15/01/16

la Piazza Ducale, detta del Duomo, in Vigevano, e i suoi restauri


Alessandro Colombo, aprile 1902, in “L’ARTE – periodico di storia dell’arte medioevale e moderna e d’arte decorativa” diretto da Adolfo Venturi – Anno V – 1902, Roma DANESI – HOEPLI, Coeditori. pag. 248
Ludovico Maria Sforza-Visconti, luogotenente generale del Ducato di Milano, volendo abbellire il paese che vide i suoi natali e per il quale nutriva intenso affetto, in pari tempo che imprendeva a rifarne artisticamente il Castello, dotandolo di uno spazioso e comodo palazzo per sua abitazione, di ampie stalle per i suoi cavalli e di alloggi numerosi per il suo seguito, non trascurava il resto del borgo, al Castello stesso addossato, cui voleva completamente rifare e risanare con strade larghe e dritte, con abitazioni comode e soleggiate. Questo concetto, che cercherò di sviluppare ampiamente un giorno, dettando una monografia speciale sull’Età del Moro a Vigevano, si palesa chiaramente, oltre che nei molti edifici quattrocentistici, sparsi qua e là in Vigevano, nella bellissima piazza Ducale, detta comunemente del Duomo, perché su uno de’ suoi lati si trovava e si trova tutt’ora la chiesa principale, poscia cattedrale, eretta in onore del patrono del borgo, sant’Ambrogio.
E’ facile seguire la storia della fondazione della piazza compulsando i documenti d’archivio. Riservandomi di parlarne diffusamente più tardi, spero, in questa stessa Rivista, credo per ora opportuno darne un sunto, tanto per far conoscere ai lettori l’importante monumento che, per munifica disposizione testamentaria d’un egregio cittadino vigevanese, Giorgio Silva, sta per ritornare al primitivo onore.
Il primo accenno alla costruzione della piazza si trova nel vol.II de’ Convocati del Consiglio de’ XII Sapienti(1), seduta del 28 aprile 1492. Ivi è detto che l’illustrissimo signor Ludovico vuole che sia misurato esattamente “terrenum apotecharum et domorum, que prosternuntur in platea”, e il Consiglio sopracitato elegge a ciò Melchiorre de’ Poesii, Guidetto de’ Giudici e Cristoforo de’ Silva: i consoli in carica, Leonardo Collo e Gerolamo Fantoni, e i signori Ambrogio de’ Gravarona e Giovanni de’ Bosii, appartenenti al Consiglio, sono nella stessa seduta chiamati a soprastare a’ lavori.
Ma più chiaramente si appalesa l’idea del Moro nella lettera del 3 maggio 1492, data a Vigevano e firmata dal Duca Gian Galeazzo Maria, ma senza dubbio inspirata e voluta dallo zio, in realtà il vero signore di Milano. Di tale lettera esiste copia sincrona autentica in un volume cartaceo dell’archivio civico vigevanese dal titolo Registrum litterarum ducalium, volume I, al fol. II V.
Eccone il sunto.
Essendo innanzitutto necessario, per adornare il borgo di Vigevano (allora non era ancora città), costrurre nel mezzo di esso una piazza, “in medio ipso loco plateam extollere”, la quale risponda all’importanza del borgo, data dalla continua dimora della Corte Ducale, “per aule nostre continuam habitacionem”, nonché a’ bisogni degli abitanti, il Duca di Milano, cioè il Moro, incarica Ambrogio da Corte, maestro generale Aule nostre, di prendere tutti i provvedimenti del caso, sia per abbattere case e spianare il terreno, sia per costruire i nuovi edifici necessari “ad platee ornatum” E la piazza dev’essere a portici, e l’abbellimento deve anche estendersi alle vie e alle case limitrofe; il tutto poi dev’essere eseguito secondo un disegno prestabilito. La direzione de’ lavori, come s’è detto, è affidata all’ingegnere da Corte, il quale ha anzi piena facoltà di procedere alla espropiazione dei fabbricati e di punire quelli che osassero opporsi ai suoi ordini od anco semplicemente trascurarli. E perché il lavoro, una volta cominciato, proceda spedito, il prelodato ingegnere può nominarsi uno o più aiutanti, che lo sostituiscano nelle sue assenze.
