
Di Paola Mangano
La voce Pittore dell’Encyclopédie, redatta dal Cavaliere Louis de Jaucourt (*),
è rintracciabile nel volume dodicesimo della seconda edizione (1769),
nella versione originale francese on line seguendo il link che riporto
di seguito – Byterfly. alle pagine 203 e 204.
Anche
se l’attenzione degli enciclopedisti era rivolta da una parte alle
tecnologie e dall’altra ad argomenti filosofici, politico-religiosi e
scientifici – sui quali è oggi reperibile una abbondante e qualificata
saggistica – esiste un notevole numero di voci, non ancora
sufficientemente studiate, che riguardano le cosiddette belle arti.
L’arte
nell’Encyclopédie, recuperando la sua originaria dimensione tecnica,
diviene fenomeno pienamente legato alla sfera del lavoro e dell’utilità
sociale, estrinsecabile in una molteplicità di pratiche, finalizzata
all’incremento ed alla diffusione della cultura nella società.
In
tutta la mole delle voci artistiche mi concentrerò su quelle che più
interessano la pittura al fine di trarne qualche spunto di riflessione,
lungi da me e dalle mie competenze proporre un’analisi critica
autorevole.
Pittore
Artista che sa rappresentare ogni sorta di oggetti per mezzo di colori e pennello.
La
fortuna di un pittore è di essere nato dotato di genio. (1) Questo
genio è quel senso che eleva i pittori al di sopra di loro stessi, che
permette loro di immettere l’anima nelle immagini e il movimento nelle
composizioni che rappresentano. L’esperienza prova a sufficienza che non
tutti nascono col genio che permette di diventare pittori. Abbiamo
visto uomini di spirito, che avevano copiato parecchie volte ciò che la
natura ha prodotto di più piacevole, invecchiare col pennello e la
tavolozza in mano, senza elevarsi al di sopra del rango di mediocri
coloristi e servili copiatori di rappresentazioni altrui. Gli spiriti
più comuni sono capaci di essere pittori, ma mai grandi pittori.
Per i
pittori non è sufficiente avere del genio, concepire idee nobili,
immaginare le composizioni più eleganti e trovare le espressioni più
patetiche: è anche necessario che la loro mano sia stata resa docile a
flettersi con precisione in cento maniere diverse, per diventare capaci
di tracciare con esattezza la linea che l’immaginazione richiede. Il
genio ha, per così dire, le braccia legate in un artista la cui mano non
sia sciolta. Quanto abbiamo detto per la mano, vale per l’occhio;
bisogna che l’occhio di un pittore sia presto abituato a giudicare con
un’operazione sicura e facile, al tempo stesso quale effetto debba fare
una figura di una certa altezza in un gruppo e quale effetto farà un
certo gruppo in un quadro, dopo che il quadro sarà dipinto. Se
l’immaginazione non ha a disposizione mano e occhio capaci di
assecondarla in ciò che richiede, dalle più belle idee generate da
questa immaginazione non può che risultare un quadro grossolano, che lo
stesso artista che lo ha dipinto rifiuterà, in quanto si renderà conto
che l’opera prodotta dalla propria mano è inferiore all’opera immaginata
dal suo spirito.
Lo studio necessario per perfezionare occhio e mano
non si fa dedicando qualche ora distratta a un lavoro spesso
interrotto. Tale studio richiede una totale attenzione e una
perseveranza che si protragga per molti anni. E’ nota la massima che
impedisce ai pittori di lasciar passare un intero giorno senza stendere
almeno qualche pennellata; non per niente si applica questa massima a
tutte le professioni, tanto la si è ritenuta saggia: nulla dies sine
linea. (2)
L’unico periodo della vita che è particolarmente adatto a
far acquisire perfezione all’occhio e alla mano è quel tempo in cui gli
organi, sia interni sia esterni, stanno completando la loro formazione: è
il periodo che va dai quindici ai trent’anni. Durante questi anni gli
organi contraggono facilmente tutte le abitudini, di cui la loro intima
conformazione li rende suscettibili. Ma se si perdono questi anni
preziosi, se si lascia che passino via senza trarne profitto, la
docilità degli organi svanisce irrimediabilmente e nessun sforzo può
essere fatto per rivitalizzarla. Sebbene la lingua sia un organo molto
più agile della mano, tuttavia, pronunceremo sempre male una lingua
straniera imparata dopo i 30 anni.
Un pittore deve essere conscio di
quale genere di pittura gli è proprio e limitarsi a questo genere.
Rimane confuso tra la folla chi invece potrebbe essere elevato al rango
degli illustri maestri, chi si è lasciato trascinare da una cieca
imitazione, che lo ha spinto a diventare abile in quei generi di pittura
per i quali non era nato e che gli hanno fatto trascurare quelli per i
quali invece era adatto. Le opere che ha tentato di fare sono, se si
vuole, di una classe superiore; ma non è forse meglio essere citati per
essere uno dei primi ritrattisti del proprio tempo, piuttosto che un
miserabile arrangiatore di figure ignobili e storpie?
