30/05/18

didattica neoclassica all'Accademia di Brera - Parini insegnante


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MILANO: CORTILE DEL PALAZZO DI BRERA (post 1844)
AutoreMoja Federico (1802/ 1885), disegnatore; Achille Pietro (1799/ 1872), incisore; Ratti Francesco (1819/ 1895), incisore
 Xilografia-  107 mm. x 73 mm.
“Le epoche critiche, dove un popolo si muta a condizione nuova di civiltà, condizione che deriva dal passato e si lega all’avvenire, meritano studio più che le gloriose. E il XVIII fu secolo di semenza e di lavoro individuale, adagiato ancora sull’autorità e sull’abitudine, ma pure già fecondo di questo nostro, tutto convulso fra le idee e le cose, fra i bisogni e i fatti, fra aspirazioni smisurate e rachitici movimenti, che sbozza tutto e non termina niente, che agogna a un’illimitata libertà e si sgomenta quando una particella gliene sia lasciata.” Cesare Cantù, L’abate Parini e la Lombardia nel secolo passato, 1854.
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Gaetano Monti – Monumento a Giuseppe Parini 1838 – Scalone d’ingresso al primo piano del Palazzo di Brera
Forse ha un sapore contraddittorio risalire alla didattica neoclassica così come si esplicò nei primi decenni all’interno della neonata Accademia di Brera in quel clima politico ed economico così differente dal nostro che pensava ad un istituto efficiente, pratico, di tipo artigiano da applicarsi direttamente alle esigenze del costruire e allo stesso tempo ad una elevata ed aulica università delle arti. In realtà l’ambizione sarebbe proprio quella di condurre a una nuova, e pur sempre antica, sensibilità all’interno del vuoto di arti e mestieri che il nostro presente ci offre. Più che mancanza di richiesta, economicamente permettendo, mi sembra evidente che siamo incapaci di proporre un’adeguata offerta e lo dimostra la gran quantità di manodopera straniera presente nei cantieri.
Molti obbietteranno che sono i giovani a non essere interessati a lavori manuali artigiani ma allora non mi spiego la notevole espansione degli istituti alberghieri che ha preso piede in questi ultimi anni. Chi avrebbe mai detto fino a pochi anni fa che per fare il cuoco o il cameriere fosse necessario uno studio superiore? E come mai così tanti giovani cercano rifugio all’interno di queste strutture scolastiche? D’accordo…..qualcuno sognerà anche masterchef ed è fuori dubbio che i tanti programmi televisivi hanno conferito al mestiere una maggior dignità. Vi è poi sicuramente il vantaggio di opportunità di lavoro in un paese come il nostro che di turismo vive, anche se potrebbe camparci molto, ma molto di più. Ma è innegabile che i moltissimi giovani che si avvicinano a queste scuole mancano di interesse o motivazione per lo studio (anche se va detto che le materie teoriche non mancano come è giusto che sia). Allora perché non pensare anche a istituti professionali artigiani dove si impara a fare la malta come la facevano gli antichi per esempio, e come svilupparne il processo nella modernità? Adesso mi aspetto che qualcuno controbatta con un sorriso “ah…perché i muratori non sanno fare la malta?”. Proprio così! Il muratore moderno sta perdendo conoscenze e abilità in tal senso abituati come sono ad utilizzare prodotti premiscelati di origine industriale. Sarebbe un po’ come per uno chef usare un composto già pronto per fare una torta, che peraltro esistono in commercio ma che non vorrei trovarmi su un piatto di un ristorante. Ma se da una parte può sembrare evidente a tutti la necessità di cucinare con ingredienti adeguati e saperli usare al meglio, molti faticheranno a comprendere l’esigenza di avere un muratore in grado di preparare una malta nel giusto modo. Lasciatemi dire che immagino sia perché ignorate il degrado che investe al giorno d’oggi l’arte del costruire, che, attraverso la perdita progressiva delle sapienze artigianali manuali e non, dei materiali e dei metodi, giunge sino all’incapacità che mostrano molti architetti nel saper gestire e indirizzare chi poi opera sul costruito materialmente. Questo valga anche per falegnami, imbianchini, marmisti, decoratori di ogni genere, conservatori e restauratori. Un buon governo dovrebbe far fronte a questo impellente malessere. Ma questa sì che al momento è pura utopia.