Lo stesso giorno 3 di maggio, adunatosi il Consiglio de’ XII, dietro richiesta del Moro, veniva deputato un tal Rosso de Ardicii fu Filippo a tenere i conti “tocius calcine, que conducetur jn Vigleuano pro apotecis et edificijs que fierint super platea” Come si vede, i lavori furono subito iniziati.
Ma il guaio più grosso consisteva sempre nella espropriazione delle case vecchie, occupanti l’area della erigenda piazza; laonde fu necessario un provvedimento eccezionale, date le non poche proteste degl’interessati; e il Duca, intendi sempre il Moro, con sua lettera data a Vigevano il 5 maggio (2) mentre rimetteva al Comune, a suo beneplacito, le entrate dl 1493 e degli anni seguenti, volle che quelle del primo anno, cioè del 1493, fossero concesse “a lo Egregio Ambrosio de corte suo maestro de caxa universale, Et per luy distribuite alli damnificati, gitati ad fare la piaza et cussi li portici per li ornamenti de la terra”, indennizzandoli in tal modo “per questo anno….secundo la limitatione et discrecione de esso Ambrosio”.
Così si poterono incominciare i lavori; i quali condotti innanzi vigorosamente, furono ultimati entro il termine di due anni circa. Non pare, però, che la promessa contenuta nella lettera del 5 maggio sia stata pienamente osservata: quindi nuove proteste da parte del Comune vigevanese, richiesta di revisione della sentenza “latta de la piaza nova de Vigeuano per il Magnifico Maestro Ambrosio da Corte” (3) lesiva alla comunità stessa, e conseguente concessione, da parte del Moro, allora Duca di Milano, per tacitarla, della perpetua esenzione dalla tassa de’ cavalli. (4). Un documento poi del 1542 (5) mentre ci fa conoscere l’area precisa espropriata (12 pertiche, 22 tavole, 6 piedi) e il prezzo valutato per ogni pertica (100 fiorini), ci dice che tale somma fu dal Comune sborsata “illis particularibus personis, quorum erant dicte Domus”.
Appena cominciata la costruzione della Piazza, fu abbattuta l’antica abitazione del Podestà, nella quale si trovava eziandio il palazzo comunale; e, dietro ordine del Moro che vi concorse per un anno con la somma di mille ducati, (6) un nuovo e più ampio palazzo fu eretto prospiciente la nuova piazza, nel luogo ove ancor presentemente si trova, sebbene in proporzioni più modeste. In diverse riprese, il suolo della piazza fu spianato e sgomberato de’ vari rottami (7); non risulta che sia stato selciato co’ ciottoli, ma ce lo fa dubitare la venuta a Vigevano di non pochi “ magistri ad solandum stratas”, (8) sebbene essa risalga ad epoca relativamente troppo vicina all’inizio dei lavori della piazza. Lungi da questa, poi, furono portate le beccherie (9) e ogni altro negozio, che non fosse meno che decente; solo fu permesso utilizzarne l’area per il mercato quotidiano (piccolo) e settimanale (grande) (10). Il fatto che il 12 settembre 1494 fu proclamato l’appalto del nuovo plateatico, “Forma incantus plathee Noue communitas Vigleuani, ecc.” dimostra chiaramente che la piazza era allora ormai finita e servibile; l’accenno alle volte del palazzo (porticato), da imbiancarsi, e a tre stemmi da dipingersi sulla facciata anteriore del medesimo, (11) prova eziandio che la decorazione era condotta a buon punto, se non da molto incominciata, nel luglio 1494. Ma v’ha di più. La monca iscrizione DVX – BARRI, che si vede sull’antico portone, ora distrutto, a cavaliere delle vie Mercanti e Beccherie, attesta a sufficienza che la parte decorativa della piazza doveva essere ultimata nell’ottobre 1494, dopo il quale il Moro, morto il suo nipote, si fece proclamare Dux Mediolani.
