«Se le avessero chieste a me, quelle immagini da studio le avrei fatte molto meglio», cioè con le ombre “giuste”, simulando bene l’effetto del sole. Parola di Oliviero Toscani. Il film del presunto allunaggio? La madre di tutte le fake news: «Un falso al 200%». A dirlo è un altro principe della fotografia mondiale, Peter Lindbergh, il numero uno nel campo della moda, “inventore”delle top-model degli anni ‘90, da Cindy Crawford a Naomi Campbell. La domanda: da dove arrivano quelle luci (artificiali) che rischiarano gli astronauti? Proiettori, spot da cinema, pannelli riflettenti: attrezzature di cui l’equipaggio di Apollo 11 non disponeva. L’esame dei fotografi è la prova regina del test condotto da Massimo Mazzucco, autore del documentario “American Moon”. Oltre tre ore di film, che inchiodano lo spettatore di fronte a una verità incontrovertibile: a prescindere dal fatto che ci siamo stati o meno, sulla Luna, le immagini dell’allunaggio – trasmesse dalla Nasa in mondovisione nel 1961 – sono un falso, palese e grossolano. I sospetti crescono ulteriormente, scoprendo che l’ente aerospaziale ha dichiarato di aver “smarrito” i film originali di un evento che, se fosse reale, sarebbe una pietra miliare nella
storia dell’umanità. Per non parlare degli astronauti: anziché essere celebrati a vita come eroi, hanno trascorso il resto dei loro giorni a nascondersi.
Fake news? Sì, certo. Ma è inutile sperare di convincere tutti: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Per contro, possiamo consolarci: la sete di verità è inesorabile e ha ormai contagiato almeno il 20% del pubblico, ed è una quota destinata
a crescere in modo esponenziale. «Non è che gli americani abbiano deciso in partenza di barare, ingannando il
mondo», premette Mazzucco, ai microfoni di “
Border Nights”. «Ci hanno provato veramente, ad andare sulla Luna». Tutta “colpa” di Kennedy, o meglio della guerra fredda: i sovietici erano in vantaggio, già nel ‘57 avevano spedito in orbita il primo Sputnik e poi addirittura Gagarin, primo uomo nello spazio, nel 1961. «Entro la fine del decennio metteremo un uomo sulla Luna», promise Jfk. Salvo poi apprendere, dalla Nasa, che sarebbe stata una missione impossibile: gli Usa erano fermi al lancio sub-orbitale di Alan Shepard, spedito in atmosfera per soli 15 minuti. «Man mano che si avvicinava la fine del decennio, arrivati al ‘67, cioè a due anni e mezzo dalla scadenza, si resero conto che i problemi tecnici erano insormontabili: ma siccome nel frattempo avevano fatto una propaganda mondiale, non potevano più tirarsi indietro». Da qui la possibile idea del clamoroso “fake”.
«Avevano intanto sviluppato un
sistema di simulazione che gli permetteva di riprodurre virtualmente un’intera missione lunare, dalla partenza al ritorno sulla Terra comprese le passeggiate sulla Luna: è chiaro, secondo me, che hanno ceduto alla tentazione», sostiene Mazzucco. «Stando seduto nel Lem, il modulo lunare, come fosse il simulatore di un aereo, potevi vedere dal finestrino le immagini del terreno lunare che si avvicinava e le immagini dell’allunaggio, che fra l’altro – stranamente – sono molto simili alle immagini che poi ci hanno dato per vere». Mazzucco ha sondato esperti, scienziati, tecnici: la Luna era troppo rischiosa. «Il
pericolo era di perdere gli astronauti: atterrare sulla Luna è una cosa, ripartire è molto più difficile». La “tentazione” del falso? «Negli anni ‘60 non si ponevano il problema che poi, quarant’anni dopo, ci sarebbero state tutte le fotografie dei viaggi Apollo in alta definizione scaricabili da chiunque». Mezzo secolo fa, la Nasa sapeva che sarebbe bastato inviare qualche foto (accuratamente selezionata) a “Life Magazine” o a “Time Magazine”, così come al “New York Times”: nessuno avrebbe potuto fiutare l’imbroglio. «Solo con l’avvento di Internet, quando la Nasa ha messo in rete tutte le foto ad alta definizione delle missioni lunari, qualcuno ha cominciato a spulciarle una per una, a fare i confronti incrociati tra luci e
ombre. Ma allora non potevano immaginare questo tipo di esame ai raggi X che viene fatto oggi sui loro materiali, quindi capisco quella loro superficialità».
