18/12/17

l'Ordine del Giorno Grandi non provocò la caduta di Mussolini

il complotto dei generali, l’ambasciata di Filippo d’Assia, l’incontro con il re a Villa Savoia. 





Alle 3,55 del 25 luglio 1943, Mussolini esce sconfitto dalla riunione del Gran Consiglio del fascismo. Prende congedo e chiede al segretario del Partito di accompagnarlo, in auto, a Villa Torniola. Alle otto dello stesso mattino Mussolini è già in piena attività. Contemporaneamente, a Villa Savoia, residenza privata della famiglia reale, Vittorio Emanuele III apprende dal colonnello Tito Torella di Romagnano, suo secondo aiutante di campo, di un possibile colpo di stato. Romagnano racconta che nelle primissime ore del mattino il generale Angelo Cerica, comandante in capo dell’Arma, lo aveva invitato a recarsi al comando di viale Liegi per una urgentissima comunicazione. In un incontro teso e drammatico, Cerica aveva messo al corrente Romagnano di un sorprendente colloquio avuto la sera prima con il capo di Stato Maggiore Generale, Vittorio Ambrosio: ‘Ieri sera- racconta Cerica- sono stato chiamato a Palazzo Vidoni dal generale Ambrosio. Dopo aver accennato alla riunione del Gran Consiglio e alle sue possibili conseguenze, Ambrosio mi ha detto: Posdomani Mussolini andrà dal re, al Quirinale, per la solita udienza. Quando starà per uscire, tu devi farlo scomparire. Hai capito? Devi farlo scomparire com’è scomparso Matteotti, Mussolini va spedito senza lasciar traccia, in modo che il re non dovrà mai sapere nulla dell’accaduto’. Vittorio Emanule III apprende così il piano dei suoi generali di rapire e assassinare Mussolini. E, si infuria.
Chi sono i capi militari che hanno ordito il piano? Tra i cospiratori c’è il generale Castellano, primo aiutante di Ambrosio, il più giovane generale dell’esercito. Ma il cervello della congiura è il generale Giacomo Carboni, che dopo l’8 settembre sarà accusato della mancata difesa di Roma dai tedeschi. Nato a Reggio Emilia il 29 aprile 1889 da una famiglia di origine sarda, il padre Giovanni Maria convinto mazziniano era stato ufficiale nelle guerre di indipendenza. La madre era di origine anglo-americana. Carboni incontrò Mussolini nel 1912 a Milano, mentre era comandante di plotone al 5° alpini. Partecipò alla guerra italo-turca come volontario facendosi promuovere tenente per meriti di guerra nel 1913. Divenuto capitano degli alpini, nel corso della prima guerra mondiale è sul fronte dolomitico come addetto al comando nella 2ª divisione di fanteria, sarà decorato al valor militare. Dopo il conflitto tra il 1936 e il 1937 comanda l'81º Reggimento fanteria "Torino", e svolge una serie di operazioni speciali in Etiopia che lo avvicinarono al SIM (Servizio informazioni militare). Nel 1937 è promosso generale di brigata e nominato vicecomandante della 22ª Divisione fanteria "Cacciatori delle Alpi". Lo si ricorda soprattutto per aver diretto il SIM nel periodo della cosiddetta “non belligeranza”, fino alla drammatica estate del 1943. Fu il regista che aprì e chiuse l’esperienza bellica italiana al fianco dei tedeschi. Su posizioni antitedesche, nei mesi precedenti la dichiarazione di guerra mantenne per conto di Galeazzo Ciano e Pietro Badoglio relazioni con gli addetti militari di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, e redasse rapporti pessimistici sulle capacità militari italiana e germanica. Come scrive  Solange Manfredi nel suo libro Psyops, Carboni era assai vicino a Giuseppe Cambareri spia-mago-esoterista al servizio degli Alleati. Proprio a Carboni, il Cambareri offrì la sua casa e la sua organizzazione come sede del quartier generale impegnato nella difesa di Roma dopo l’armistizio del 1943.  