Ed ora, due parole sulla primitiva decorazione della piazza. Ricordo subito che vari deturpamenti furono ad essa arrecati dai posteri, non molto intelligenti in fatto d’arte; ma i più gravi furono compiuti dal 15° vescovo di Vigevano, Giovanni Caramuele Lobkowitz nel 1681, e dai reggitori del Comune nel 1757. La prima volta, tolta alla piazza quella varietà, che pur la rendeva simpatica, fu dipinta a tinta cenerognola con ornati in gialo all’arcate e alle finestre, quasi ad imitare la nuova facciata del Duomo, opera dello stesso vescovo; la seconda volta fu imbiancata con calce e ornata con una fascia rossiccia e cornici dello stesso colore delle finestre. Nel 1850, infine, si tentò di abbattere completamente la piazza antica, per costruirne una nuova e coi fabbricati più alti: non se ne fece nulla, forse per mancanza di denari, quantunque il progetto di massima e il preventivo della spesa fossero stati preparati, come si possono tuttora ammirare fra le carte dell’archivio!
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Ritornando alla decorazione originaria, noto che essa risulta dall’accoppiamento della policromia col monocromato. Policrome sono le due fascie, la inferiore, più piccola, e la superiore, più grande, e nella quale si trovano incastrati, a mo’ di altrettanti rosoni, gli ovali; policroma è eziando la cornice che gira attorno ad ogni arcata. Gli ornati contenuti nei triangoletti intermedi, al di sopra dei singoli capitelli delle colonne, sembrano essere puramente grafiti a chiaroscuro: nel mezzo di essi, a mo’ di metopa, campeggia un piattello, su cui è dipinto a fresco un ritratto o qualche impresa. Pure grafiti monocromi sono le cornici quadrangolari delle singole finestre ad arco tondo; e forse anche il cornicione sovrastante la fascia o cordone superiore, e sul quale fingono di poggiare le varie mensole sagomate, messe a sostegno delle travi della grondaia. Lo spazio compreso tra ogni mensola è pure decorato a vasi e a piatti; quello, invece, che sta due finestre successive del piano nobile, una specie di pavimento a margherite gialle alternate con stelloni azzurri, dev’essere posteriore; originariamente doveva essere in bianco, se non altro, per far maggiormente risaltare la decorazione delle finestre ad arco tondo.(12)
Ho detto che il vescovo Caramuele tolse alla piazza quella varietà, che, non senza motivo, aveva voluta il suo ideatore. E qui pongo innanzi, timidamente, il nome di Bramante. E valga il vero. Allato che volge a sud, dove incominciano le vie Mercanti (ora Principe Amedeo) e Beccherie (ora Merula), si ammirava un superbo portone, fatto a mo’ degli antichi archi trionfali; ivi appunto si trova la già citata iscrizione DUX-BARRI; e la ricostruzione del medesimo è così facile, che propongo caldamente la si faccia senz’altro. Ecco una prima interruzione della linea generale della piazza. Una seconda interruzione si aveva là, ove sbocca la via del Popolo; una terza, infine, sul lato prospiciente il nord, di fronte al sopraddetto portone; quivi una grande scalinata in pietra viva e una rampa davano accesso al castello, sotto la torre bramantesca, e quivi il lato occidentale della piazza andava a toccare il muraglione del castello stesso. Ad oriente, al posto dell’attuale facciata del Duomo, non v’era porticato, ma si vedevano varie case, e, in fondo, la chiesa di Sant’Ambrogio, con la sua vecchia facciata verso via Bergonzone (ora Carlo Alberto). Che intendesse ivi di fare il Moro, non si sa; certo, se l’ambizione politica non l’avesse rovinato, atterrata la vecchia chiesa con le casupole circostanti, una nuova e più ampia ne avrebbe costrutta, completamente isolata e con la sua fronte verso la piazza.