Le immagini, spiega Mazzucco (fotografo per vent’anni, già assistente di Toscani) sono «fatte molto male» proprio dal punto di vista della simulazione della luce del sole: «Cosa che sfugge all’occhio dell’osservatore comune, ma non a quello del professionista delle immagini». Appena Lindbergh le ha esaminate, è sbottato: «Scusa, ma da dove viene questa luce?». Un falso storico colossale? Obiezione: perché l’Urss, in gara con gli Usa nella conquista dello spazio (meta suprema della guerra fredda) non denuciò il falso allunaggio? «Ai sovietici non conveniva», dice Mazzucco. «Intanto nessuno gli avrebbe creduto, dato che avevano appena “perso la corsa alla Luna”: li avrebbero derisi». Ma poi, soprattutto, già a quei tempi – ancora con le missioni Apollo in corso – erano iniziate le trattative segrete (poi pubbliche) per le missioni congiunte Apollo-Soyuz, il cui risultato è tuttora in orbita sotto forma di Iss, Stazione Spaziale Internazionale. «In cambio del silenzio, l’Urss ha avuto dagli Usa tutta la tecnologia che le serviva». Spiegazione coerente, che combacia con un altro aspetto particolarmente inquietante: lo strano silenzio degli astronauti. Neil Armstrong e Buzz Aldrin sarebbero stati i primi due uomini a mettere i piedi sulla Luna:
un’esperienza entusiasmante e sconvolgente, per qualsiasi essere umano. «Da quassù la Terra è bellissima, senza frontiere né confini», disse Gagarin, con voce emozionata, dall’orbita del Vostok. Gli americani? Silenzio.
Da Armstrong e Aldrin ci si sarebbero aspettate centinaia di interviste, decine di libri. E invece, niente: «Neil Armstrong, in tutta la vita, ha rilasciato 4 interviste, e non tutte favorevoli alla Nasa». Addirittura nell’ultima, del ‘94, dice, in modo cupo e sibillino: «Riguardo al
futuro ci sono molti veli che coprono la verità, sta ai giovani rimuoverli per scoprirla». Una coltre di oblio ha sepolto gli 8 astronauti delle successive missioni Apollo: «Nessuno ricorda i loro nomi. Strano, no? Eppure, in teoria, sono gli unici esseri umani che avrebbero calcato il suolo di un altro corpo celeste». Dell’altro evento epocale, la scoperta e conquista dell’America, sappiamo tutto: «Magellano, Verrazzano, Colombo, Cortés: hanno fatto tanti film su ciascuno di loro». E gli astronauti pionieri della Luna? Inghiottiti nel nulla. «E’ chiaro che non c’è quel tipo di entusiasmo storico che dovrebbe corroborare un fatto così importante: c’è anzi una tendenza a minimizzarlo», sottolinea Mazzucco, che si domanda: se era così facile andare e venire dalla Luna negli anni ‘60, perché non abbiamo continuato ad andarci? Solo perché, dicono, sulla Luna non c’è niente? E ci sono volute 6 missioni nell’arco di tre anni, per capirlo? Forse la verità è un’altra, assai più terrena: «Il programma Apollo era una macchina da soldi mostruosa, a cui la Nasa mirava. Soldi che saranno serviti a sviluppare tecnologie militari, non rivolte allo spazio ma alla Terra».
Anche sui libri di
storia l’evento è minuscolo, quando invece «dovrebbe essere presentato come il punto di svolta della
storia umana: da quel giorno in poi, non siamo più solo sulla Terra». E invece la Nasa stessa tende a non celebrarlo: «Perché ha la coda di paglia, immagino». Affermazione che Mazzucco motiva, tra le altre cose, con l’inverosimile vicenda (fantozziana) del presunto “smarrimento” delle bobine, i filmati originali dell’allunaggio. «La Nasa ha ufficialmente perso i nastri originali che contenevano le immagini “arrivate dalla Luna”, quelle della prima passeggiata lunare. Nel 2009 hanno detto: dove son finiti, i nastri? Nessuno lo sa più. Non li hanno mai più trovati. E quei due o tre poveracci che si sono messi a cercarli, credendo che si fossero persi veramente, hanno incontrato decine di muri di gomma e alla fine han dovuto arrendersi, di fronte alla chiara intenzione di non farli ritrovare». Non c’è stato nessun incidente, nessun incendio di nessun magazzino: un semplice, banale “smarrimento”. «Quel nastro conteneva, in teoria, l’evento più importante della
storia dell’umanità. Uno si aspetta che fosse custodito in un bunker impenetrabile, a temperatura controllata, sorvegliato a vista da guardie armate». La parte più comica
della vicenda riguarda la tesi del “debunker” Paolo Attivissimo, autore del libro “Siamo andati sulla Luna”: li hanno cancellati, dice, perché i nastri costano e dopo un po’ vengono riutilizzati.