Le Accademie d’Arte del Settecento e di inizio Ottocento erano nate per gestire l’istruzione artistica e rappresentavano una garanzia di fama e successo, nonché di impiego sicuro, per aspiranti pittori e scultori e per tutte quelle professioni artigianali legate al costruire. Insomma erano scuole così come lo sono oggi, per fare un esempio tangibile, proprio gli istituti alberghieri all’interno del business del turismo.
Sorte in difesa di interessi di categoria, le Accademie d’Arte si erano date, fin sul nascere, un’elementare struttura didattica, basata sullo studio del disegno. Tale orientamento rimase per lo più invariato per tutto il Settecento, secolo in cui si assistette alla proliferazione di nuove istituzioni dello stesso genere. L’insegnamento era normativo e supportato da vincolanti regole: il canone ispiratore degli allievi era la mimesi, ovvero l’imitazione di opere dell’antichità classica o della natura, e tendevano alla ricerca di un ideale estetico assoluto che potesse diventare anche modello etico per la società del tempo.
Insomma tutto quello che nel XXI secolo, sino ad arrivare alla nostra contemporaneità, si è cercato di decostruire, per cui è lecito chiedersi se ha senso battere ancora questo chiodo, ricercare un bello ideale, volersi ispirare alla natura, ai classici, in tempi che ormai possiamo definire di cyber-cultura? Il sospetto che questa ricerca appaia come un vacuo sfoggio di erudizione di un tempo che fu prevarica il mio buon senso. Ma è pur ovvio che io non intendo auspicare che si propongano le lezioni neoclassiche, così come furono impostate, a dei giovani allievi moderni. Anche se è probabile che il nostro destino di umani sia sempre più legato a un divenire bionico mi è difficile credere che saremo svincolati da una ricerca di un bello ideale, insomma da un costrutto psicologico (che volendo possiamo chiamare anima) che unisca la natura, di cui siamo ancora parte integrante, ad un prossimo futuro, all’interno del quale le macchine, i progressi tecnologici, saranno predominanti. Per esempio è interessante l’affinità tra il tablet e la tabula degli antichi greci formulata da Maurizio Ferraris, entrambi supporti scrittori sui quali la memoria si imprime fissando i propri contenuti.
Ad ogni buon conto, quale che sia il futuro che ci attende, ad un periodo storico dominato da un decadimento deve necessariamente far seguito un periodo di riflessione e di recupero di un’armonia perduta. Nel corso della storia dell’arte questi ciclici avvicendamenti sono sempre avvenuti. Il Romanico rappresentò un ritorno all’ordine rispetto all’arte barbarica; l’Umanesimo rispetto al Gotico; il Neoclassico rispetto al Barocco; il Realismo rispetto al Romanticismo e il così detto “ritorno all’ordine” a seguito dell’avanguardismo novecentesco. Il comune denominatore era sempre il Classico, potente matrice della nostra identità culturale. Sembrerebbe fuori luogo rivendicare in un certo senso le proprie radici in un mondo come il nostro, sempre più globalizzato, dove le culture di tanti popoli lontani dalle nostre tradizioni si intrecciano sempre più velocemente. Ma se lo consideriamo come luogo di riflessione, come del resto lo è sempre stato, una sorta di indirizzo, di strada da percorrere per elaborare nuove chiavi di interpretazioni per le necessità del presente, rappresenterà la dimensione ideale per un confronto tra le culture poiché il periodo classico stesso fu luogo di “antichi scambi interculturali”.
“ Ogni epoca per trovare identità e forza, ha inventato un’idea diversa di classico. Così il classico riguarda sempre non solo il passato ma il presente e una visione del futuro. Per dar forma al mondo di domani è necessario ripensare le nostre molteplici radici”.«Quanto più sapremo guardare al ‘classico’ non come una morta eredità che ci appartiene senza nostro merito, ma come qualcosa di profondamente sorprendente ed estraneo, da riconquistare ogni giorno, come un potente stimolo ad intendere il ‘diverso’, tanto più da dirci esso avrà nel futuro».Salvatore Settis, Futuro del classico
I continui rimandi tra passato e presente che questa ricerca offre mi paiono attrattive indiscutibili di approfondimento.