Carboni era un conoscitore attento della realtà americana, e in dichiarazioni e scritti si vanterà più volte di essere stato il primo, tra gli esponenti della fronda militare, a proporre al generale Ambrosio l’adozione di misure energiche contro il Duce. Carboni, come detto più sopra, ebbe un ruolo essenziale negli avvenimenti che seguirono la caduta di Mussolini. Il 18 agosto 1943 fu nominato da Badoglio commissario del SIM, carica che mantenne sino alla capitolazione delle forze armate italiane. Entrò a far parte del Consiglio della Corona, presieduto dal sovrano, cui erano deputate le decisioni politiche più importanti, assieme a Badoglio, il Capo di Stato Maggiore generale Ambrosio e il Capo di Stato Maggiore dell'esercito Mario Roatta. Carboni fu posto da Ambrosio al comando del Corpo d'Armata Motocorazzato a difesa di Roma. Il 1º settembre 1943, in una riunione "allargata" del Consiglio della Corona, presente in rappresentanza del re il Ministro della Real Casa Pietro d'Acquarone, fu ascoltato il generale Castellano di ritorno dalla Sicilia dove aveva contattato i plenipotenziari degli Stati Uniti per trattare la resa dell'Italia. Fu proposto l’armistizio corto, nonostante le obiezioni di Carboni, armistizio che sarà sottoscritto due giorni dopo, il 3 settembre a Cassibile. Il 7 settembre 1943, Carboni ricevette due ufficiali americani Maxwell Taylor e William Gardiner che gli comunicarono ufficialmente che l'indomani, alle 18.30, doveva essere resa nota l'avvenuta sottoscrizione dell'armistizio e nel frattempo si dovevano concordare i particolari dell'Operazione Giant 2 per la difesa di Roma. Carboni sostenne che lo schieramento italiano non avrebbe potuto resistere più di sei ore alle truppe tedesche. Per decidere su come agire al meglio Carboni e i due ufficiali americani si recarono da Badoglio, e Carboni riuscì a convincere il maresciallo della giustezza della sua posizione. Badoglio richiese dunque l'annullamento dell'Operazione Giant 2 al generale Eisenhower, che però, irritato dal tira e molla italiano, dalle onde di Radio Algeri rese nota la stipula dell'armistizio tra l'Italia e le forze alleate all'ora prevista. Alle 18.45 dell'8 settembre 1943, si tenne una concitata riunione del Consiglio della Corona, dove, nonostante la contrarietà del generale Carboni, i presenti decisero di accettare lo stato di fatto e il Capo del governo fu incaricato di comunicare alla nazione la conclusione della resa. L'annuncio del Maresciallo Badoglio avvenne un'ora dopo, dai microfoni dell'EIAR. Alle ore 5.15 del 9 settembre, a battaglia in corso e all'insaputa del suo superiore Vittorio Ambrosio, il generale Mario Roatta impartì al generale Carboni l'ordine di spostare su Tivoli parte del Corpo d'Armata Motocorazzato posto a difesa di Roma (135ª Divisione corazzata "Ariete II" e 10ª Divisione fanteria "Piave") e di disporvi una linea di fronte escludente la difesa della Capitale. Roatta informò inoltre Carboni che a Tivoli avrebbe ricevuto ulteriori ordini dallo Stato Maggiore che si sarebbe provvisoriamente insediato a Carsoli. Più tardi pervenne a Carboni il formale ordine scritto con il quale lo si nominava anche comandante di tutte le truppe dislocate in Roma. Nel frattempo Vittorio Emanuele III e la sua famiglia, il Maresciallo Badoglio, i capi di Stato maggiore Ambrosio e Roatta e i ministri militari erano già in fuga, alla volta di Brindisi. Poco dopo le ore 7.30, indossati abiti civili e presa con sé la cassa del servizio, Carboni si recò con auto diplomatica a Tivoli per organizzare il nuovo schieramento di truppe e ricevere ulteriori ordini. Non riuscendo a rintracciare Roatta proseguì sino ad Arsoli dove apprese che la colonna dei sovrani e del Maresciallo Badoglio era ormai lontana. Rimase alcune ore ospite del produttore Carlo Ponti, sino a quando il suo aiutante di campo non gli comunicò che l'ordine di Roatta delle ore 5.15 era stato confermato e, pertanto, provvide a riportarsi a Tivoli, dove insediò il suo comando. Nel frattempo, a Roma, in virtù del grado gerarchicamente più elevato, il Maresciallo Enrico Caviglia stava procedendo a contattare i tedeschi per la cessazione del fuoco. Alle ore 14.00, a Tivoli, Carboni incontrò il colonnello Giuseppe di Montezemolo, inviato da Caviglia, mentre l'Ariete e la Piave stavano iniziando il ripiegamento previsto. Non sembra che Montezemolo sia stato particolarmente esplicito nel comunicare a Carboni le intenzioni di Caviglia di trattare con i tedeschi. Nel primo pomeriggio del 9 settembre, Carboni dette ordine alla Divisione Granatieri di Sardegna, che stava combattendo la 2ª Divisione Paracadutisti tedesca al Ponte della Magliana, di resistere ad oltranza e alle divisioni Ariete e Piave di predisporsi, a sud, per prendere alle spalle la "paracadutisti" e a nord, per tagliare la strada alla 3ª Divisione Panzergrenadier che stava sopraggiungendo dalla Via Cassia.
