21/09/17

Piazza Navona: il trionfo del conflitto

Dove le due concezioni dell’arte e delle forme del Bernini e del Borromini dopo una vita di sfide finalmente si danno appuntamento per il duello finale, e dove probabilmente la disputa si conclude con due vincitori.
Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini, geni indiscussi del barocco romano, disseminarono la città eterna di opere che per tutta la loro straordinaria carriera artistica si sono rincorse, specchiate, richiamate, copiate, ispirate le une alle altre in un dialogo complesso e destinato a non finire mai. 
Fin dagli esordi, quando iniziarono entrambi allievi del Maderno nella costruzione di Palazzo Barberini, le loro vicende artistiche si sono intrecciate in modo indissolubile e hanno cosparso di capolavori luminosi, ingannevoli, splendenti e misteriosi ogni angolo di Roma. 
Una storia umana e artistica come quella che ha legato i due artisti più rappresentativi del seicento romano doveva trovare prima o poi un suo luogo fatidico, dove consumare fino in fondo il contrasto fino alle estreme conseguenze.


Questo luogo esiste, e la sfida è divenuta perenne, rinnovando la sua rappresentazione tutti i giorni a tutte le ore sotto gli occhi di tutti i frequentatori, abituali e non, di una delle piazze più giustamente famose del mondo.
E’ piazza Navona, nel cuore della Città.
E’ un antico stadio romano, e ne conserva intatta la forma.
E’ un luogo da sempre dominio dell’acqua, quell’acqua che in ogni angolo di Roma non ci abbandona mai, ora seguendoci ora precedendoci. Gli imperatori romani allagavano lo stadio sfruttando le piene del vicino fiume Tevere e vi organizzavano autentiche battaglie navali, in uno degli spettacoli probabilmente più incredibili del mondo antico.
I palazzi rinascimentali hanno poi seguito il perimetro delle rovine dello stadio romano, e questo è diventato piazza. Ampia, lunghissima, luminosa e vivace.
Nel 1648 il papa Innocenzo X commissiona al Bernini la realizzazione della fontana centrale della piazza, che dovrà fare da base ad uno degli obelischi egizi che si stanno innalzando ai quattro angoli della città.


Esiste, per questa fontana, anche un progetto del Borromini, assai più semplice, razionale, ma certo non molto spettacolare rispetto a ciò che il papato si aspettava. Il concorso viene vinto, si potrebbe dire a mani basse, dal folgorante progetto del Bernini.
Al Borromini comunque venne affidata la ristrutturazione della chiesa di Sant’Agnese in Agone, esattamente di fronte alla fontana. E qui inizia la leggenda, e non potrebbe essere altrimenti giacché i due capolavori si sfidano e si fronteggiano da quasi cinque secoli.
I lavori per la chiesa vennero presi in mano dal Borromini quasi un anno dopo il termine della fontana da parte del Bernini, ed appare quindi strano che il secondo possa aver lavorato anche per sfidare il suo rivale. E’ pur vero però che l’affidamento, o gli indizi in tal senso così come l’intenzione del papa di affidarsi anche all’altro grande architetto per la risistemazione della piazza, potevano essere già noti assai prima, e quindi anche la leggenda è legittima. Del resto, anche fosse tutto frutto della fantasia popolare, il risultato parla agli occhi assai più di qualunque ricostruzione storica. E che sia diretta o indiretta, è una sfida brillante, folgorante e sfacciata che non perderà mai il suo fascino.


