazione del Registro di Mortalità dell’ASL, nel periodo 1996 - 2005, risulta un tasso di mortalità di 27,2 morti per tumore della mammella per 100.000 abitanti (circa 200 decessi all’anno) nella Provincia di Varese e un’incidenza di 126,9 casi di tumore della mammella per 100.000 abitanti (800 nuovi casi all’anno).
Non a caso la Lega Nord ha lanciato l’iniziativa politica in Lombardia di “Abolire il ticket per gli esami sul tumore al seno”. Basta leggere quanto è di dominio pubblico anche in rete: «Via libera dal Consiglio Regionale alla mozione del Carroccio. “Il tumore al seno colpisce una donna su otto nell’arco della vita ed è la prima causa di mortalità per tumore nel sesso femminile; ma con un’attenta prevenzione, per mezzo della diagnosi precoce, è possibile raggiungere percentuali di guarigione del 95%; per questo motivo abbiamo chiesto al Governatore Maroni, attraverso la mozione che è stata approvata in Consiglio Regionale, di valutare l’estensione del Progetto R.A.L. (Rete Alti Rischi) del Centro di Senologia dell’Ospedale Circolo di Varese su tutto il territorio lombardo”. Così il consigliere regionale della Lega Nord, Francesca Brianza. È importante ricordare che la provincia di Varese è tra le zone d’Italia con la più alta incidenza di carcinomi mammari. Circa 800 donne si ammalano ogni anno in questa zona, e circa 6 casi su 100 sono ereditari. “Conclude il consigliere del Carroccio: “Esprimo la mia piena soddisfazione perché nella mozione abbiamo altresì chiesto l’abolizione del ticket sanitario per gli esami riguardanti la prevenzione del tumore al seno e patologie collegate, per il target di donne ad alto rischio individuate tramite lo screen genetico. Si tratta di un ulteriore, importante passo avanti nella prevenzione di uno dei più aggressivi mali del secolo”».
Inoltre, un giornalista di chiara fama come Marco Mostallino, il 6 novembre 2013, sul portale di Lettera 43 ha annotato: «Inquinamento, i terreni a rischio in Padania: Frutta, boschi, tabacco sono tra le risorse agricole del territorio di Ispra, cittadina affacciata sul versante lombardo del lago Maggiore, in provincia di Varese. Un territorio, però, anche zeppo di industrie e con una particolarità: proprio a Ispra ha operato per decenni una piccola centrale nucleare «sperimentale» dell'Enea. Un impianto nucleare in scala ridotta, eppure con le sue barre d'uranio, le scorie radioattive, le acque di raffreddamento del reattore destinate a essere disperse proprio nel lago. L'ALLARME IN REGIONE. E pure qua, quanto a tumori, l'allarme è alto: secondo i dati resi noti in ottobre in Consiglio regionale lombardo da Francesca Brianza (Lega Nord) «la provincia di Varese è tra le zone d’Italia con la più alta incidenza di carcinomi mammari. Circa 800 donne si ammalano ogni anno in questa zona. L'emergenza è così grave che l'Assemblea lombarda ha deciso, all'inizio di ottobre, di eliminare i ticket per le visite di prevenzione dei tumori al seno».
In una pubblicazione online del Dipartimento interaziendale oncologico provinciale di Varese si legge: «Il tumore della mammella rappresenta il 25% di tutti i tumori che colpiscono la popolazione femminile ed è la prima causa di morte per cancro al di sotto dei 55 anni. Sono più di un milione i nuovi casi che ogni anno vengono diagnosticati nel mondo e, di questi, circa 40.000 si registrano in Italia dove la malattia è responsabile di 11.000 decessi all’anno. Nel nostro Paese tuttavia la diffusione di questa patologia non è omogenea ma varia, anche sensibilmente, nelle diverse aree geografiche: al nord i casi sono quasi il doppio rispetto al sud. La Lombardia è una fra le regioni con l’incidenza più alta in assoluto e i tassi più elevati si osservavo proprio in provincia di Varese dove, secondo i dati del Registro Tumori Provinciale, vengono diagnosticati circa 700 nuovi casi ogni anno».
