24/03/16

la nostra terra vale più del denaro

E’ evidente a chiunque abbia occhi per vedere che il massimo problema del nostro tempo è la perdita di sovranità. Dei popoli, delle nazioni, degli stati, persino dei singoli, schiacciati dall’immenso meccanismo di costruzione del consenso e di coazione al consumo. Banche, l'Unione Europea, istituzioni finanziarie, organizzazioni transnazionali, multinazionali ci hanno strappato tutte le sovranità: quella politica, quella monetaria, militare, quella culturale e territoriale. Un’altra gravissima espropriazione di sovranità è stata realizzata negli ultimi decenni, con moto accelerato nel nuovo millennio.

Si tratta della sovranità alimentare dell’Italia, minacciata da una lunga serie di fattori il cui filo rosso è sempre il solito: la globalizzazione e l’imperio dei giganti multinazionali. Che un popolo debba avere di che nutrirsi è talmente evidente che non servono motivazioni, ma altrettanto indispensabile è che i beni primari - quelli alimentari e l’acqua - siano prodotti localmente, di qualità, con garanzia di salubrità, a prezzi accettabili, e distribuiti in maniera diffusa. Non è più così, ed il danno è drammatico. Siamo passati dal 92 per cento di autosufficienza alimentare del 2000 a meno del 75 per cento, ed il dato più grave è che la proprietà di fondi, terreni, allevamenti, marchi, reti distributive è sempre più concentrata in mani straniere.

Aggiungiamo la vergogna della progressiva privatizzazione dell’acqua e la minaccia del TTIP, Trattato Transatlantico, che devasterà in primis il mondo agricolo e l’industria di trasformazione, con ulteriore abbandono delle campagne, chiusura di decine di migliaia di imprese, rischi pesantissimi per la salute, invasione di organismi e sementi geneticamente modificati, pesticidi carissimi coperti da brevetti, distruzione di tipicità produttive, perdita di identità e cultura materiale.

Per questo, il pericolo va denunciato per recuperare e difendere la sovranità alimentare, da affrontare come emergenza nazionale. La sovranità alimentare implica il controllo necessario ad un popolo nell’ambito della produzione e del consumo degli alimenti. Le nazioni devono poter definire una propria politica agricola ed alimentare in base alle proprie necessità. L’Italia ha perso dagli anni Settanta cinque milioni di ettari coltivabili a causa dell’abbandono delle terre, del dissesto idrogeologico e della cementificazione. Intere aree dell’Italia sono da anni in via di spopolamento con i giovani in fuga verso le città e l’estero.La superficie agricola utilizzata è diminuita del 30 per cento nello stesso periodo.


L’Italia è il terzo Paese in Europa e il quinto nel mondo per deficit di suolo. Per coprire il nostro fabbisogno alimentare mancano 61 milioni di ettari. Ogni giorno sono impermeabilizzati 100 ettari di terreno, 10 metri quadri al secondo.

Si privilegiano le Grandi Opere che di grande hanno solo le tangenti anziché avviare un piano di lungo termine per mettere fine al dissesto idrogeologico ed alla bonifica dei terreni avvelenati da scorie di ogni tipo. Una terra dei fuochi non certo limitata alla Campania. L’embargo alla Russia ha avuto un effetto devastante sull’esportazione di prodotti alimentari, e la perdita, nel solo settore agricolo, è stimata attorno ai 300 milioni a tutto il 2015.

La sovranità alimentare si può definire come il diritto di tutti i popoli, nelle forme politiche concrete che ciascuno sceglie di darsi, di decidere il proprio modello di produzione, distribuzione e consumo degli alimenti. Un diritto che non nega gli scambi e le relazioni internazionali ma li definisce in un quadro di equità, distante dalle logiche di profitto immediato dell’industria agroalimentare e chimica globalizzata.

Deve tornare ad essere vera quella splendida intuizione di Cicerone:“Piantare alberi per un’altra generazione”. Quale multinazionale accetterebbe infatti di “sprecare” terreni, ad esempio, per gli oliveti, che i padri hanno sempre piantato per i loro figli?

Anche una parte assai rilevante della grande distribuzione – pensiamo a gruppi come Carrefour o Leclerc, è controllata da gruppi esteri, interessati a vendere prodotti a basso costo ed alto profitto provenienti dal mercato globale, espellendo dal mercato i nostri agricoltori.