I giovani
pittori che aspirano al successo devono ancora guardarsi dalle passioni
violente, in particolare l’impazienza, l’avventatezza, l’avversione.
Quelli che si trovano in cattiva situazione economica non disperino di
migliorare la propria situazione con l’applicazione; l’opulenza
allontana dal lavoro e dall’esercizio della mano, la fortuna nuoce più
al talento di quanto non possa essere utile; ma d’altra parte, in uno
Stato i meriti, gli onori, e le ricompense sono necessari per
incoraggiare lo sviluppo delle belle arti e per formarvi artisti
superiori. Un pittore in Grecia era un uomo celebre non appena meritava
di esserlo. Questo tipo di merito faceva di un uomo comune un
personaggio e lo eguagliava a ciò che c’era di più grande e d’importante
nello stato; i portici pubblici in cui i pittori esponevano i loro
quadri erano i luoghi dove gli uomini più illustri della Grecia si
recavano di volta in volta per esprimere il proprio giudizio. Le opere
dei grandi maestri non erano allora affatto considerate come oggetti
ordinari di arredamento, destinati ad abbellire gli appartamenti di un
privato, ma venivano reputate i gioielli dello Stato e un vero tesoro
pubblico, di cui tutti i cittadini dovevano gioire. Si paragoni dunque
l’alacrità che gli artisti di un tempo avevano nel perfezionare il
proprio talento con la brama che noi vediamo nei nostri contemporanei
nell’ammassare ricchezze, o nel fare qualche cosa di più elevato che li
agevoli ad arrivare ai grandi impieghi dello Stato.
Sebbene la
reputazione di un pittore dipenda maggiormente, che non quella dei
poeti, dall’approvazione degli esperti, tuttavia, questi non sono gli
unici giudici del loro merito. Nessuno di loro perverrebbe, se non molto
tempo dopo la morte, al meritato prestigio che gli è dovuto, se tale
giudizio spettasse agli altri pittori. Fortunatamente i suoi rivali
conterranei ne sono i maestri solo per un certo periodo. Il pubblico che
viene illuminato rivendica a poco a poco il giudizio al proprio
tribunale e rende a ciascuno quella giustizia che gli spetta. Ma in
particolare un pittore, che tratta grandi soggetti, che dipinge cupole e
volte di chiesa o che fa grandi quadri destinati a essere sistemati in
quei luoghi ove molti uomini sono soliti riunirsi, è più conosciuto per
quello che è, piuttosto che il pittore che lavora a quadri di cavalletto
destinati a essere chiusi in appartamenti privati.
Ci sono inoltre
luoghi, tempi e paesi in cui il merito di un pittore è riconosciuto più
che altrove. Per esempio i quadri esposti a Roma saranno maggiormente
apprezzati nel loro giusto valore, di quanto non lo sarebbero se fossero
esposti a Londra o a Parigi. Il gusto naturale dei Romani per la
pittura, le occasioni che essi hanno di gustarne, se così si può dire, i
loro costumi, la loro scarsa operosità, l’occasione che loro hanno di
vedere continuamente nelle chiese e nei palazzi capolavori di pittura, e
può anche darsi la sensibilità dei loro organi, rendono questa nazione
adatta più di ogni altra ad apprezzare il merito dei propri pittori
senza l’aiuto della gente del mestiere. Infine un pittore ha conseguito
una buona reputazione, quando le sue opere hanno assunto valore presso
gli stranieri; non è sufficiente avere un piccolo gruppo di gente che le
apprezzi, bisogna che siano comprate e ben pagate; ecco la pietra di
paragone del loro valore.
Ciò che talvolta impedisce il talento dei
pittori, dice al proposito Voltaire (3), e ciò che sembrerebbe spegnerlo
è il gusto accademico, è lo stile che i pittori traggono da coloro che
ne sono ritenuti i maggiori esponenti. Le accademie sono senza dubbio
molto utili per formare gli allievi, soprattutto quando i direttori
operano seguendo le norme del grand gout, ma se un direttore persegue il
petit gout, se il suo stile è secco e arido, se le sue figure fanno le
smorfie, se le sue espressioni sono insipide, se il suo colorito è
debole, gli allievi, soggiogati dall’imitazione, o per il desidero di
compiacere a un cattivo maestro, perdono completamente l’idea della
belle nature. Datemi un artista che sia totalmente preoccupato di
acquisire lo stile dei pittori suoi contemporanei, ne risulterà che ciò
che produce sarà compassato e forzato. Datemi un uomo dallo spirito
libero, pregno della belle nature che copia, ebbene quest’uomo riuscirà.
Quasi tutti gli artisti sublimi sono fioriti prima dell’istituzione
delle accademie, o hanno lavorato secondo un gusto diverso da quello che
vigeva in quelle società; quasi nessuna opera che viene definita
accademica ha ancora costituito, in alcun genere, un’opera di genio.
