28/03/21

pittore - voce dell'Encyclopédie


Cavaliere Louis de Jaucourt

Di Paola Mangano

La voce Pittore dell’Encyclopédie, redatta dal Cavaliere Louis de Jaucourt (*), è rintracciabile nel volume dodicesimo della seconda edizione (1769), nella versione originale francese on line seguendo il link che riporto di seguito – Byterfly. alle pagine 203 e 204.
Anche se l’attenzione degli enciclopedisti era rivolta da una parte alle tecnologie e dall’altra ad argomenti filosofici, politico-religiosi e scientifici – sui quali è oggi reperibile una abbondante e qualificata saggistica – esiste un notevole numero di voci, non ancora sufficientemente studiate, che riguardano le cosiddette belle arti. 
L’arte nell’Encyclopédie, recuperando la sua originaria dimensione tecnica, diviene fenomeno pienamente legato alla sfera del lavoro e dell’utilità sociale, estrinsecabile in una molteplicità di pratiche, finalizzata all’incremento ed alla diffusione della cultura nella società.
In tutta la mole delle voci artistiche mi concentrerò su quelle che più interessano la pittura al fine di trarne qualche spunto di riflessione, lungi da me e dalle mie competenze proporre un’analisi critica autorevole.

Pittore

Artista che sa rappresentare ogni sorta di oggetti per mezzo di colori e pennello.
La fortuna di un pittore è di essere nato dotato di genio. (1) Questo genio è quel senso che eleva i pittori al di sopra di loro stessi, che permette loro di immettere l’anima nelle immagini e il movimento nelle composizioni che rappresentano. L’esperienza prova a sufficienza che non tutti nascono col genio che permette di diventare pittori. Abbiamo visto uomini di spirito, che avevano copiato parecchie volte ciò che la natura ha prodotto di più piacevole, invecchiare col pennello e la tavolozza in mano, senza elevarsi al di sopra del rango di mediocri coloristi e servili copiatori di rappresentazioni altrui. Gli spiriti più comuni sono capaci di essere pittori, ma mai grandi pittori.
Per i pittori non è sufficiente avere del genio, concepire idee nobili, immaginare le composizioni più eleganti e trovare le espressioni più patetiche: è anche necessario che la loro mano sia stata resa docile a flettersi con precisione in cento maniere diverse, per diventare capaci di tracciare con esattezza la linea che l’immaginazione richiede. Il genio ha, per così dire, le braccia legate in un artista la cui mano non sia sciolta. Quanto abbiamo detto per la mano, vale per l’occhio; bisogna che l’occhio di un pittore sia presto abituato a giudicare con un’operazione sicura e facile, al tempo stesso quale effetto debba fare una figura di una certa altezza in un gruppo e quale effetto farà un certo gruppo in un quadro, dopo che il quadro sarà dipinto. Se l’immaginazione non ha a disposizione mano e occhio capaci di assecondarla in ciò che richiede, dalle più belle idee generate da questa immaginazione non può che risultare un quadro grossolano, che lo stesso artista che lo ha dipinto rifiuterà, in quanto si renderà conto che l’opera prodotta dalla propria mano è inferiore all’opera immaginata dal suo spirito.
Lo studio necessario per perfezionare occhio e mano non si fa dedicando qualche ora distratta a un lavoro spesso interrotto. Tale studio richiede una totale attenzione e una perseveranza che si protragga per molti anni. E’ nota la massima che impedisce ai pittori di lasciar passare un intero giorno senza stendere almeno qualche pennellata; non per niente si applica questa massima a tutte le professioni, tanto la si è ritenuta saggia: nulla dies sine linea. (2)
L’unico periodo della vita che è particolarmente adatto a far acquisire perfezione all’occhio e alla mano è quel tempo in cui gli organi, sia interni sia esterni, stanno completando la loro formazione: è il periodo che va dai quindici ai trent’anni. Durante questi anni gli organi contraggono facilmente tutte le abitudini, di cui la loro intima conformazione li rende suscettibili. Ma se si perdono questi anni preziosi, se si lascia che passino via senza trarne profitto, la docilità degli organi svanisce irrimediabilmente e nessun sforzo può essere fatto per rivitalizzarla. Sebbene la lingua sia un organo molto più agile della mano, tuttavia, pronunceremo sempre male una lingua straniera imparata dopo i 30 anni.
Un pittore deve essere conscio di quale genere di pittura gli è proprio e limitarsi a questo genere. Rimane confuso tra la folla chi invece potrebbe essere elevato al rango degli illustri maestri, chi si è lasciato trascinare da una cieca imitazione, che lo ha spinto a diventare abile in quei generi di pittura per i quali non era nato e che gli hanno fatto trascurare quelli per i quali invece era adatto. Le opere che ha tentato di fare sono, se si vuole, di una classe superiore; ma non è forse meglio essere citati per essere uno dei primi ritrattisti del proprio tempo, piuttosto che un miserabile arrangiatore di figure ignobili e storpie?