Come ho avuto già modo di esplicare in un articolo precedente, DIDATTICA NEOCLASSICA ALL’ACCADEMIA DI BRERA – INTRODUZIONE, l’Accademia di Brera fu costituita dall’Imperatrice Maria Teresa nel 1763 in risposta a una supplica rivolta dagli artisti milanesi alla Sovrana per l’istituzione di un “pubblico studio gratuito del disegno”. Il Governo conferì a Giuseppe Piermarini l’incarico di risolvere la disposizione degli spazi e a Giuseppe Parini quello di stendere il piano preliminare. Nello scritto “Delle cagioni del presente decadimento delle Belle Lettere e delle Belle Arti in Italia e di certi mezzi onde restaurarle”, steso per la riforma delle scuole in Lombardia, Parini attribuisce le colpe della decadenza delle arti, lamentata da professionisti e non del campo, al processo formativo ecclesiastico. Ricordiamo che qualche anno dopo la stesura di questo scritto e precisamente nel 1773 l’ordine dei Gesuiti, che a quei tempi monopolizzava l’insegnamento, fu soppresso da papa Clemente XIV fornendo al governo asburgico l’occasione di omogeneizzare l’istruzione sotto una responsabile gestione statale.
Eppur in questo stesso scritto Parini afferma che non è compito del Governo prescrivere leggi e sistemi in materia di belle arti in quanto “La natura sola forma l’attitudine de’ bravi artisti; le combinazione ne’ spiegano le facoltà; e la volontà o la intervenzione diretta del Governo non può crearli. Quando i bravi artisti ci sono, essi soli possedono la vera scienza dell’arte loro; essi meglio d’ognaltro sanno con qual metodo o disciplina si debban condurre ed ammaestrare i loro alunni……. La sola utile protezione che il Governo possa dare a simili stabilimenti, è di provvederli d’eccellenti esemplari e modelli, di bravi e zelanti maestri, di mezzi e di sussidi e di comodità per lo studio e l’esercizio. Tutto il resto non è che pompa e magnifica superfluità.”
Per Parini il Governo deve assolvere il compito di creare le giuste combinazioni per fare in modo che gli artisti possano operare nell’arte loro procacciandosi guadagno e stima fornendo commissioni per pubbliche fabbriche. “In tal caso i bravi artisti si fanno conoscere, vengono adoperati, guadagnano una comoda sussistenza, gareggiano fra loro, si eccitano all’amor della gloria e della perfezione. In tal caso per essere eccitati a studiare e perfezionarsi non hanno bisogno né d’illustri presidenti alle loro Accademie né di privilegi, né di nobili qualificazioni, né di pompe dispendiose, né di soccorsi straordinari; colle quali cose o si impicciolisce l’animo pascendolo di vanità, o si turba la semplicità dell’ordine pubblico, o si dà luogo alla cabala, all’arbitrio, alla predilizione, onde nasce l’invidia e lo scoraggiamento dei buoni, e la insolenza e la impostura de’ cattivi.”,
conferendo così al lavoro dell’artista/artigiano il giusto valore morale che dà senso, misura e stabilità al singolo e alla collettività; il più nobile dei fini che in definitiva dovrebbe essere alla base di ogni attività umana.
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Ritratto di Giuseppe Parini (Bosisio, 1729 – Milano, 1799), Serie di ritratti del canonico Giuseppe Candido Agudio, 1750 circa
Pinacoteca Ambrosiana, Milano
Matita nera e gesso bianco su carta, 40×30 cm. 
Giuseppe Parini cominciò ad insegnare a Brera il 15 novembre 1773. Dopo l’apertura dei corsi dell’Accademia di Belle Arti nel 1776, oltre agli studenti adulti furono aggregati alle lezioni di Belle Lettere anche gli studenti più giovani di questi corsi «non peranco maturi per la facoltà trattata dal Parini stesso»; il suo pubblico cambiò definitivamente dopo le riforme del 1786, quando la sua cattedra fu unita all’Accademia, e la presenza di tanti giovani non abbastanza preparati rese necessario rendere più elementare il suo corso, che fu alleggerito anche come orario in seguito alla nomina di Parini a sovrintendente di Brera nel 1791.
In questi ultimi anni è accresciuto l’interesse da parte di molti studiosi verso la didattica accademica dei corsi di belle arti che qui voglio io stessa trattare. Per questo gli studi al momento disponibili a cui farò riferimento sono piuttosto incompleti. Si aggiunga la difficoltà materiale a reperire documenti dell’epoca dispersi nei vari archivi e biblioteche non ancora sufficientemente catalogati e indagati.