Il Cavaliere De Jaucourt
L’Encyclopedie, Tomo XII, pag. 203
La traduzione è tratta da Collezione
dell’Enciclopedia, L’Arte e l’Architettura a cura di Cinzia Maria Sicca e
Lucia Tongiorgi Tomasi, 1979 Gabriele Mazzocca Editore
La scena raffigura uno studio in cui si è cercato di riunire diversi tipi di pittura. Sullo sfondo dell’atelier si vedono due statue antiche, un globo, una squadra e alcuni libri, tutte cose utili ai pittori e che testimoniano lo studio dell’antichità, della storia, della geografia e dell’architettura.
La fig. 1. rappresenta un pittore di soggetti storici. a, Scaleo; b, bacile per lavare i pennelli o grande scatola per colori; c,macina di pietra per i colori.
La fig. 2. rappresenta un ritrattista. d, scatola dei colori.
La fig. 3. raffigura un pittore intento a eseguire una riduzione di un quadro del quale vuole fare una copia; e, quadro che gli serve a modello; f, tela sulla quale ha tracciato tanti quadrati quanti ne ha fatti su quello che si propone di ridurre (o di copiare).
La fig. 4. rappresenta un pittore di ritratti in miniatura.
Nella tavola in basso
Fig. 1. Poggiamano. 2. 3. e 4. Spatole di forme differenti. 5 e 6 Spazzolini di cui ci si serve per fondere i colori. 7. 8. e 9. Pennelli. 10. 11. e 12. Tavolozze di forme diverse
Per
eccellere nell’attività di pittore occorrono doti naturali,
acquisizione della tecnica e molta pratica quotidiana. Per gli
enciclopedisti l’insieme di questi fattori non possono che estendere i
limiti dell’arte portando l’artista tanto in alto da elevarsi da lui
stesso.
Genialità, tecnica ed esperienza quindi; tuttavia il genio
non sempre sa disciplinarsi ed adeguarsi alle regole anzi Kant individua
nel “Genio” quella facoltà, che hanno certi uomini privilegiati, di
dare la regola all’arte offrendola come esempio da seguire. Per questo
l’opera dell’artista che possiede il genio non è soltanto piacevole, ma
bella e paragonabile alla bellezza naturale, perché non sottostà a
regole, ma le crea.
Il genio è un puro dono della natura, e il suo
prodotto è il frutto di un momento ispirato; il gusto è il risultato di
un lungo studio, poggia sulla conoscenza di una quantità di regole
solidamente stabilite o supposte tali, produce opere di bellezza
meramente convenzionale. Le regole e le leggi del gusto sono di ostacolo
per il genio.
Un’apparente contraddizione pervade questo scritto.
Da una parte il genio deve imparare la tecnica e quindi sottostare a
regole ben precise di studio e dall’altra non ne deve tener conto perché
sarà lui stesso a crearne di nuove. Ma quello che in fondo si vuol dire
è che in un mondo ideale l’artista dotato di genio saprà appropriarsi
di tecniche e metodi per farne un uso proprio, come e dove non ha
importanza. Tuttavia, credo che con il passare del tempo questo concetto
di genio si sia trasformato in un escamotage per giustificare
qualsivoglia realizzazione pseudo-artistica.
Si chiede in questo
scritto al giovane pittore dal guardarsi dalle passioni violente che
possono nuocere al talento così come l’ambizione alla fama e alla
ricchezza; eppur, che io ricordi, sono più numerosi gli artisti
tormentati che quelli di pacato spirito e diventare famoso e ricco pare
sia l’aspirazione di ogni individuo di quella e di questa
contemporaneità.
Jaucourt riprende in questo articolo pressoché alla
lettera uno scritto volterriano del 1752 (nota n. 3), argomentazioni
molto prossime a quelle sostenute nella voce Talent delle Pensées da
Rousseau, sempre pronto a rifiutare ogni genuflessione nei confronti del
potere istituzionale a tutto vantaggio della natura: “Tante istituzioni
in favore delle arti non fanno che nuocere loro. Moltiplicando
impudentemente i soggetti si confondono; il vero merito resta soffocato
nella folla, e gli onori dovuti al più abile sono tutti per il più
intrigante.” J.-J. Rousseau, Les pensees de J.J. Rousseau, citoyen de
Geneve. Si esprime qui un concetto prettamente illuminista contro la
tradizionale pittura accademica, conservatrice e di maniera, dove non
c’è contatto tra l’artista e la realtà. Si radicalizza quindi lo scontro
tra il mondo accademico e lo stato moderno nascente, caratteristica non
secondaria dell’intera iniziativa editoriale dell’Encyclopédie – le cui
vicende travagliate sono un rilevante sintomo della difficoltà di
transizione fra “vecchio” e “nuovo” sapere.