E’ evidente, conclude Mazzucco, che ci dev’essere un motivo serio dietro alla loro sparizione. Uno su tutti: «Quei nastri non contenevano solo le immagini del primo allunaggio (di cui abbiamo le copie) ma anche i dati di telemetria: cioè svelavano anche dove si trovasse veramente il Lem, in quel momento, nello spazio. Quindi, se per caso non si fosse trovato sulla Luna, chiunque oggi analizzando quei nastri potrebbe dedurlo, quindi è molto più comodo “perderli”». Tutte le comunicazioni che avvengono nei 7 giorni ufficiali della missione, dal 16 al 23 luglio del ‘69, cioè dalla partenza da Cape Kennedy (allora Cape Canaveral) al ritorno nell’Oceano Pacifico, «nell’ipotesi della finzione, sono tutte trasmissioni che avvengono con la capsula nell’orbita terrestre». In un video, un ricercatore convinto dell’inganno lunare, Bart Sibrel, analizza i video Nasa e scopre che, a un certo punto, «gli astronauti fingono di inquadrare la Terra da 170.000 chilometri di distanza, cioè circa a metà strada fra la Terra e la Luna». Nel video «si vede un pallino blu al centro dell’inquadratura, completamente nera, però poi si scopre che a essere inquadrata non è la Terra sospesa nel vuoto, ma un ritaglio dell’oblò. La Terra è sotto di loro, ed è molto più vicina. Loro con la telecamera, stando indietro all’interno della navicella, inquadrano l’oblò come se fosse la circonferenza completa della Terra».
La versione di Mazzucco: «A questo punto sospetto che, per quei 7 giorni, gli uomini di Apollo 11 abbiano girato a vuoto attorno alla Terra, per poi fare un normalissimo rientro dal cielo: poi, quando arrivano in mare, non puoi sapere se provengono dalla Luna, dall’orbita terrestre o magari solo da un aereo cargo, militare, che volava da 10.000 metri d’altezza. Li vedi rientrare, hanno un po’ di barba, e quindi pensi che arrivino dalla Luna». Tra le varie morti dei 12 “moonwalker”, il regista trova particolarmente interessante quella di James Irwin, di Apollo 15. Morte raccontata da Bill Keysing, il padre della teoria del complotto lunare, autore già nel ‘74 del primo libro critico, intitolato “Non siamo mai andati sulla Luna”. Lo scrittore dice che Irwin lo contattò perché «voleva raccontargli qualcosa». Lo conferma un testimone, presente con Keysing al momento della telefonata. «Ma forse l’astronauta non è stato abbastanza attento nel telefonare a Keysing: tre giorni prima di
incontrarlo, è morto in uno stranissimo incidente in motocicletta, andando a sbattere contro l’unico palo in mezzo a un deserto». Deduzione: «Quegli astronauti erano strettamente controllati, e lo sono stati per tutta la vita. Questo spiegherebbe il loro comportamento decisamente strano, dai viaggi lunari fino alla loro morte».
Clamoroso il caso di Buzz Aldrin: «Si è perso nelle droghe e nell’alcol», ricorda Mazzucco. «Pensa: sei stato sulla Luna, sei la seconda persona più famosa al
mondodopo Armstrong, eri con lui, eri uno dei due primi uomini sulla Luna… dovresti avere una vita di successo, di conferenze, di libri, accolto in tutti in paesi del
mondo. E invece diventi un alcolizzato, un drogato che divorzia venti volte e non sa più cosa fa nella vita, si fa crescere la barba, diventa un hippie». In alcune foto a qualche anno dal viaggio lunare è letteralmente irriconoscibile. E in un’intervista a “Paris Match” rivela: «Ci considerano tutti degli eroi, ma in realtà la Luna ci ha distrutti». Perché mai dovrebbe averti distrutto, la Luna, se è vero che ci sei stato? Altra incredibile stranezza, l’intervista ad Alan Bean di Apollo 12. Domanda: avete avuto danni particolari per aver attraversato l’area ultra-radioattiva delle Fasce di Van Allen? Bean casca dalle nuvole: «Veramente non credo che siamo andati tanto in alto da raggiungere le Fasce di Van Allen». Ma le Fasce, gli fanno notare, sono appena fuori dall’atmosfera terrestre, tra i 15.000 e i 40.000 chilometri. «Ah, allora le abbiamo attraversate di sicuro!», replica l’astronauta. «Bastano dettagli umani come questi – dice Mazzucco – per sospettare che quei poveracci abbiano vissuto una vita orribile, obbligati a mentire fino al loro ultimo giorno di vita».