Una filiera distrutta in nome del solito mercatismo, in nome del quale importiamo limoni, mele, pere e pomodori dal Sudamerica, che percorrono 18.000 chilometri prima di giungere in tavola. Il mare si inquina, si dragano golfi per costruire fondali sufficienti all’attracco di navi sempre più gigantesche, si trivellano pozzi di petrolio per riempirne i serbatoi, si contrattano febbrilmente noli, sempre più bassi per la crisi, per portarci prodotti che produciamo da secoli o millenni in grande quantità e di qualità migliore.

Nei decenni passati, la PAC (Politica Agricola Comune) europea ha costretto a vergognose distruzioni di agrumi, frutta e verdura di alta qualità, ed è questo un peccato che grida vendetta, con i tanti italiani poveri e le centinaia di milioni di affamati.

Vicende come quelle di Parmalat e Cirio sono ancora nella memoria di molti. Di seguito, citiamo un elenco, incompleto e parziale, di marchi, industrie, produzioni sparite o in mano a gruppi stranieri.

La Unilever, multinazionale anglo-olandese, è attualmente la quarta azienda del largo consumo in Italia con un giro d’affari di poco inferiore ai 2 miliardi. Possiede, tra l’altro, Algida, Sorbetteria Ranieri, Riso Flora, Bertolli e l’azienda di confetture Santa Rosa. La seconda multinazionale alimentare al mondo, la Kraft è proprietaria di diverse realtà italiane del settore lattiero-caseario: Fattorie Osella, Invernizzi, rivenduto nel 2003 alla francese Lactalis. Sono sue Negroni, Simmenthal, Gruppo Fini, Splendid, Saiwa.

Nestlé, gigante svizzero dalla fama sinistra, è proprietario di Perugina, Vismara, Sasso, Pezzullo, Berni, Italgel, Motta, Valle degli Orti, Surgela, la Cremeria, Maxicono, Marefresco, Nel settore bevande, sono targate Nestlé: San Pellegrino ed i marchi Levissima, Panna, Recoaro, Pejo, San Bernardo. Francesi sono Bsn-Gervais-Danone e Lactalis con un numero enorme di marchi italiani, tra cui Galbani e Agnesi, il più antico pastificio d’Italia, che chiuderà, dopo un’agonia di anni alla fine del corrente anno.

La Sperlari, con Saila, Dietorelle, Dietor e Galatine, è controllata dall’olandese Leaf International BV, azienda leader del mercato dolciario. Il Riso Scotti è spagnolo ed il vino Chianti è ormai largamente in mani straniere, con il suo prezioso, irripetibile terroir ed il paesaggio frutto della sapienza di generazioni. La Birra Peroni, con Nastro Azzurro, è entrata a far parte del colosso sudafricano SABMiller , tra i più grandi produttori di birra al mondo. La Star, quella del doppio brodo e di marchi come Pummarò, Sogni d’Oro, Gran Ragù Star, Orzo Bimbo, Riso Chef, Mellin è stata acquisita dal gruppo Agrolimen.

La Norcineria Fiorucci è stata ceduta al gruppo spagnolo CampofrioFood, il vino Ruffino (Chianti ed altro) ha venduto le proprie quote all’americana Constellation Brands; il controllo del gruppo Gancia, storico marchio vinicolo dell’antica famiglia nobiliare piemontese di quel nome, è passato nelle mani della multinazionale russa Russian Standard Corporation. L’elenco potrebbe continuare a lungo, purtroppo.

E’ la globalizzazione, bellezza!

Occorre lottare, destare coscienze, comprare testardamente le nostre cose, alimentare i mercatini tipici, gli acquisti collettivi, il cosiddetto km Zero, sostenere qualsiasi iniziativa concreta a favore della nostra agricoltura. E’ una battaglia per noi stessi, ideale, nazionale e popolare. Se è vero, come sosteneva Feuerbach, che l’uomo è ciò che mangia, siamo in pericolo: sovranità alimentare è vita.

“Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato, ci accorgeremo che non si potrà mangiare il denaro. La nostra terra vale più del denaro.” Questo disse agli invasori yankees il capo indiano Piede di Corvo.



fonte: freeondarevolution.blogspot.it

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