Note:
*) Cavaliere Louis de Jaucourt (Paris,
Sept 27, 1704; Compiègne, Feb 3, 1779), fu il più prolifico tra gli
oltre 130 collaboratori dell’Encyclopédie. Ha studiato teologia a
Ginevra, scienze esatte e naturali a Cambridge, medicina a Leida, dove
ha incontrato Tronchin. Tornato a Parigi nel 1736, visse in una società
mondana e filosofica. Figura pressoché sconosciuta sebbene centrale per
l’Encyclopédie contribuendo con ben 17.000 articoli. Fu lui a coordinare
la redazione degli ultimi volumi e scrisse per loro più della metà
degli articoli, in un momento in cui D’Alembert aveva lasciato l’avventura e quando Diderot, notevolmente occupato sul lavoro delle tavole, aveva grande bisogno del suo sostegno.
1)
Il concetto di genio è presente nelle voci artistiche dell’Encyclopedie
con il significato di elemento vivificatore dell’imitazione della bella
natura che tuttavia non può prescindere da norme interne che lo
disciplinano. Ad esso è strettamente connesso il gusto.
2) La locuzione latina “Nulla dies sine linea”, tradotta letteralmente, significa nessun giorno senza una linea. (Plinio il Vecchio, Storia Nat., 35).
La frase è riferita al celebre pittore Apelle, che non lasciava passar
giorno senza tratteggiare col pennello qualche linea. Nel significato
comune vuole sottolineare la necessità dell’esercizio quotidiano per
raggiungere la perfezione e per progredire nel bene.
3) Voltaire nel Catalogue de la plus parts des ecrivains francais,
cit., dice “Alle volte i talenti dei pittori sono costretti proprio da
ciò che apparentemente dovrebbero svilupparli: il gusto accademico e la
maniera che i pittori seguono secondo il gusto di coloro che presiedono
alle accademie. Le accademie sono indubbiamente utili per formare il
gusto degli allievi, soprattutto quando i loro direttori lavorano
secondo il buon gusto. Ma se il maestro ha poco gusto, se la sua maniera
è arida o leziosa, se le sue figure sono scorrette, se i suoi quadri
sono dipinti come ventagli, gli allievi, soggiogati dall’imitazione o
dalla voglia di piacere a un cattivo maestro, perdono completamente
l’idea della bella natura. Sulle accademie pesa una fatalità: non si è
mai vista un’opera, detta accademica, in nessun genere, che sia un’opera
di genio. Se un artista è troppo preso dal timore di non impadronirsi
della maniera dei suoi confratelli, le sue produzioni saranno compassate
e forzate, ma se un uomo è di spirito intraprendente, pieno della
natura che imita, riuscirà. Quasi tutti gli artisti sublimi, o sono
fioriti prima delle fondazioni delle accademie o hanno lavorato secondo
un gusto diverso da quello che regnava in quella società.”
PITTURA - STORIA DELLE BELLE ARTI DA L'ENCYCLOPEDIE
fonte: PASSIONARTE
Copiare la natura o le grandi opere degli
artisti del passato? Ha ancora senso oggi porsi questa domanda
finalizzata alla formazione dell’artista moderno? In un mondo dominato
dalle macchine vi è ancora posto per quell’artista tradizionale inteso
come pittore o scultore?
Domande che generano altri quesiti.
Anche
se il termine artista viene e verrà sempre di più associato ad altre
forme di arte sono convinta che la pittura e la scultura sopravviveranno
ancora, per lo meno finché nell’uomo non si esaurirà l’istinto di
esprimersi usando quelle tecniche.
Non solo; auspico un ritorno alle
belle arti, intese come rappresentazione della storia, al fine di
educare raccontando delle immagini. Un’arte che deve farsi popolare,
essere utile a tutti, un’arte che non necessita di essere spiegata ma
che anzi, attraverso la sua diretta lettura, riesca ad instillare in
colui che la osserva uno stato emozionale. La figurazione è la forma
artistica che più risponde a questo fine. Si dice che la pittura
figurativa in questi anni stia tornando alla luce della ribalta in
Italia, assecondando una tendenza che all’estero esiste già da tempo.
Considerata una tecnica “tradizionale” o superata non viene nemmeno più
insegnata nelle accademie e scuole d’arte, in netto contrasto con ciò
che avviene fuori dal nostro paese.
Anche da queste riflessioni nasce
il mio interesse verso la didattica artistica neoclassica, a parer mio,
ultima vera espressione formativa dell’artista nella storia.
Non
volendo mettere in discussione la capacità autodidattica di un individuo
realmente dotato artisticamente è indubbio che rudimenti tecnici siano
di grande utilità se non fondamentali per poi “organizzare le sensazioni
in un’estetica personale”. Quasi tutti gli impressionisti, per fare un
esempio, ebbero una formazione di tipo accademico, chi frequentando la
Scuola di Belle Arti, chi studi privati, chi recandosi al Louvre per
copiare gli antichi maestri. Diversamente da quello che accade oggi la
loro opposizione all’istituzione accademica si basava sulla conoscenza
della materia che andavano contestando.
Un nuovo orientamento
didattico, che poi dovrebbe essere una rivisitazione dei dettami
accademici del passato, recupero delle regole classiche, potrebbe
permettere di uscire dalla deriva involutiva, e mercantilistica, nella
quale si è andata a schiantare l’arte post-contemporanea?