Mazzucco non si illude che la verità proposta in “American Moon” possa essere largamente accettata: “debunker” come Attivissimo si impegnano a smontare minuziosamente qualsiasi ipotesi di complotto. Ma attenzione: «Il “debunker” si rivolge a chi ha bisogno di una scusa qualunque per continuare a credere. Quando crollano le Torri Gemelle e vengono espulse tonnellate di cemento, c’è sempre chi dice: ma no, quelli sono solo i vetri delle finestre, che esplodono». Il pubblico del “debunker” non va a controllare se quello che ascolta è sensato. Non agisce non spirito critico: «Agisce in modo fideistico, ha bisogno di sentirsi dire che Mazzucco è un buffone e che sulla Luna ci siamo andati davvero». Il solito Attivissimo arriva a dire che è “normale” smarrire i nastri originali del mitico allunaggio? «Il “debunker” inventa in modo spudorato, tanto sa che il suo pubblico non andrà a verificare quello che dice. Ha solo bisogno di essere rassicurato, di sentirsi dire che nessuno ci inganna,
che il
mondo è bello, che i nostri potenti ci vogliono bene, che nessuno farebbe mai una cosa come ammazzare tremila cittadini nelle Torri Gemelle. Questa è la vera funzione del “debunker”». In altre parole: la colpa è, innanzitutto, del pubblico. «Quando una persona non vuole sentirsi dire la verità, che è scomoda, non c’è niente da fare».
Non per questo, però, è il caso di perdersi d’animo: «L’umanità va avanti comunque», dice Mazzucco. «Magari avanza più lentamente, per colpa di questa gente, ma va avanti lo stesso: non è che si ferma perché ci sono questi quattro cretini che hanno bisogno di rassicurare la parte mentalmente più debole della popolazione. Ci arriveranno anche loro, prima o poi». L’autore di “American Moon” è addirittura ottimista: «Secondo me siamo dentro una curva – lenta, ma costante e inarrestabile. In 15 anni ho visto cambiare profondamente la Rete. Oggi molti siti di informazione indipendente sono visitati e sdoganati, all’interno di questa dinamica. Quello che una volta era eresia, oggi lo puoi dire tranquillamente, perché c’è una fetta di pubblico che ti segue e non ha nessun problema a condividere le tue conclusioni». E’ provato: «Cala il numero delle persone che si fidano ancora dei
media mainstream e aumenta quello di chi si informa personalmente, consultando altre fonti. Certo, ci sarà sempre l’aggrapparsi alla
verità ufficiale, il bisogno di rassicurazione fa parte della natura umana. Ma queste persone saranno sempre di meno».
Già adesso, per molti argomenti, i
media mainstream non riescono più a far passare la loro versione come verità ufficiale unica. «Parla da solo il caso vaccini: il decreto Lorenzin è stato approvato, ma dieci anni fa sarebbe passato senza la minima discussione. Oggi invece c’è una caterva di persone incazzate, informate dal web. Tant’è vero che gli stessi partiti politici stanno cercando di inseguire questo elettorato, promettendo di abolire l’obbligo vaccinale». Sta crescendo, il pubblico potenziale che non crede più a storie come quella dei “moonwalker”: «C’è una fetta notevole di gente che non se la beve più, ormai un 20-25%. Dieci anni fa eravano al 3%». Fare quantificazioni e previsioni precise è impossibile, amette Mazzucco, ma secondo lui ormai la tendenza è costante e inarrestabile. «La prima fase del risveglio è il dubbio. Oggi, raccontarci delle fregnacce in tv è molto più difficile. Se ne stanno accorgendo a livello politico: nessuno crede più a quello che dicono i partiti». Mettere in discussione la versione ufficiale: «Proprio il dubbio “piccona” il primo mattone su cui si reggono tutte le bugie». Mazzucco confida nei giovani, «che magari hanno il cervello più aperto». E’ questione di tempo. «Ma il cambiamento sta avvenendo velocemente, se pensiamo che sono duemila anni che chi ha il
potere mente a tutti, comunque e sempre. Noi in 15 anni abbiamo cominciato a far traballare certezze. Ognuno di noi deve fare del suo meglio. Poi, sono sicuro, il risultato arriverà».
(Il documentario “American Moon” di Massimo Mazzucco, in formato Dvd – durata, 3 ore e 20 minuti – è disponibile online attraverso il sito “Luogo Comune”).
fonte: http://www.libreidee.org/