di Gianni Lannes
Una notte di plenilunio è l’unica circostanza che si offre per cogliere il remoto eco di suoni e richiami sommersi. E’ l’ultima voce leggendaria della città di Uria che giace in fondo alla laguna di Varano. E se all’alba la trasparenza delle acque aiuta, è possibile scorgere navigando su un arcaico sandalo, i resti delle mura dell’antica città daunia, sprofondata in epoca imprecisata a causa di un violento maremoto.
Così il racconto favoloso dei vecchi pescatori lagunari, quei rari cagnanesi che ancora indossano la grezza lana di maglia tinta, come le reti del mestiere, dipinte con la corteccia del pino d’Aleppo e che scendono al lago costiero più grande d’Italia, per l’antico tratturo che si dirama dalle murge di San Giovanni.
Lago di Varano - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati) |
Ma se la magia della leggenda ha smarrito il suo vigore nel disincantato scetticismo del nostro tempo, il binomio Uria-Varano permane tuttavia profondamente radicato nella tradizione dei borghi che si affacciano sulla laguna. A Cagnano, Carpino, Ischitella e Rodi il respiro di Uria trapela ovunque, nonostante gli errori e le imprecisioni topografiche degli storici contemporanei che, complice Venus Sosandra il cui culto era praticato ad Uria, hanno erroneamente individuato l’ubicazione della città fantasma addirittura nel territorio di Vieste.
In realtà, in età repubblicana punto di riferimento per tutto il Gargano settentrionale fu Uria che batteva e coniava la sua moneta e commerciava con l’Oriente, largamente citata dalle fonti storiche, e localizzata con sicurezza in quello che una volta era un ampio golfo di mare. La menzionano, nella descrizione della Daunia, alcuni autori antichi come Strabone, Tolomeo, Pomponio Mela, Plinio il Vecchio, Dionigi il Periegeta.
Il variegato paesaggio da sogno rischiarato da sorgenti d’acqua naturale che sgorgano tra insenature cui fanno da corona alte falesie di candido calcare, ammantate di ulivi e di arazzi intessuti di ginestre, euforbie, iris, asfodeli e orchidee spontanee, fa da cornice incomparabile ad un intreccio di quadri storici che affondano le radici in tempi assai più remoti della perduta Uria. Tutta la trapezoidale costa del lago, infatti, è segnata dal ricordo incastonato nella pietra delle culture di antiche società umane che da esso traevano gli elementi essenziali per la vita.
Qui sono condensati archi cronologici del farsi dell’umanità della durata di migliaia di anni. Strumenti del Paleolitico Inferiore, risalenti a circa un milione di anni fa, sono stati rinvenuti nella Vadivina; lungo le sponde o in zone poco arretrate da esse affiorano tracce del Paleolitico Medio (Musteriano della località Irchio); tracce del Paleolitico Superiore nella grotta dell’Angelo e tracce sparse del neolitico che segna la rivoluzione della cultura umana con il passaggio da un’economia vagante di predazione ad una più stabile economia agricola di allevamento.
E ancora tracce di gente dell’Eneolitico (grotta Pippola nell'agro di Ischitella), uomini- guerrieri-pastori provenienti dall’Illiria, dall’Anatolia, dall’Egeo; e tracce numerosissime, disposte quasi a semicerchio lungo le sponde meridionali della laguna dei vari periodi dell’Età del Bronzo i cui caratteristici siti difesi da possenti aggeri di pietre, sono arroccati sulle alture che cadono a picco sulle acque di quello che un tempo era ancora un seno di mare.
Le impronte emergono a tratti anche dai periodi protostorici e storici: la necropoli di Bagni di Varano del VII-VI secolo a.C. ormai cancellata dalle cave di tufo; resti di opere viarie e fattorie di epoca romana alla foce di Capojale, al Crocifisso di Varano e in località Avicenna nella piana di Cagnano-Carpino; grotte scavate nella tenera calcarenite con segni di frequentazione dei primi cristiani; e sepolture longobarde del VII-VIII secolo d.C.