Infine, il sito internet di Humanitas, Mater Domini, riporta testualmente: «Il tumore al seno è di gran lunga il più frequentemente diagnosticato in tutte le fasce d’età nel sesso femminile e, dalla fine degli anni settanta, la sua incidenza è quasi raddoppiata e si prevede continuerà a crescere raggiungendo nel 2030 i 55.000 nuovi casi/anno. La diffusione della malattia sul territorio nazionale non è tuttavia omogenea, esistono infatti significative differenze nelle diverse macro aree geografiche: annualmente ogni 100.000 abitanti si registrano 124 casi al Nord, 100 al Centro e 91 al Sud. Fra le regioni italiane la Lombardia è una di quelle a più alta incidenza e, nell’ambito del territorio lombardo, la maggior concentrazione di casi si registra in provincia di Varese dove si ammalano circa 750 donne all’anno».
D’altronde, su Saronno Varese news dal 18 luglio 2013campeggia il seguente comunicato stampa a firma del comitato “Acqua bene comune”: «Lura e inquinamento radioattivo: perché il comune non risponde? Sono passati ormai tre mesi, da quel 12 aprile 2013 in cui il Comitato per l’Acqua Bene Comune protocollava una richiesta di informazioni indirizzata all’Assessore all’Ambiente, Roberto Barin. Si chiedevano chiarimenti su tre temi: l’analisi delle acque cittadine, il deficit idrico, lo stato dell’inquinamento radioattivo del Torrente Lura. Tutti temi importanti, appena balzati – a quel tempo – agli onori delle cronache. Anche per questo ci attendevamo una pronta risposta. Eppure oggi, 17 luglio 2013, nessuna risposta è ancora arrivata. “Semplice”, e comunque inescusabile, negligenza nel rapporto con i cittadini? Scarsa trasparenza nell’informazione su temi così delicati? Incapacità, o impossibilità, di attingere i dati alla fonte, teoricamente pubblica? Il Comitato, stando di aspettare, lascia giudicare ai cittadini. Andiamo con ordine: 1. A marzo 2013 (e ovviamente a fine giugno nulla è ancora cambiato, vedi Saronno Sette) i dati riferiti ad alcuni importanti valori delle analisi delle acque cittadine erano ancora accompagnati dall’asterisco, che indica che l’ente rilevatore non è accreditato per quel parametro presso la Regione Lombardia. Dato che la cosa prosegue da anni, come è possibile che il comune di Saronno non abbia ancora provveduto a rivolgersi ad un ente accreditato? Come mai la società Saronno Servizi SpA, che pure è posseduta al 100% dal Comune, non prende provvedimenti immediati, né invia i dati all’amministratore di turno, pur essendo teoricamente una società gestita “in casa” dal Comune? E dire che negli ultimi due anni non sono mancate le polemiche sulla scarsa qualità dell’acqua del rubinetto, che hanno portato anche alla temporanea chiusura precauzionale di uno dei pozzi cittadini! Ma questo non sembra rilevare, per l’assessore Barin e all’amministrazione comunale, che continua a permettere un rilevamento incompleto dei dati sulla qualità dell’acqua. 2. Dalla lettura dei documenti (fonte: Piano di Governo del Territorio), poi approvato a metà giugno 2013, emergeva nei mesi scorsi un dato assai preoccupante riferito al deficit idrico (insufficienza d’acqua) nel nostro comune, con una previsione di peggioramento a seguito del probabile aumento della popolazione conseguente alla nuova edificazione prevista con il nuovo strumento di regolazione urbanistica della città. Di tutto questo non ci parla l’assessore Barin, in un incontro ufficiale alla presenza dell’ing. Busnelli, nostro esperto di riferimento, delegando la risposta alle “controdeduzioni” dell’amministrazione alle osservazioni al Piano di Governo del Territorio, compresa quella di Attac Saronno specificamente dedicata al deficit idrico: a questa non viene data risposta affatto esaustiva. Gli abitanti potenziali aumenteranno, ma il deficit idrico può crescere senza preoccupare i nostri amministratori. Ma non i cittadini! 3. Infine, la radioattività nel torrente Lura. Tema riportato alla ribalta dalle associazioni “Mondo in cammino” e “Aipri”, i cui studi sono stati ripresi nei mesi scorsi dalla stampa locale. Su questo tema, sollevato da diversi cittadini, l’assessore Barin prometteva (fonte: profilo facebook di Ambiente Saronno) risposte rapide, che non sono mai arrivate. Ancora a maggio, e poi a giugno, l’assessore ribadiva – esibendoci dati ancora parziali – che l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale (ARPA) non aveva ancora fornito dati completi all’amministrazione comunale, continuando a spostare in avanti nel tempo la data (ormai ampiamente scaduta) entro cui ci avrebbe dato risposta. Siamo preoccupati dell’utilizzo avvenuto, a vent’anni dall’incidente nucleare della ditta Premoli di Rovello Porro, delle acque contaminate del torrente Lura. Ma anche questo non sembra turbare il sonno dell’assessore Barin. Il quale, invece, farebbe bene a svegliarsi!».