                               Vigevano, aprile 1902
Alessandro Colombo
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A completamento di questi interessanti cenni dell’egregio dott. Colombo – al quale auguro la ventura di rintracciare larga messe di dati negli archivi del suo paese ed in quelli di Milano, per ricostruire in modo documentale la storia della Piazza Ducale – mi è grato presentare ai lettori de L’Arte la fotografia del rilievo che fu eseguito per ordine del sindaco di Vigevano e sotto la sorveglianza di una commissione locale. Essa ci permette, assai più che le debolissime fotografie ricavate dagli originali, di apprendere il disegno originale di questa decorazione, che però, come è detto nelle pagine del Colombo, non è tutta uniforme, ma presenta quelle varianti che la rendevano in origine più vivace e gradevole.
Questa mirabile decorazione murale, purtroppo guasta dall’umido clima della Lomellina e dai susseguenti ristauri, costituisce un esempio grandioso e abbastanza raro perché meriti uno studio diligente ed accurate indagini, non solo per conoscerne l’autore, ma anche per conservarne le poche parti rimaste e trarre gli elementi per la riproduzione.
La decorazione accompagna ed accentua la struttura architettonica degli edifici; sulle colonne del portico, sormontate da capitelli gentili, girano le arcate leggiere, a tutto sesto, coronate da palmette ricorrenti, separate una dall’altra da medaglioncini con imagini o figure.
Corre al di sopra, a dividere il piano del portico dal piano superiore, una larga fascia racchiusa da due cornici, con un delicato intreccio di testine d’angeli e di vasi sormontati da palmette. Le finestre che danno luce al piano principale, inquadrate in una cornice rettangolare, sono sormontate da archi a tutto sesto, poggianti su pilastrini e ornati, come quelli del porticato, da palmette, e l’una dall’altra disgiunta da colonnine elegantissime a candelabre, che richiamano preclari esempi d’arte lombarda contemporanea, e massime quelli delle finestre nella facciata della Certosa. Gli intervalli tra finestra e finestra sono avvivati da una ricca decorazione a croci e borchie intrecciate da tenie, assai semplice ed elegante. Corre aldi sopra la fascia superiore, nella quale si aprono gli occhi o finestre circolari del piano superiore, di cui le cornici sono bellamente innestate nel concetto decorativo, facendole in parte toccare dalle figure di centauresse chimeriche, le quali, unitamente ai puttini cavalcanti gli struzzi e da mostri chimerici appoggiati a grandi cantari fioriti, corrono lungo la bella e ricca fascia, in qualche punto conservatissima con vivi colori sul fondo oltremare.
L’altra figura rappresenta i residui di quella decorazione che il Colombo suppone una specie d’arco trionfale adducente verso il castello. La struttura architettonica, col potente cornicione reggente sui pilastri, sormontato da attico, ci dà realmente l’idea di un arco trionfale; si aggiunga anche la traccia dell’iscrizione accennante al titolo assunto da Lodovico il Moro: DUX-BARRI, unita ad una delle sue imprese, il leone a lungo berretto, reggenti la pertica coi due secchi ed il motto audace ich hof, io spero, che rivela l’animo dell’astuto ed ambizioso duca di Milano.
Spero anch’io che ulteriori studi portino a conoscere meglio questa bella decorazione, della quale sino a questo momento ignoriamo l’autore. Chi sia stato il collaboratore dell’ingegnere ducale Ambrogio da Corte, non ci è detto dai documenti amorosamente ricercati dal Colombo, il quale non isfugge dalla tentazione di cavar fuori il magico nome del Bramante. Ed invero esso non ci è soltanto suggerito dal fatto accertato della presenza dell’operoso maestro, che in quel torno di tempo prodigava l’immensa attività sua come in varie città lombarde, anche a Vigevano e nella vicina Abbiategrasso, ma dai caratteri stessi della decorazione, nella quale noi vediamo un innegabile influsso bramantesco, temperato però da quel carattere speciale, lussuoso, sovrabbondante di decorazione, che l’architettura del Rinascimento assunse nella terra lombarda. Nella linea sobria ed elegante delle arcate, accentuate dalla corona di palmette, nel disegno corretto dei capitelli, noi sentiamo il riflesso dello stile della Canonica di Sant’Ambrogio, disegnata dal Bramante, come pure una famigliarità coi concetti architettonici noi ravvisiamo nel residuo della decorazione dell’arco trionfale. Il pittore decoratore o consigliato o sorretto dall’esempio e dalla guida del grande architetto, mostra di aver conservato però libertà d’azione, prodigando sulla sua facciata una gradita copia di elementi decorativi, preoccupato non solo di sfuggire l’impressione di vuoto, ma anche dello scopo che tante volte fuorviò dalla retta via i decoratori lombardi del Rinascimento, di colpire lo spettatore con un lusso di particolari e di elementi decorativi e con lo sfarzo del colore, ottenendo cos’ un effetto smagliante e piacevole che il restauro dovrà ridestare al nostro sguardo.
