Lasciata l’auto, nel piccolo parcheggio dell’abitato, ci troviamo di fronte ad una prima scelta: salire seguendo i tornanti della strada sterrata di servizio che porta al rifugio Maria Luisa oppure prendere i piccoli sentieri che salgono, in modo sicuramente più deciso, verso il nostro obiettivo tagliando ed intersecando la carrabile prima descritta.
Qualunque strada si scelga bisogna salire!
E’ il 1923, novembre.
Gli operai lavorano alla costruzione del muraglione della diga che andrà a chiudere e sollevare le acque del lago Castel in alta valle Formazza.
Il cielo è limpido, solo poche nubi si affacciano, timide, dalle maestose creste della catena del Basodino.
Un suono, portato dal vento, si diffonde nella piana: è la campana della baracca adibita a mensa.
Tutti i lavoranti si fermano, si raddrizzano e si dirigono in silenzio verso i tavolacci del casolare, per un’ora di pausa in quella giornata di normale fatica.
A vederli, dall’uscio della baracca, sembrano tante piccole formiche che costeggiano il lago senza differenze tra umili operai, pensierosi capisquadra e preoccupati costruttori.
Dopo una sola ora di riposo tutti tornano alle proprie mansioni.
Bisogna correre poiché la costruzione è in ritardo ed i problemi da affrontare, e risolvere, sono molti.
Non c’è scampo per nessuno, tutti devono portare il proprio contributo alla modernità.
Il pomeriggio dura poco, il sole tramonta presto e la temperatura diventa rigida.
I lavoratori finiscono le loro mansioni senza immaginare che sarà l’ultima volta.
Il muraglione è quasi ultimato ma, nel corso del tempo, è emerso un problema: il terreno sottostante è di natura calcarea.
I costruttori pregano, di giorno e di notte, che sia in grado di reggere l’enorme peso della diga, senza pensare alle possibili conseguenze di un cedimento strutturale.
Un'altro problema che si è verificato è relativo alla scarsa possibilità di sollevare le acque del lago, per un corretto utilizzo dell’invaso.
Ma la diga deve esistere, e deve essere anche bella.
Le baracche accolgono le maestranze con il loro gelo e la luce fioca delle candele.
Si ride e si scherza pensando di passare un altro inverno su queste montagne, lontani dagli affetti e dal calore delle proprie case.
La notte incombe.
La diga non ha retto.
I lavoratori escono di corsa dalle baracche capendo, immediatamente, quello che sta succedendo.
Cercano riparo sulle alture circostanti l’invaso.
Alcuni, per sfuggire alle acque impetuose, si arrampicano sui ripidi pendii del Kastelhorn, con mezzi di fortuna ed al buio della notte novembrina.
Per loro fortuna nessuno perirà.
Le acque, liberatesi dalla prigione costruita dall’uomo, corrono veloci verso valle distruggendo tutto quello che trovano sul percorso.
In pochi minuti la piana sottostante di Riale è invasa: il bestiame non ha scampo.
Molte persone, per loro fortuna, si salvano, in quanto le acque, ma soprattutto i detriti, hanno risparmiato le costruzioni e si sono incanalate nello stretto corridoio che porta alle cascate del Toce, dove finiscono la loro folle corsa.
Alle prime luci del mattino la vista del paesaggio è desolante: i pascoli sono spariti, sostituiti per sempre da terra e pietre.
La valle ha cambiato aspetto, imbruttita e rovinata dalla stupidità e dall’arroganza umana.
Fabio Casalini
fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/
Bibliografia
Umberto De Petri - Cronache di Formazza dal 1867 al 1963
Il Popolo dell'Ossola del 23/11/1923 - Rottura della diga del lago Castel
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