Il trattato De’ principii fondamentali e generali delle belle lettere applicati alle belle arti, steso fra il 1773 e il 1775 e pubblicato postumo da Francesco Reina (allievo di Parini), raccoglie le lezioni tenute dal poeta a Brera. E’ un’opera nata dalla pratica dell’insegnamento e destinata alle scuole ma al suo interno vi si riconosce quella sicura competenza in fatto di letteratura artistica unanimemente riconosciuta al Parini dai contemporanei. Valga tra tutti la testimonianza di Foscolo;
“Assiduo e prediletto il suo studio dei trattati delle arti belle; particolarmente gli furono care le biografie degli artisti celebri; e tra i pochi libri che possedette i suoi esecutori testamentari trovarono due copie delle Vite del Vasari, gualcite dall’uso. Non si dedicò invece al disegno, né alla musica, pur conoscendo d’entrambe la tecnica e la teoria, pur dimostrando di queste arti tanta sensibile intelligenza che i più noti maestri ricorsero sovente ai suoi consigli.” (Ugo Foscolo, Saggi di letteratura italiana).
Anche se in realtà non si hanno notizie certe dell’esistenza di questa seconda copia delle Vite, se non appunto nelle parole di Foscolo, lo spazio riservato nelle Lezioni pariniane all’opera di Vasari è notevole. Percependo nell’artista del cinquecento una libertà e indipendenza di intenti paragonabile a quella illuminista, dai contenuti filosofici oltre che tecnici, definisce l’opera utile per tutte le arti che hanno per oggetto la produzione del Bello, abbondando di giusti precetti e finissime osservazioni, che l’arte, con qualunque mezzo, tenti di produrre formando in noi un buon gusto che si può definire universale. E attraverso le sue parole diventa esperienza visiva, tecnica ecfrastica, particolarmente utile ai milanesi che, sebbene avessero a disposizione pregevoli opera d’arte, non ne avevano sott’occhio di così egual valore.
Francesco Reina, che fu appunto allievo del Parini, ci descrive le sue lezioni appassionatamente; “Rapiva gli animi, e faceva che tutti pendessero attoniti dalla bocca di lui.”
Basava i suoi precetti attraverso l’assidua osservazione della natura con spirito assolutamente illuministico fondando i principi fondamentali (interesse, varietà, unità, mutuati da Charles Batteux) e generali (proporzione, ordine, chiarezza, facilità, convenevolezza) in una costante fusione tra passato e presente che è una delle caratteristiche dominanti del suo neoclassicismo.
Le lezioni del Parini erano impostate sullo studio di critici d’arte antichi (Aristotele ed Orazio) e moderni (Du Bos, André, Batteux, Mendelssohn e Sulzes), meditazione sui classici e osservazione costante della natura e specialmente sui sentimenti umani necessari all’artista che vuole emergere, affermarsi, per conferire alla sua opera quell’essenza di unicità che rende grande l’arte. E come in un concilio filosofico di classicheggiante sapore dialogava con i suoi studenti invitandoli ad interagire con lui; lodava chi si dimostrava meritevole e riprendeva con discrezione gli allievi meno perspicaci come se volesse quasi correggere se stesso nell’aver non sufficientemente esposto con chiarezza l’argomento.
Cominciando dalla Storia Filosofica delle Arti trattava poi in modo più approfondito architettura, scultura, pittura, danza, musica, eloquenza poetica e prosaica in virtù delle quali l’uomo si diletta attraverso la conoscenza del Bello. Esponeva quindi i due principi che le governano; la Composizione e l’Imitazione e “osservava poi l’ordine particolare delle idee, la verità delle medesime e quella spezialmente delle immagini, la naturalezza e la forza degli affetti, che costituiscono il sommo pregio dell’Arte.” (Francesco Reina. Vita di Giuseppe Parini).
Le lezioni pariniane erano insomma finalizzate ad educare il gusto attraverso lo studio di quella disciplina filosofica autonoma che fu una delle maggiori novità prodotte dalla cultura europea di metà settecento; l’estetica.