Inseguendo questi dubbi ricerco risposte nel passato.
Parto da questo trattato di estetica neoclassica tratto da “Pensieri sulla Bellezza e sul Gusto nella pittura” di Anton Raphael Mengs, pubblicati in tedesco nel 1762 e tradotti in tutte le maggiori lingue europee. Il capitolo numero 7 “Avviamento del pittore moderno al buon gusto” si propone di formare l’artista dell’epoca sia dal punto di vista teorico che da quello del gusto: avviare il giovane artista nel cammino dell’arte significa fornirgli validi strumenti per coltivare la propria sensibilità e orientarsi autonomamente nella formazione del gusto.
Cap. 7. Avviamento del pittore moderno al buon gusto
Due sono le vie che conducono al buon gusto qualora chi lo cerca sia accompagnato dalla ragione; l’una è più difficile dell’altra. La più difficile è quella di scegliere dalla natura stessa ciò che è più necessario e bello; l’altra, più facile, è quella di imparare dalle opere, in cui la scelta è già stata effettuata.
Per la prima via gli antichi sono arrivati alla perfezione, cioè alla bellezza e al buon gusto; la maggior parte dei moderni però, dopo i tre geni già ricordati (Si tratta di Correggio, Tiziano e Raffaello come espliciterà anche più sotto.), sono giunti al buon gusto per la seconda. Quei tre grandi artisti hanno percorso non solo la prima strada, ma anche un’altra di mezzo tra la natura e l’imitazione. È molto più difficile trovare il buon gusto attraverso la natura che attraverso l’imitazione, poiché la prima via esige un certo discernimento filosofico per poter giudicare rettamente ciò che in natura è buono, migliore ed ottimo. Nell’imitazione delle opere d’arte questo riesce più facile, giacché possiamo comprendere più facilmente le opere degli uomini che quelle della natura. Perciò è necessario adoperare bene quest’ultimo metodo e pensare a giudicare delle opere dei grandi maestri, come essi hanno giudicato la natura; altrimenti si rimarrà alla superficie e non si comprenderanno mai le ragioni della loro bellezza.
E come l’uomo sin dalla nascita e nella sua tenera infanzia deve essere nutrito nel modo richiesto dalla natura sino a che, col crescere degli anni, sia diventato abbastanza forte da servirsi di cibi più grossi per alimento, così si deve procedere col debole intelletto di un giovinetto principiante nell’insegnamento di un’arte. Non bisogna apprestargli subito i cibi più pesanti e le bevande più forti, cioè le cose più difficili e le idee più elevate, altrimenti il suo intelletto si stordirebbe e si smarrirebbe, oppure monterebbe in superbia, poiché i principianti facilmente credono di saper tutto, quando il maestro abbia loro parlato.
Lo scolaro deve, da principio, essere nutrito col latte più puro dell’arte, cioè con le opere più perfette dei grandi maestri. Perciò dirò quanto prima come si debba pensare delle opere dei grandi maestri e come giudicarle.
Anzitutto lo scolaro deve aver davanti soltanto le cose migliori e nemmeno vedere cosa che sia brutta e tanto meno imitarla. In principio, egli deve imitare esattamente le cose belle senza cercare le ragioni per cui sono belle. E così acquisterà la giustezza dell’occhio che è lo strumento più necessario di tutta l’arte. Arrivato a questo punto, può cominciare a riflettere con giudizio sulle opere dei grandi artisti e a indagare le loro ragioni. E si faccia così: veda ed esamini tutto ciò che trova di bello in ciascun quadro; e quando egli trovi nelle opere di ciascun artista alcune cose curate sempre bene e bene dipinte, vuol dire che quelle parti sono state l’oggetto principale e la scelta del maestro; ma se egli troverà tali parti in alcuni quadri e in altri no, vuol dire che in esse non consiste l’essenza della sua arte e che esse non sono state né il suo scopo, né il suo gusto e perciò non sono le ragioni della bellezza delle sue opere e del suo gusto.
Nella pittura però vi sono due parti, in cui consiste la bellezza, cioè la forma e il colore; alla forma appartiene anche il chiaroscuro. Con la forma si determinano le espressioni delle passioni umane; col colore le qualità delle cose, cioè quello che diciamo molle, duro, umido, asciutto e simili. Raffaello, per esempio, ha posseduto, in sommo grado, l’espressione, e questa è la ragione della sua bellezza: essa si trova in tutte le sue opere, nelle più belle come nelle inferiori. Benché nei suoi quadri riconosciuti migliori egli abbia osservate le regole del chiaroscuro e del colorito, tuttavia questa specie di bellezza non deriva da una meditata indagine, ma è il frutto dell’imitazione della natura. Per conseguenza nelle sue opere bisogna osservare, con quanta eccellenza egli rappresenti l’espressione. E perfetta l’espressione quando, per esempio, un uomo adirato o allegro o triste – o affetto da altri sentimenti – non possa significare altro che la propria passione e la significhi in quella forza e misura che è richiesta dal singolo soggetto, in modo che dalle figure si possa conoscere la storia e non che alla storia si ricorra per comprendere il significato delle figure.
