grandissima Emma Dante.
dopo la deusione (ma non cocente, niente di grave) del suo film di due anni fa, Via Castellana Bandiera, mi sono ritrovata felice e contenta al Piccolo Teatro Grassi a vedere questo gioiellino teatrale.
poco più di un'ora di spettacolo ma così intenso, così speciale, così genialmente narrativo, così schietto ed emozionante da non credersi.
la condensazione mi sembra un elemento fondamentale del lavoro teatrale della Dante, dove la narrazione non si sofferma su lunghi interminabili dettagli di parola (ieri sera ho visto Morte di un commesso viaggiatore all'Elfo Puccini e avrei voluto sparare a qualcuno tanto la parola veniva esasperata ripetuta ossessivizzata, e quindi annullata, fino alla noia se non alla rabbia in tre ore e mezza di spettacolo) ma trova soluzioni inedite e francamente geniali per arrivare al cuore della storia, e al cuore dello spettatore.
si inizia con un funerale e si finisce con lo stesso. la sorella maggiore è morta e celebra la sua non vita (come inconsapevole di essere morta) celebrando il sogno della sua vita, la danza.
e qui è dura non tremare, è dura non cedere a un senso di perdita, alla perdita, più che della vita, del sogno.
e tutta la storia vede la terra del sud, l'accento della lingua di Sicilia ma non solo, fare da padrona sul senso della vita, il suo ritmo, le sue cadenza, i suoi riti. è un omaggio maestoso alla terra di origine, alla madre terra, alla Grande Madre. le sorelle sono corpi di sorellanza e si mostrano, si trasformano, si amano e si odiano, anche si uccidono. tutto è segno, tutto è simbolo, anche il mare, tanto agognato e alla fine concesso, grande culla della vita, e luogo di morte.
eccola la vita segnata dalle mancanze, mancanza di madre, mancanza di padre, mancanza di riconoscimento che poi trabocca di un pieno, pieno di baldanza, di chiasso, di unione, di complicità.
spettacolo indimenticabile, tra ironia e leggerezza, tra tragedia e cordoglio, pettegolezzo fatuo e ferocia della parola, amore soffocante e vuoto di senso, ovvero la famiglia, la vita, e il suo opposto, la disgregazione.
sembra impossibile, eppure è tutto lì, nel linguaggio della Dante, in un'ora o poco più.
si inizia con un funerale e si finisce con lo stesso. la sorella maggiore è morta e celebra la sua non vita (come inconsapevole di essere morta) celebrando il sogno della sua vita, la danza.
e qui è dura non tremare, è dura non cedere a un senso di perdita, alla perdita, più che della vita, del sogno.
e tutta la storia vede la terra del sud, l'accento della lingua di Sicilia ma non solo, fare da padrona sul senso della vita, il suo ritmo, le sue cadenza, i suoi riti. è un omaggio maestoso alla terra di origine, alla madre terra, alla Grande Madre. le sorelle sono corpi di sorellanza e si mostrano, si trasformano, si amano e si odiano, anche si uccidono. tutto è segno, tutto è simbolo, anche il mare, tanto agognato e alla fine concesso, grande culla della vita, e luogo di morte.
eccola la vita segnata dalle mancanze, mancanza di madre, mancanza di padre, mancanza di riconoscimento che poi trabocca di un pieno, pieno di baldanza, di chiasso, di unione, di complicità.
spettacolo indimenticabile, tra ironia e leggerezza, tra tragedia e cordoglio, pettegolezzo fatuo e ferocia della parola, amore soffocante e vuoto di senso, ovvero la famiglia, la vita, e il suo opposto, la disgregazione.
sembra impossibile, eppure è tutto lì, nel linguaggio della Dante, in un'ora o poco più.
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