I giovani pittori che aspirano al successo devono ancora guardarsi dalle passioni violente, in particolare l’impazienza, l’avventatezza, l’avversione. Quelli che si trovano in cattiva situazione economica non disperino di migliorare la propria situazione con l’applicazione; l’opulenza allontana dal lavoro e dall’esercizio della mano, la fortuna nuoce più al talento di quanto non possa essere utile; ma d’altra parte, in uno Stato i meriti, gli onori, e le ricompense sono necessari per incoraggiare lo sviluppo delle belle arti e per formarvi artisti superiori. Un pittore in Grecia era un uomo celebre non appena meritava di esserlo. Questo tipo di merito faceva di un uomo comune un personaggio e lo eguagliava a ciò che c’era di più grande e d’importante nello stato; i portici pubblici in cui i pittori esponevano i loro quadri erano i luoghi dove gli uomini più illustri della Grecia si recavano di volta in volta per esprimere il proprio giudizio. Le opere dei grandi maestri non erano allora affatto considerate come oggetti ordinari di arredamento, destinati ad abbellire gli appartamenti di un privato, ma venivano reputate i gioielli dello Stato e un vero tesoro pubblico, di cui tutti i cittadini dovevano gioire. Si paragoni dunque l’alacrità che gli artisti di un tempo avevano nel perfezionare il proprio talento con la brama che noi vediamo nei nostri contemporanei nell’ammassare ricchezze, o nel fare qualche cosa di più elevato che li agevoli ad arrivare ai grandi impieghi dello Stato.
Sebbene la reputazione di un pittore dipenda maggiormente, che non quella dei poeti, dall’approvazione degli esperti, tuttavia, questi non sono gli unici giudici del loro merito. Nessuno di loro perverrebbe, se non molto tempo dopo la morte, al meritato prestigio che gli è dovuto, se tale giudizio spettasse agli altri pittori. Fortunatamente i suoi rivali conterranei ne sono i maestri solo per un certo periodo. Il pubblico che viene illuminato rivendica a poco a poco il giudizio al proprio tribunale e rende a ciascuno quella giustizia che gli spetta. Ma in particolare un pittore, che tratta grandi soggetti, che dipinge cupole e volte di chiesa o che fa grandi quadri destinati a essere sistemati in quei luoghi ove molti uomini sono soliti riunirsi, è più conosciuto per quello che è, piuttosto che il pittore che lavora a quadri di cavalletto destinati a essere chiusi in appartamenti privati.
Ci sono inoltre luoghi, tempi e paesi in cui il merito di un pittore è riconosciuto più che altrove. Per esempio i quadri esposti a Roma saranno maggiormente apprezzati nel loro giusto valore, di quanto non lo sarebbero se fossero esposti a Londra o a Parigi. Il gusto naturale dei Romani per la pittura, le occasioni che essi hanno di gustarne, se così si può dire, i loro costumi, la loro scarsa operosità, l’occasione che loro hanno di vedere continuamente nelle chiese e nei palazzi capolavori di pittura, e può anche darsi la sensibilità dei loro organi, rendono questa nazione adatta più di ogni altra ad apprezzare il merito dei propri pittori senza l’aiuto della gente del mestiere. Infine un pittore ha conseguito una buona reputazione, quando le sue opere hanno assunto valore presso gli stranieri; non è sufficiente avere un piccolo gruppo di gente che le apprezzi, bisogna che siano comprate e ben pagate; ecco la pietra di paragone del loro valore.
Ciò che talvolta impedisce il talento dei pittori, dice al proposito Voltaire (3), e ciò che sembrerebbe spegnerlo è il gusto accademico, è lo stile che i pittori traggono da coloro che ne sono ritenuti i maggiori esponenti. Le accademie sono senza dubbio molto utili per formare gli allievi, soprattutto quando i direttori operano seguendo le norme del grand gout, ma se un direttore persegue il petit gout, se il suo stile è secco e arido, se le sue figure fanno le smorfie, se le sue espressioni sono insipide, se il suo colorito è debole, gli allievi, soggiogati dall’imitazione, o per il desidero di compiacere a un cattivo maestro, perdono completamente l’idea della belle nature. Datemi un artista che sia totalmente preoccupato di acquisire lo stile dei pittori suoi contemporanei, ne risulterà che ciò che produce sarà compassato e forzato. Datemi un uomo dallo spirito libero, pregno della belle nature che copia, ebbene quest’uomo riuscirà. Quasi tutti gli artisti sublimi sono fioriti prima dell’istituzione delle accademie, o hanno lavorato secondo un gusto diverso da quello che vigeva in quelle società; quasi nessuna opera che viene definita accademica ha ancora costituito, in alcun genere, un’opera di genio.