Ecomafie di Stati impuniti. Quella sponda radioattiva sul versante orientale del lago Maggiore ospita il primo centro nucleare sorto in Italia che copre una superficie di ben 166 ettari. Da una brochure del Centro comune di ricerca (JRC) si apprende che: «il centro italiano di Ispra originariamente apparteneva al Comitato nazionale per l’Energia Nucleare (CNEN) ed è stato ufficialmente trasferito alla Comunità il primo marzo 1961… La costruzione da parte del Cnen del primo reattore di ricerca fu completata il 24 marzo 1959 ed inaugurata nello stesso anno. Il primo reattore nucleare in Italia fu chiamato Ispra-1. Il reattore Essor a Ispra, iniziò ad essere operativo nel 1967, dopo parecchi anni di pianificazioni. Essor sta per “Essai ORGEL” che a sua volta è l’acronimo di “Organique-Eau-Lorde”… Nel 1986 furono lanciati importanti programmi comunitari di ricerca e sviluppo».
Si tratta dei famigerati siluri imbottiti di scorie nucleari ad alta attività (le più pericolose di terza categoria) da seppellire sui fondali marini. Un progetto all’epoca finanziato addirittura dalla Comunità Europea in joint venture con il governo United States of America - come è ben specificato nelle inchieste giudiziarie sulla navi dei veleni condotte congiuntamente dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria (pm Francesco Neri) e da quella di Matera (procuratore Nicola Maria Pace) a metà degli anni ’90. Dalla banca dati internazionale dell’Iaea si rileva che a partire dai primi anni ’60 le nazioni occidentali (Italia inclusa nel 1967) e l’Urss hanno scaricato nelle profondità marine, migliaia di tonnellate di rifiuti atomici.
Nel 1997, l’ ENEA-TFS (Task Force Enea per il Sito nazionale di deposito dei materiali radioattivi) ha proceduto al primo inventario nazionale -situazione e proiezioni- di tutti i rifiuti radioattivi presenti in Italia, inventario successivamente aggiornato al 30 settembre 1999 e poi al dicembre 2000, principalmente finalizzato alla progettazione del sistema di smaltimento mediante deposito definitivo superficiale. Secondo la commissione parlamentare d' inchiesta sui rifiuti pericolosi (2001), a Ispra sono stipati ben 2.589 metri cubi di materiali radioattivi. Sono stivati in 15 pozzi a una profondità di circa 8 metri, separati fra di loro da un' intercapedine di 20 centimetri. Ufficialmente, ad Ispra, insomma, ci sono ancora due reattori nucleari Essor 1 ed Essor2, in attesa di essere smantellati. Il Corriere della Sera (19 novembre 2003) è entusiasta della situazione: «Come vivere, e bene, accanto a un cimitero di scorie nucleari… Le scorie nucleari che non fanno paura sono invece quelle accumulate dall' inizio degli anni ' 60 a circa metà degli anni ' 80 dal Centro di ricerche della comunità europea che ha sede a Ispra». In un articolo fotocopia datato 7 gennaio 2008 del quotidiano di via Solferino, è scritto: «C' è un posto in Italia dove i rifiuti nucleari, che ovunque avrebbero provocato spavento e proteste, sono diventati una sorta di manna dal cielo. A Ispra, sul Lago Maggiore, sono arrivati 2 milioni di euro a titolo di risarcimento per le scorie stoccate nel centro di ricerca della Ue (l' ex Euratom). E il paese è pronto a rifarsi il volto grazie all' eredità dello «zio di Bruxelles»: costruire scuole, asili, parcheggi, approfittare insomma di soldi che, in un bilancio di 6,5 milioni di euro l' anno».
riferimenti:
fonte: sulatestagiannilannes.blogspot.it
purtroppo è cosa molto nota....Ciao Fabrax.....
RispondiElimina