Quell’ignorato maestro appare anche molto più padrone della decorazione che della figura, la quale però, anche nei particolari remoti, è sempre corretta e leggiadra.
Chiudo questi brevi cenni con un voto; che l’ufficio regionale del Piemonte, secondando i desideri della cittadinanza, possa restituire agli edifici della Piazza l’aspetto e la decorazione che essi ebbero, per volere di principe, nella fine del Quattrocento, riproducendo innanzi agli occhi un esempio insigne di un ambiente popolare, abbellito tutto quanto dal delicato sorriso dell’arte.
Antonio Taramell
Note originali
1) I dodici Sapienti (o Presidenti), scelti dal Consiglio Maggiore (o Generale) composto di 60 membri e durante in carica un anno, formavano il così detto Consiglio Minore; una specie di Giunta Comunaleodierna. Da essi si sceglievano i due Consoli e, come questi, restavano in carica tre mesi. Si radunavano ogniqualvolta dovevano dar corso ad apposite ordinanze del Consiglio Generale, e ad esse potevano portare quelle modificazioni che ritenevano del caso. Cif. il mio lavoro Bianca Visconti di Savoia e la sua signoria di Vigevano, in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria, anno 1 (1901), fasc. III, pag. 297-8.
2) Arch. comun. di Vigevano. Reg. litt. ducal., I f. 12.
3) Arch. comun. di Vigevano, cas. 121, cart. 76, fasc. 5
4) Arch. comun. di Vigevano, Simone del Pozzo, Estimo f. 511 v. e f. 515 e seguenti (ms.) Cfr. per questo anche il mio lavoro La fondazione della villa Sforzesca secondo Simone del Pozzo e i documenti dell’Archivio Vigevanasco, in Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino, anno VII (1902), capitolo V.
5) Arch. comun. di Vigevano. op. cit., f.515 v.; e il mio lavoro: La fondazione della villa sforzesca, ecc. ibid. docum. XXIV.
6) Arch. comun. di Vigevano. Convocati del Consiglio de’ XII Sapienti, II, Seduta 24 luglio 1492 – Cif. il mio lavoro L’alloggio del Podestà di Vigevano e il Palazzo del Comune nel secolo XV, pag. 30, n. 20 Mortara-Vigevano, tip. Cortellezzi 1901
7) Arch. comun. di Vigevano. Convocati cit. passim.8) Arch. comun. di Vigevano. cit. Seduta 5 luglio 1492.
9) Arch. comun. di Vigevano. Convocati cit. Seduta 29 maggio 1492.
10) Arch. comun. di Vigevano. Incanti, II f. 89 (12 sett. 1494) e f. 95 (1° marzo 1495) – Sul mercato di Vigevano, cif. il citato mio lavoro Bianca Visconti di Savoia, ecc. pag. 305-8.
11) Arch. comun. di Vigevano. Convocati cit. Seduta 20 giugno e 21 luglio 1494

Note mie

12) In questo passaggio il Colombo si sbaglia. In realtà è originale quattrocentesco anche questo motivo decorativo che si ripete costante tra le finte colonne delle aperture. Lo attesta il recupero e restauro da noi eseguito (Restauri Nicora) sulla porzione di affresco originale all’interno dell’immobile di Piazza Ducale al n. 24.

fonte: passionarte.wordpress.com

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