Il Cavaliere De Jaucourt

L’Encyclopedie, Tomo XII, pag. 203

La traduzione è tratta da Collezione dell’Enciclopedia, L’Arte e l’Architettura a cura di Cinzia Maria Sicca e Lucia Tongiorgi Tomasi, 1979 Gabriele Mazzocca Editore

La scena raffigura uno studio in cui si è cercato di riunire diversi tipi di pittura. Sullo sfondo dell’atelier si vedono due statue antiche, un globo, una squadra e alcuni libri, tutte cose utili ai pittori e che testimoniano lo studio dell’antichità, della storia, della geografia e dell’architettura.

La fig. 1. rappresenta un pittore di soggetti storici. a, Scaleo; b, bacile per lavare i pennelli o grande scatola per colori; c,macina di pietra per i colori.

La fig. 2. rappresenta un ritrattista. d, scatola dei colori.

La fig. 3. raffigura un pittore intento a eseguire una riduzione di un quadro del quale vuole fare una copia; e, quadro che gli serve a modello; f, tela sulla quale ha tracciato tanti quadrati quanti ne ha fatti su quello che si propone di ridurre (o di copiare).

La fig. 4. rappresenta un pittore di ritratti in miniatura.

Nella tavola in basso

Fig. 1. Poggiamano. 2. 3. e 4. Spatole di forme differenti. 5 e 6 Spazzolini di cui ci si serve per fondere i colori. 7. 8. e 9. Pennelli. 10. 11. e 12. Tavolozze di forme diverse

Per eccellere nell’attività di pittore occorrono doti naturali, acquisizione della tecnica e molta pratica quotidiana. Per gli enciclopedisti l’insieme di questi fattori non possono che estendere i limiti dell’arte portando l’artista tanto in alto da elevarsi da lui stesso. 
Genialità, tecnica ed esperienza quindi; tuttavia il genio non sempre sa disciplinarsi ed adeguarsi alle regole anzi Kant individua nel “Genio” quella facoltà, che hanno certi uomini privilegiati, di dare la regola all’arte offrendola come esempio da seguire. Per questo l’opera dell’artista che possiede il genio non è soltanto piacevole, ma bella e paragonabile alla bellezza naturale, perché non sottostà a regole, ma le crea. 
Il genio è un puro dono della natura, e il suo prodotto è il frutto di un momento ispirato; il gusto è il risultato di un lungo studio, poggia sulla conoscenza di una quantità di regole solidamente stabilite o supposte tali, produce opere di bellezza meramente convenzionale. Le regole e le leggi del gusto sono di ostacolo per il genio. 
Un’apparente contraddizione pervade questo scritto. Da una parte il genio deve imparare la tecnica e quindi sottostare a regole ben precise di studio e dall’altra non ne deve tener conto perché sarà lui stesso a crearne di nuove. Ma quello che in fondo si vuol dire è che in un mondo ideale l’artista dotato di genio saprà appropriarsi di tecniche e metodi per farne un uso proprio, come e dove non ha importanza. Tuttavia, credo che con il passare del tempo questo concetto di genio si sia trasformato in un escamotage per giustificare qualsivoglia realizzazione pseudo-artistica.
Si chiede in questo scritto al giovane pittore dal guardarsi dalle passioni violente che possono nuocere al talento così come l’ambizione alla fama e alla ricchezza; eppur, che io ricordi, sono più numerosi gli artisti tormentati che quelli di pacato spirito e diventare famoso e ricco pare sia l’aspirazione di ogni individuo di quella e di questa contemporaneità. 
Jaucourt riprende in questo articolo pressoché alla lettera uno scritto volterriano del 1752 (nota n. 3), argomentazioni molto prossime a quelle sostenute nella voce Talent delle Pensées da Rousseau, sempre pronto a rifiutare ogni genuflessione nei confronti del potere istituzionale a tutto vantaggio della natura: “Tante istituzioni in favore delle arti non fanno che nuocere loro. Moltiplicando impudentemente i soggetti si confondono; il vero merito resta soffocato nella folla, e gli onori dovuti al più abile sono tutti per il più intrigante.” J.-J. Rousseau, Les pensees de J.J. Rousseau, citoyen de Geneve. Si esprime qui un concetto prettamente illuminista contro la tradizionale pittura accademica, conservatrice e di maniera, dove non c’è contatto tra l’artista e la realtà. Si radicalizza quindi lo scontro tra il mondo accademico e lo stato moderno nascente, caratteristica non secondaria dell’intera iniziativa editoriale dell’Encyclopédie – le cui vicende travagliate sono un rilevante sintomo della difficoltà di transizione fra “vecchio” e “nuovo” sapere. 