Ma come si andava configurando nell’estetica pariniana il nuovo concetto di bellezza? Il poeta aveva instaurato con il sistema di tutte le arti all’interno della città di Milano un rapporto coordinato e funzionale con architetti e pittori nel ruolo di suggeritore di soggetti mitologici. Il suo contributo in tal senso, letterario e iconografico, veniva dunque a coincidere col ‘moderno vivere’, dove la scuola pubblica, le accademie, l’insegnamento pragmatico, gli spettacoli teatrali, la stessa vita politica e sociale della nobiltà dominante avevano funzione di edificazione e educazione collettive;
“Il fine delle belle arti si è il ritrovamento e la produzione del bello […] Pochissimi sono que’ fortunati genii che, naturalmente, quasi per istinto, e senza nessun esteriore soccorso, vengono rapiti alla volta di esso. La maggior parte degli altri talenti hanno bisogno che sia loro appianata la via che ad esso conduce. Per molti è necessario di farne loro sentire una volta le attrattive, perché, conosciutolo, vi corrano poi dietro da sé, e divengano al pari d’ogn’altro eccellenti.”
Sentimento e ragione, utile e bello concorrono alla formazione dell’artista; e nonostante la sua produzione si possa definire accessoria alla società collabora a rendere saggi e buoni i propri cittadini.
I nuovi studi ancora in corso delineeranno ancor di più il contributo dell’opera di Parini all’interno della Scuola e degli Istituti Braidensi in particolare. Di sicuro da queste poche testimonianze che ho raccolto se ne intuisce l’elevata portata e il significativo apporto alle arti della Milano neoclassica.
Infine è lecito chiedersi se di maestri appassionati e competenti come questi ci sia bisogno al giorno d’oggi!?! Se lo studio approfondito dei personaggi e dei metodi didattici che impiegarono in quel periodo possano essere nella nostra contemporaneità ancora un valido apporto per stimolare e accrescere il mondo dell’arte, artisti e conoscitori, in questo periodo storico che versa in un pietoso stato di decadenza!?! Mi pare a questo punto scontato che la mia risposta sia entusiasticamente positiva e che in tal senso intendo procedere.

Paola Mangano

fonte: https://passionarte.wordpress.com/
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MILANO: CORTILE DEL PALAZZO DI BRERA
AutoreAschieri Guglielmo (1814/), disegnatore; Cherbuin Luigi (1810/ 1875), incisore; Mazzola Giuseppe (1748/ 1838), disegnatore; Sidoli Alessandro (1812/ 1855 o 1885), disegnatore
Cronologia: post 1836 – ante 1838 – Materia e tecnica: acquatinta
Misure: 220 mm. x 213 mm.
Bibliografia
– Salvatore Settis, Futuro del classico, G. Einaudi, 2004
– Maurizio Ferraris, Anima e iPad, Guanda editore, 2011
– Giuseppe Parini, Delle cagioni del presente decadimento delle Belle Lettere e delle Belle Arti in Italia e di certi mezzi onde restaurarle, 1773
– Opere di Giuseppe Parini pubblicate per cura di Francesco Reina, Milano dalla Società Tipografica de’ Classici Italiani, 1825.
– Cesare Cantù, L’abate Parini e la Lombardia nel secolo passato, presso Giacomo Gnocchi 1854
– Roberto Cassarelli, Giuseppe Bossi e la riforma dell’Accademia di Brera in “Ideologie e Patrimonio Storico-Culturale nell’età Rivoluzionaria e Napoleonica-A proposito del trattato di Tolentino Atti del convegno Tolentino, 18-21 settembre 1997” Ministero Per I Beni E Le Attività Culturali Ufficio Centrale Per I Beni Archivistici 2000
– Giuseppe Petronio, Parini e l’illuminismo lombardo, Edizioni Laterza 1987
– Silvia Morgana, Le Lezioni di Giuseppe Parini professore di Belle Lettere a Milano,
– MARCELLO CICCUTO, Il bello di Parini, ovvero le armonie del gusto nelle pitture verbali del Settecento, in Margini Giornale della dedica e altro, n. 10, anno 2016, Margini– Giacomo Vagni, Le ‘Vite’ di Vasari nelle ‘Lezioni’ di Parini, XX Convegno ADI, La letteratura italiana e le arti
– La Milano del Giovin Signore a cura di Fernando Mazzocca e Alessandro Morandotti, Skira editore, Milano 1999

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