Con il X-XII secolo, il lago fa il suo ingresso negli onori delle chartulae legate agli infiniti conflitti tra abbazie e feudi per il diritto di pesca, liti che avranno durata di secoli. La memoria di quel tempo è racchiusa nei resti, ancora esistenti tra le rovine dell’ex idroscalo della marina militare Ivo Monti (risalente alla prima guerra mondiale e in stato di abbandono e degrado), dell’antica abbazia di San Giovanni, poi dedicata a San Nicola, ed in quelli del Castrum Bayranum situato nella zona del Crocifisso di Varano, da cui il lago prenderà il nome. E la condizione di precarietà sui diritti di pesca da parte delle popolazioni rivierasche, che una riottosa feudalità procurava di mantenere sempre viva, si trascinerà fino ai nostri giorni. E’ solo nel 1947, infatti, la Corte di Cassazione dichiarerà il lago Varano “acqua pubblica”.
Ancora oggi il nome in lingua garganica usato per designare il lago è quello di pantein’, ossia palude. Sono stati i fiumi dell'Abruzzo e del Molise nonché il Fortore, a formare nel corso di millenni, l'istmo di sabbia che che ha chiuso il golfo di mare e ha dato vita al lago. Negli anni ’70 era possibile ammirare le gigantesche dune di sabbia, denominate in loco molfe, dove in seguito è stato realizzato abusivamente il villaggio turistico di lido del sole, che vanta ventimila cubi cementizi a ridosso della battigia. E così in un sol colpo, grazie a politicanti (ras democristiani e socialisti) si è detto addio alla storia, alla geografia e pure all’archeologia, annientando per sempre delle straordinarie ricchezze naturali, patrimonio dell'umanità.
riferimenti:
saggistica:
riferimenti:
Strabone, "Ante hunc sinum est promontorium Garganum... quod si circumflexeris oppidum invenies Urium" (Geographica, l. VI, 3, 9);
Tolomeo, "Salapia, Sipontum, Apeneste, Garganum mons et - iuxta sinum Adriaticum - Hyrium" (Geografia, l. III, I, 17);
Pomponio Mela, "Dauni autem Tifernum, Celternium, Larinum, Teanum, denique montem Garganum. Sinus est continuo apulo litore incintus nomine Urias, modicus spatio, pleroque asper accessu. Extra Sipontum" (De situ orbis, l. II, c. IV);
Plino il Vecchio, "Hinc Apulia Dauniorum ... in qua oppidum Salapia ..., Sipontum, Uria, amnis Cervalus, Dauniorum finis" (Naturalis historia, l. III, c. II);
Dionigi il Periegeta, "Gentes Iapigum extentae sunt usque ad Hyrium maritimum" (Orbis Terrae Descriptio, V, 379).
Francescantonio De Donato, Cenno storico intorno l'antica città di Uria Marittima nel Gargano, ora lago e campagna di Varano d'Ischitella, Napoli 1886;
Giuseppe Del Viscio, Uria: studio storico-linguistico-archeologico, Bari 1921;
Eugenio Cipriani, Uria garganica: origine, ubicazione, vicende e scomparsa, in "Archivio storico pugliese", VI (1955), pp. 263-292;
Angelo Russi, Uria Garganica e una nuova iscrizione funeraria, in Terza miscellanea greca e romana, Roma 1971, pp. 211-223;
Angelo Russi, Nuove ricerche storiche ed epigrafiche su Uria Garganica, in "Ricerche e studi", X (1977), pp. 151-168;
Vittorio Russi, Uria garganica: note di topografia antica e medievale, in "Cenacolo", XI-XII, 1981-1982, pp. 52-62;
Uria Garganica e la grotta di Venere sull'isolotto del faro di Vieste, atti del convegno internazionale di studi (Vieste, 17-18 ottobre 1987), Vieste 1998.
fonte: sulatestagiannilannes.blogspot.it
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