Note:
*) Cavaliere Louis de Jaucourt (Paris, Sept 27, 1704;  Compiègne, Feb 3, 1779), fu il più prolifico tra gli oltre 130 collaboratori dell’Encyclopédie. Ha studiato teologia a Ginevra, scienze esatte e naturali a Cambridge, medicina a Leida, dove ha incontrato Tronchin. Tornato a Parigi nel 1736, visse in una società mondana e filosofica. Figura pressoché sconosciuta sebbene centrale per l’Encyclopédie contribuendo con ben 17.000 articoli. Fu lui a coordinare la redazione degli ultimi volumi e scrisse per loro più della metà degli articoli, in un momento in cui D’Alembert aveva lasciato l’avventura e quando Diderot, notevolmente occupato sul lavoro delle tavole, aveva grande bisogno del suo sostegno.
1) Il concetto di genio è presente nelle voci artistiche dell’Encyclopedie con il significato di elemento vivificatore dell’imitazione della bella natura che tuttavia non può prescindere da norme interne che lo disciplinano. Ad esso è strettamente connesso il gusto.
2) La locuzione latina “Nulla dies sine linea”, tradotta letteralmente, significa nessun giorno senza una linea. (Plinio il Vecchio, Storia Nat., 35). La frase è riferita al celebre pittore Apelle, che non lasciava passar giorno senza tratteggiare col pennello qualche linea. Nel significato comune vuole sottolineare la necessità dell’esercizio quotidiano per raggiungere la perfezione e per progredire nel bene.
3) Voltaire nel Catalogue de la plus parts des ecrivains francais, cit., dice “Alle volte i talenti dei pittori sono costretti proprio da ciò che apparentemente dovrebbero svilupparli: il gusto accademico e la maniera che i pittori seguono secondo il gusto di coloro che presiedono alle accademie. Le accademie sono indubbiamente utili per formare il gusto degli allievi, soprattutto quando i loro direttori lavorano secondo il buon gusto. Ma se il maestro ha poco gusto, se la sua maniera è arida o leziosa, se le sue figure sono scorrette, se i suoi quadri sono dipinti come ventagli, gli allievi, soggiogati dall’imitazione o dalla voglia di piacere a un cattivo maestro, perdono completamente l’idea della bella natura. Sulle accademie pesa una fatalità: non si è mai vista un’opera, detta accademica, in nessun genere, che sia un’opera di genio. Se un artista è troppo preso dal timore di non impadronirsi della maniera dei suoi confratelli, le sue produzioni saranno compassate e forzate, ma se un uomo è di spirito intraprendente, pieno della natura che imita, riuscirà. Quasi tutti gli artisti sublimi, o sono fioriti prima delle fondazioni delle accademie o hanno lavorato secondo un gusto diverso da quello che regnava in quella società.”

 PITTURA - STORIA DELLE BELLE ARTI DA L'ENCYCLOPEDIE

 fonte: PASSIONARTE

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