Si considerino così le opere di Correggio: vi si troverà maggior diletto che non nelle opere di tutti gli altri maestri. Il pittore deve perciò sapere quale parte della pittura produca questo grandissimo piacere. La pittura diventa piacevole attraverso gli occhi, e gli occhi trovano nella quiete il loro diletto. Per procurare loro questa dolce quiete non v’ è parte più adatta nella pittura che il chiaroscuro e l’armonia: e questo fu il compito del Correggio.
Si osservino tutte le sue opere e in tutte si troverà questa parte. Mentre cercava la quiete degli occhi, egli trovò anche la grandezza delle forme, poiché tutto ciò che è piccolo infastidisce l’occhio più di ciò che è grande; e questa fu tutta la causa della sua bellezza.
Tiziano invece cercò la verità, ma non per la stessa strada di Raffaello. Raffaello rappresentava l’uomo intero, ma soprattutto l’anima e i sentimenti e le passioni umane; Tiziano invece cercò la verità nelle singole parti dell’uomo e delle altre cose. Perciò egli si applicò ad esprimere col colore le qualità e l’essere di tutte le cose. E vi riuscì benissimo: nelle sue opere, infatti, ogni cosa ha i colori che deve avere. La carne da lui dipinta sembra avere sangue, grasso, umori, muscoli e vene, e perciò produce quella grande apparenza della verità. Questa è dunque la parte che si deve cercare in lui e che si ritroverà sempre nelle sue opere, in quelle belle come in quelle inferiori.
Sono queste le cause degli effetti e delle bellezze di questi tre grandi artisti; e con lo stesso metodo si devono cercare anche negli altri grandi maestri le cause della loro bellezza.
Io ho tracciato il cammino di questa ricerca, quando ho detto che bisogna osservare ciò che un maestro persegue costantemente e che si trova in tutte le sue opere. In questo modo si arriva a conoscere le ragioni che lo hanno determinato e che derivano dal suo carattere e sentimento naturale.
Voglio ora mostrare come essi siano giunti a formarsi dei loro sentimenti un loro proprio gusto. Essi erano saggi ed avevano una specie di intelletto filosofico, come ho già detto: riconobbero che l’uomo non può essere perfetto in tutte le sue parti; per conseguenza ciascuno di loro scelse quella parte in cui credeva consistesse la più alta perfezione dell’arte e con cui potesse commuovere prima sé e poi gli altri e piacere a loro. Tutt’e tre avevano la medesima intenzione, cioè di piacere e di commuovere, ma nessuno può commuovere con opere materiali ove non faccia vedere le cause che lo hanno commosso. Ne segue che egli è stato commosso da una causa simile nella natura. E questo il caso di questi maestri: essi esprimevano ciò che avevano sentito; ma che ciascuno di loro si sia applicato a un compito diverso e che abbia scelto chi una parte chi un’altra, deriva dal loro naturale temperamento.
Raffaello dovette possedere un sentimento moderato e insieme uno spirito effervescente, che produceva in lui pensieri sempre espressivi e gli faceva trovar piacere in tutto ciò che è significativo. Correggio ebbe uno spirito mite e dolce che provocava la sua avversione di fronte a tutto ciò che è troppo forte ed espressivo e gli faceva scegliere soltanto il piacevole e il soave. Tiziano ebbe indubbiamente meno spirito degli altri due e, poiché i sentimenti di ciascuno corrispondono al suo temperamento, sentì perciò di più l’aspetto materiale che lo spirituale della natura: Raffaello rimane dunque sempre il più grande.
Ho detto, in principio, che il gusto consiste nel saper scegliere queste o quelle parti e nel rigettare o tralasciare quelle che non hanno le qualità necessarie: in ciò il gusto dell’arte è simile al gusto del palato; poiché come si chiama acido, dolce o amaro tutto quello che non rivela nessun altro sapore oltre il suo proprio o almeno rivela il suo in maniera predominante, così anche nell’arte v’è il dilettevole, il vero, il significativo, quando queste qualità non sono confuse tra loro, ma una di esse vi predomina e tutto l’inutile vi è stato rigettato.
Così Raffaello, nell’invenzione delle sue opere, cominciò dall’espressione in maniera che non mosse mai un membro alle sue figure ove non fosse necessario e non avesse un’espressione, anzi non diede in ogni figura e in ogni membro neppure una pennellata senza qualche motivo che servisse all’espressione principale. Dalla formazione dell’uomo sino al più piccolo movimento tutto, nelle sue opere, serve al movimento fondamentale: e poiché egli rigettò tutto ciò che non esprime nulla, le sue opere sono piene di un gusto espressivo. Se poi le opere di Raffaello non piacciono a prima vista a tutti, è perché le sue bellezze sono bellezze della ragione e non degli occhi e sono perciò sentite dalla vista soltanto dopo essere passate attraverso l’intelligenza. E poiché molti uomini hanno un intelletto molto debole, non sentono sempre le bellezze di questo pittore. Raffaello, essendosi proposto come scopo principale l’espressione, ha messo in ciascuna figura un’espressione diversa, secondo che lo esigeva la storia dei suoi quadri; e poiché egli possedeva questa espressione in tutte le parti della pittura, […] essa è diventata il suo gusto particolare. Nella stessa maniera, cioè tralasciando ciò che non era necessario al suo scopo fondamentale, Correggio ha acquistato il gusto del dilettevole e Tiziano quello della verità.