Mentre ciò avveniva, Montezemolo e il generale Giorgio Carlo Calvi di Bergolo, a Frascati, incontravano il comandante tedesco Albert Kesselring che chiese quali condizioni per il prosieguo delle trattative, la resa dell'intero corpo d'armata motocorazzato italiano. In seguito ai contatti presi fra gli alti comandi italiano e tedesco, tra le 16.00 e le 17.00 del 9 settembre, da Roma, fu verbalmente ordinato alla Granatieri di Sardegna di lasciare il conteso ponte della Magliana per un concordato transito delle truppe germaniche verso il nord. In serata, le nuove posizioni su cui si erano attestati i granatieri furono nuovamente investite dalla divisione tedesca che continuò a procedere verso il centro di Roma. La mattina del 10, Carboni rientrò nella Capitale ormai assediata, installando il suo personale comando in un appartamento di Piazzale delle Muse e trovò le strade tappezzate di manifesti, fatti stampare da Caviglia, che avvertivano la popolazione che le trattative con i tedeschi erano a buon punto. L'accordo di resa fu firmato al Ministero della Guerra alle ore 16.00 del 10 settembre, tra il tenente colonnello Leandro Giaccone, per conto del generale Calvi di Bergolo e il feldmaresciallo Kesselring. Dopo la resa, Carboni fece distruggere buona parte degli archivi del SIM, custoditi nelle due sedi di Forte Braschi e Palazzo Pulcinelli, occultandone una parte superstite nelle catacombe di San Callisto. Nonostante la resa, lo storico Ruggero Zangrandi ritiene il generale Giacomo Carboni il vero vincitore della "battaglia di Roma" del 1943, per aver impedito alle efficienti 2ª Divisione Paracadutisti e 3ª Divisione Panzergrenadier, tenendole completamente impegnate, di ricongiungersi al resto dell'armata germanica nei pressi di Salerno, permettendo così agli anglo-americani di effettuare lo sbarco sulla Piana del Sele del 9 settembre 1943, già di per sé difficoltoso e ampiamente contrastato. Certo Carboni fece l’interesse degli aglo-americani. Nel giugno 1944 fu spiccato nei suoi confronti un mandato di cattura per la mancata difesa di Roma, ma eluse il provvedimento e si rese latitante grazie alle protezioni dei servizi di Intelligence degli Alleati anglosassoni, in particolare l'OSS americano. Più tardi fu processato in contumacia e, il 19 febbraio 1949 fu assolto da ogni accusa per aver adottato "determinazioni indirizzate all'intendimento di arrestare fuori dalle porte della Capitale l'invasione ad opera delle forze germaniche". Nel secondo dopoguerra, Carboni si avvicinò ai partiti della sinistra e fornì loro numerosi elementi di lettura sulla Intelligence italiana, dal SIM al SIFAR. Nel 1951, un precedente ordine di congedo assoluto emesso nei suoi confronti venne annullato e fu deciso il suo trasferimento nella riserva.
Ritorniamo a Villa Savoia. Messo al corrente del piano ordito contro il duce, Vittorio Emanuele III prende in mano la situazione. Convoca a colloquio il generale Cerica e lo informa che alle 17 riceverà in udienza Mussolini, al quale chiederà di rassegnare le dimissioni da presidente del Consiglio. Dopodiché Mussolini dovrà essere trasportato in un luogo assolutamente sicuro. Il 22 luglio, tre giorni prima, il re aveva ricevuto tramite il genero Filippo d’Assia, notizia della decisione presa da Hitler dopo il fallimento dell’incontro di Feltre: era pronta per l’Italia l’operazione Alarico, pensata nel caso che l’Italia rompesse, unilateralmente, l’alleanza con il Reich. L’operazione prevedeva l’istituzione del controllo militare diretto tedesco sulla Penisola. Erano, infatti, giunte notizie certe sul progetto mussoliniano di aggregare attorno all’Italia le potenze dell’Asse per imporre con forza alla Germania la pace separata con la Russia. Una parte dei vertici militari tedeschi erano favorevoli, non Hitler. Mussolini aveva messo al corrente il sovrano sulla linea che intendeva seguire, e il sovrano gli aveva espresso il suo pieno appoggio operativo. Ma ora l’ambasciata di Filippo d’Assia cambiava le carte in tavola e una tremenda minaccia si addensava sull’Italia.