La fontana dei quattro fiumi realizzata dal Bernini è probabilmente il suo capolavoro assoluto. Innalza l’obelisco sopra una struttura in marmo complessa e apparentemente fragile. Lui sa benissimo che è solidissima, calcoli e studi della massima precisione ne assicurano la stabilità. La struttura, che crea quattro aperture lasciando il vuoto al centro, riproduce rocce e montagne, e su esse alberi e piante, e fra di esse animali e mostri, e ad ogni angolo un personaggio simbolico che rappresenta un fiume e con il suo fiume uno dei quattro continenti conosciuti. Il Nilo per l’Africa, il Gange per l’Asia, il Danubio per l’Europa e il Rio della Plata per le Americhe. Un giro del mondo simbolico e vertiginoso dominato dallo scorrere dell’acqua, che mai come in questa fontana non si limita a zampillare e a rinfrescare l’aria, ma scivola e modella, crea forme e vi si integra.
E’ un trionfo di simboli e di forme che realizzano il magico effetto di non essere mai statiche. Palme, leoni, delfini, cavalli, serpenti, coccodrilli, rocce scavate, alberi piegati dal vento, luce che si riflette sul marmo e ombre che nascondono le forme all’interno di caverne.
La prima leggenda riporta che il Bernini, assaporando il trionfo, giocò uno scherzo al papa durante l’inaugurazione: mostrò la fontana senza acqua. Ugualmente bellissima e ugualmente da lasciare tutti a bocca aperta, ma certo con una serpeggiante delusione nella folla e nell’illustrissimo ospite, che però, per educazione, non si azzardò a dire nulla. Quasi al momento del commiato quindi, il Bernini diede un ordine convenuto e l’acqua iniziò a sprizzare da tutti gli anfratti, riempiendo la fontana e mettendone in movimento tutte le straordinarie forme. La folla impazzì di meraviglia e di sorpresa, e papa Innocenzo pare abbia esclamato: Cavalier Bernini, con questa vostra piacevolezza ci avete accresciuto di 10 anni di vita!.
La seconda leggenda, quella che interessa anche la storia dei due artisti, è quella celeberrima che vuole il Bernini ironizzare sull’opera del rivale, atteggiando la statua con il personaggio che simboleggia il Rio de la Plata con un braccio alzato verso la chiesa borrominiana, come a voler dire “Questa prima o poi mi casca addosso”.
Se certamente non è vero che la vicina statua del Nilo abbia il volto coperto per non guardare la chiesa (in realtà il drappo stava a significare che le sorgenti del fiume erano ancora sconosciute), sulla mano alzata a protezione del famoso personaggio è legittimo che resti il dubbio, e ancor più che legittimo è eternamente divertente.
Allo stesso modo nulla può far escludere del tutto che il Borromini, una volta presi in mano i lavori per la chiesa e avendo di fronte lo sberleffo scultoreo del rivale, non abbia proprio per questo accentuato la concavità della facciata e l’avanzamento dei due campanili, dando innegabilmente all’osservatore che si pone sotto di essa l’impressione che l’intero edificio sporga in avanti quasi a cadergli addosso. Di certo è che l’effetto ottico, di cui Borromini era maestro indiscusso, accentua la mole della cupola e la slancia verso l’alto. Più che legittimo però che anche qui resti il dubbio sul significato del restante effetto, e che uno come lui non abbia ottenuto un tale effetto di curvatura in avanti per puro capriccio, men che mai per caso, di certo mai e poi mai per errore. In ogni caso le polemiche, queste invece ben documentate, non mancarono, tanto che le svariate insinuazioni sulla tenuta statica dell’edificio e sul suo peso eccessivo sui pilastri sfociarono addirittura nell’estromissione del Borromini prima del termine dei lavori (polemiche infondate, giacché la chiesa è ancora oggi ritta e ben piantata), provocandogli una delle tante delusioni che minarono il suo animo lungo tutta la sua vita.
La chiesa di Sant’Agnese in Agone comunque, al di là delle dispute e dei pettegolezzi, è di una bellezza commovente. E’ maestosa e insieme proporzionatissima alla piazza, senza mai invaderla, senza mai offuscarne le altre bellezze. E’ in equilibrio instabile e perciò mai statico con ogni altro elemento, e soprattutto appare quasi in simbiosi con la straordinaria fontana ai suoi piedi. Mai come a piazza Navona le due anime artistiche così distinte e così profondamente divergenti trovano un punto di miracolosa sintesi, restando separate ed in contrasto in ogni singola curva e al tempo stesso indispensabili una all’altra. Un miracolo terreno, fatto di acqua, di marmo, di scienza e di passione. Un capolavoro impalpabile custodito da due capolavori ben concreti. La soluzione finale di una equazione sublime il cui risultato è infinito su infinito.


Ogni percorso, o viaggio, nel barocco romano dovrebbe concludersi qui, nel luogo dove esso raggiunge il suo apice e con esso la sua sublimazione, e dove questi vengono perpetuati non solo dai fatti e dalle opere, ma anche dalle vite, dalle storie popolari, dalle bassezze terrene e dalle leggende che a questi si accompagnano. Di certo mai come in Piazza Navona tutti questi aspetti si fondono in un unicum senza distinzioni nette e senza possibilità di sciogliere definitivamente i dubbi. Di certo proprio questo ne aumenta a dismisura la grandezza.


I due straordinari artisti che hanno dato vita a questa meraviglia rappresentano il sistema nervoso della Roma barocca, i suoi neuroni, le sue sinapsi e i suoi scatti di ira e di vigore. Senza giraci intorno, le nostre simpatie vanno senza dubbio al Borromini, come si simpatizza sempre per il fratello più sfortunato o per l’anatroccolo più brutto, ma è evidente che la disputa sulla grandezza dell’uno o dell’altro è destinata a non risolversi mai, tanto diversi e tanto complementari si sono sempre dimostrati, e tanto l’opera dell’uno ne verrebbe sminuita se dovesse sparire d’un colpo l’opera dell’altro.
Sulla natura delle loro diversità invece molto ancora si potrebbe dire e molto potrebbe ognuno di noi scoprire ed aggiungere sui pregi e sui difetti dell’uno e dell’altro, affinché in ciascun lettore e osservatore si possa insinuare un conseguente dubbio da coltivare come preziosa ricchezza.
E che ognuno, secondo la propria percezione e secondo il proprio sguardo, possa autonomamente scegliere e tracciare il labile confine che separa l’Architetto dal Genio.
Del resto, loro per primi ce l’hanno insegnato: la percezione è relativa, e lo sguardo ingannevole.

Fontana dei Quattro Fiumi- Piazza Navona (1648 - 1651)
Gian Lorenzo Bernini
Napoli, 7 dicembre 1598
Roma, 28 novembre 1680

Sant’Agnese in Agone – Piazza Navona (1653–1657)
Francesco Borromini, nato Castelli
Bissone, 25 settembre 1599
      Roma, 3 agosto 1667

Alessandro Borgogno 

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/

PS: Questo articolo è un estratto, personalizzato per il blog “viaggiatori che ignorano”, di un capitolo del libro “Il Genio e l’Architetto” dello stesso autore, edito da L’Erudita Editrice.


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