Anton Raphael Mengs, Pensieri sulla Bellezza, Abscondita, Milano, 2003
“Due cause appaiono in generale aver dato vita all’arte poetica, entrambe naturali: da una parte il fatto che l’imitare è connaturato agli uomini fin dalla puerizia (e in ciò l’uomo si differenzia dagli altri animali, nell’essere il più portato ad imitare e nel procurarsi per mezzo dell’imitazione le nozioni fondamentali), dall’altra il fatto che tutti traggono piacere dalle imitazioni” (Aristotele, dalla Poetica)
fonte: PASSIONARTE
Gli stratagemmi sempre più disperati sono tutti in gioco, e se non presti attenzione potresti semplicemente farti ingannare.
La vendita del secolo è alle porte. I poteri vogliono che ogni singola persona sia vaccinata e stanno facendo tutto il possibile per assicurarsi che accada.
Ecco i cinque modi principali in cui l'istituzione sta cercando di produrre consenso.
1. Corruzione
L'unico modo per tornare "alla normalità" è che tutti si vaccinino.
Non vuoi andare di nuovo al pub? O in palestra? O vedere la nonna? O abbracciare le persone?
Bene, prendi l'iniezione. Prendete il vaccino e tutto questo blocco e distanziamento sociale, il collasso economico e la povertà crescente, tutto andrà via.
È un ritornello comune, che contrasta con la "nuova normalità" di cui sentiamo parlare da oltre un anno.
In effetti, sembra che il "ritorno alla normalità" potrebbe venire con un qualificante asterisco. Ad esempio, il governatore di New York, Andrew Cuomo, ha affermato che i vaccini aiuteranno lo stato a "tornare alla normalità *" ...
... dove "normale" implica un "Excelsior Pass" .
Non hai bisogno che ti spieghi le complessità di questa tecnica. È semplice coercizione. "Fai come diciamo e riceverai un regalo."
Importante da ricordare: "Tornare alla normalità" è una bugia. Per quanto le persone ripetano il mantra nei commenti e nei post sui social media, gli "esperti" sono più chiari: molti hanno detto che non torneremo MAI alla normalità e altri hanno detto che dobbiamo mantenere le misure anti-Covid almeno fino al 2022 . Il "vaccino" in sé non pretende nemmeno di limitare la trasmissione, anche a coloro che sono stati vaccinati viene ancora ordinato di seguire le restrizioni.
2. Riconoscimenti da parte di celebrità
Uno degli espedienti di marketing più antichi e più utilizzati. In parte perché funziona, ma soprattutto perché è economico e facile: trova semplicemente un mucchio di strumenti e mettili al lavoro.
Il NHS non era timido su questo approccio, sostenendo che stavano progettando di arruolare "celebrità sensibili" che sono "conosciute e amate" per combattere il sentimento anti-vax.
Ad esempio, Patrick Stewart, o Elton John e Michael Caine, o anche Sua Maestà la Regina.
Importante da ricordare: le celebrità, in particolare attori e personaggi televisivi, vengono semplicemente pagate per ripetere le battute. Anche se le loro intenzioni sono corrette, non c'è motivo di presumere che qualcuno di loro abbia alcuna comprensione di ciò di cui stanno parlando. E nessuna di queste persone ha nulla da perdere se tu o una persona cara subite danni a causa dell'assunzione di un vaccino non testato.
3. "Scarsità" delle dosi
Da settimane ormai si vedono titoli di "scorte in diminuzione". .. le persone in Europa hanno un disperato bisogno di dosi o come alcuni stati hanno la priorità rispetto ad altri. E avanti e avanti e avanti .
Chiunque sia mai stato in un negozio conosce questo trucco. "Fino ad esaurimento scorte", "offerta a tempo limitato" o mille altre varianti progettate per creare l'idea che se non acquisti il prodotto X in questo momento, perderai l'occasione.
Un corollario di ciò è la falsa esclusività, un modo in cui le società di carte di credito dicono a tutti quelli che chiamano di "qualificarsi per la nostra tariffa di lancio esclusiva".
Creando l'idea che il vaccino sia difficile da trovare, creano anche l'idea che chiunque metta le mani su una dose sia fortunato, o in qualche modo un membro de facto di qualche club speciale.
Importante da ricordare: è tutta una sciocchezza totale. Non corrono il rischio di "finire" i vaccini. E anche se lo fossero, la scarsità è uno stratagemma di marketing, non un argomento.