Mussolini nel frattempo riceve a palazzo Venezia il segretario del Partito, Scorza e gli comunica che alle 17 sarà a Villa Savoia dal re, per proporgli alcuni provvedimenti riguardanti il Governo, che alle 20 saranno annunciati alla radio al paese. Aggiunge poi che, dopo la riunione della notte del Gran Consiglio forse sarebbe stato meglio sciogliere il Partito e ricostruirlo su nuove basi riformando lo stesso Gran Consiglio. Mussolini poi apprende da De Cesare che Goring ha accolto la sua richiesta di anticipare il suo arrivo a Roma per il 27 luglio. Entrano nello studio del duce l’ambasciatore giapponese Hisaka e il sottosegretario Bastianini. Sono le 12. Secondo quella che poi sarà la testimonianza di Bastianini, Mussolini chiede all’ambasciatore di comunicare al presidente Tojo che mercoledì 28 luglio egli farà un passo energico verso il Fuhrer per far cessare le ostilità sul fronte orientale, giungendo a patti con la Russia. In modo da concentrare tutto il potenziale bellico sul Mediterraneo contro gli anglo-americani. Mussolini chiede dunque che il Giappone appoggi questa sua posizione presso il Fuhrer per giungere il più presto possibile alla cessazione delle ostilità nei confronti della Russia. In caso contrario non ci sarebbero state più le condizioni per continuare la lotta contro il comune nemico anglo-americano. Dopo l’ambasciatore giapponese, Mussolini riceve il generale Galbiati che chiede come procedere nei confronti degli ammutinati della notte che hanno votato l’ordine del giorno Grandi. Mussolini risponde di aspettare. Gli sono già giunte alcune defezioni, tra cui quelle di Cianetti e poi tra qualche ora si vedrà con il re con il quale deciderà che fare.
Ore 17 incontro con il re. Mussolini viene a sapere della decisione di Hitler, in seguito al fallimento di Feltre, di dare avvio all’Operazione Alarico, vale a dire all’occupazione del territorio italiano e in primo luogo della capitale, proprio nelle prime ore del mattino di lunedì 26 luglio. E’ chiaro che il fhurer punta ad eliminare Mussolini dalla scena politica. Il re inoltre informa Mussolini del complotto dei generali per rapirlo e assassinarlo, e sollecita Mussolini ad affidarsi alla sua protezione, mentre i carabinieri proteggeranno i suoi familiari. In accordo con il re, Mussolini raggiungerà sotto la protezione dei carabinieri la caserma Podgora in via Quintino Sella a Roma. Nel frattempo il re riceverà Badoglio a Villa Savoia per incaricarlo di un gabinetto d’urgenza. Un cambiamento ai vertici del potere, in accordo con Mussolini dunque. All’uscita da Villa Savoia Mussolini sale su un’autoambulanza già in attesa che parte in direzione della caserma Podgora. I poteri ora passano nelle mani di Pietro Badoglio. Alla caserma Podgora Mussolini riceverà la lettera firmata ‘Badoglio’ che di fatto gli chiede di approvare il passaggio dei poteri. Mussolini risponderà con una lettera nella quale di fatto approverà il colpo di stato. Poi, sempre scortato dai carabinieri, e a bordo dell’autoambulanza sarà trasferito alla caserma della Legione Allievi di via Legnano, dove attenderà le decisioni di Vittorio Emanuele III.
Quello che accadde poi lo sappiamo. O meglio, ancora oggi sappiamo solo alcune cose, di sicuro mezze verità. Certo, la caduta di Mussolini non fu provocata dall’Ordine del Giorno Grandi come scritto nei libri di storia e come raccontato nelle fictions televisive.


Fonte principale: S., Bonifazi, 25 Luglio 1943: il caso è chiuso.

fonte: http://larapavanetto.blogspot.it/

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