4. Falsa "popolarità"
Non puoi sottovalutare l'idea del condizionamento di gruppo quando si tratta di marketing, uno dei trucchi più antichi è coltivare la popolarità attraverso l'idea che la popolarità esiste già. È per questo che le persone acquistano Mi piace e visualizzazioni su YouTube e i concerti vanno esauriti.
Ed è per questo che Matt Hancock avrebbe detto questo:
il 94% dei britannici ha preso un vaccino contro il coronavirus o lo farà quando gli verrà offerto.
È vero? Nessuna fonte è citata, quindi è difficile da dire. Potrebbe essere interamente inventato, molte statistiche lo sono. Anche se la cifra è tecnicamente reale, è probabile che provenga solo da un sondaggio di opinione. E, come ci ha insegnato Yes Minister, i sondaggi sono totalmente privi di significato.
Per citare (ironicamente) Peter Hitchens:
"I sondaggi d'opinione sono uno strumento per influenzare l'opinione pubblica, non uno strumento per misurarla".
Il Regno Unito segnala che 1/3 della popolazione ha già ricevuto almeno una dose di vaccino, un numero che sembra molto alto (equivale a circa 250.000 vaccinazioni al giorno da quando è stato somministrato il primo l'8 dicembre), l'accoglienza del vaccino è stato "migliore del previsto" .
Anche se questo è il caso - e lo scorso anno ha dimostrato che non c'è mai alcun motivo per fidarsi dei dati del governo - il "94%" di Hancock sembra molto improbabile che abbia alcuna relazione con la realtà, dato il numero di segnalazioni di scarsa diffusione - specialmente nelle regioni più povere, tra le minoranze etniche e i lavoratori del NHS .
Importante da ricordare: un sondaggio d'opinione non misura la realtà, la popolarità non misura la qualità ed è nell'interesse dell'establishment far sentire a tutti i dissenzienti di essere una piccola minoranza.
5. "La resistenza è inutile"
Questo è interessante. Di recente si è parlato molto dei passaporti per vaccini, e forse diventeranno una realtà, ma la stragrande maggioranza sta diffondendo l'idea che sono "inevitabili".
Ora, l'idea di inevitabilità è uno strumento potente. Puoi incoraggiarlo come un modo per preparare il terreno per un ruolo politico, certo, ma puoi anche usarlo per generare sentimenti di sconfitta nella tua opposizione e ottenere così il consenso senza forza.
Puoi vedere questo linguaggio disfattista prendere piede in alcuni scettici Covid fino ad allora convinti.
Peter Hitchens ha recentemente annunciato di essere stato vaccinato, sostenendo di essere stato sconfitto e che i passaporti per i vaccini sono inevitabili :
Ho la forte sensazione che qualsiasi tipo di viaggio, e molte altre cose, sarà impossibile se non ho il certificato di vaccinazione necessario.
Proprio oggi, Lord Sumption ha sostanzialmente ceduto sullo stesso esatto problema in un linguaggio molto simile.
Anche Desmond Swayne MP, un altro scettico di lunga data di Lockdown, ha capitolato oggi:
"Fatti vaccinare ora, perché probabilmente dovrai prima o poi" è il messaggio, e non è difficile capirne l'utilità.
Da un punto di vista puramente logistico, far pensare alle persone che ci saranno passaporti per i vaccini è molto, molto più facile (ed economico) che introdurli effettivamente.
Come ci ha detto un follower su Twitter:
Alla fine rilasceranno passaporti per i vaccini? Può essere.
Forse tutti questi trucchi falliranno e saranno costretti a usare meno carote e più bastoncini. Ma sembra ugualmente possibile che - almeno per ora - vengano fatti penzolare sulle persone per incoraggiare il disfattismo in quelli di noi che stanno resistendo, e quindi aumentare l'assunzione del vaccino.
Importante da ricordare: i passaporti per i vaccini diventeranno "inevitabili" solo una volta che la stragrande maggioranza delle persone avrà ricevuto il vaccino. Se un numero sufficiente di persone rifiuta di partecipare, il programma non funzionerà mai.
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Quindi, c'è la ripartizione di tutte le ampie categorie di marketing utilizzate per vendere questo vaccino. Ma qual è il finale di tutto questo?
Onestamente, direi non poco positivo. Perché ciò che accomuna tutte queste strategie è l'aria sempre più isterica della disperazione.
Se l'adozione del vaccino fosse davvero al 94%, non ci sarebbe bisogno di vendere il vaccino così tanto. Se stessero davvero finendo i vaccini, i giornali non farebbero pubblicità, direbbero alla gente di non farsi prendere dal panico.
Hanno cambiato idea pubblicamente diverse voci anti-lockdown degne di nota per questa campagna, queste sono carte che hanno giocato tutte in una volta. È una mossa disperata.
In breve, ci sono buone ragioni per pensare che la resistenza alla "nuova normalità" sia molto più diffusa di quanto l'establishment abbia mai immaginato.
Non metti la regina quando stai vincendo la discussione.
Kit Knightly
http://www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&sid=9294
fonte: IL VOLO