28/07/16

PPP - 16 -

PIER PAOLO PASOLINI E PHILIPPE SÉCLIER SULLA “LUNGA STRADA DI SABBIA”


Lerici © Philippe Séclier
1959. Lo scrittore Pier Paolo Pasolini, alla guida di una Fiat Millecento, percorre le coste dell’Italia: partenza da Ventimiglia a giugno, arrivo a Trieste ad agosto.
Nel corso di quel pellegrinaggio laico tra famose località marittime – Sanremo, Livorno, Fregene, Napoli, Taranto, Siracusa, Pescara, Ancona, Venezia, sono alcune delle mete raggiunte – Pasolini redige un diario di viaggio (un «piccolo, stenografato “Reisebilder”», lo definisce) che, tra il luglio e il settembre dello stesso anno, viene pubblicato in tre puntate sulle pagine della rivista “Successo” con il titolo “La lunga strada di sabbia”.
2001. A quarantadue anni dal tour pasoliniano, il fotografo francese Philippe Séclier, dopo aver letto il reportage, decide di andare a «vedere ciò che lui aveva visto, capito e sentito, lanciarmi a mia volta su quella strada in sua compagnia, per percorrerla come lui l’aveva descritta».
2015. La casa editrice Contrasto, quarant’anni dopo la tragica morte di Pasolini (2 novembre 1975), pubblica i testi del diario di viaggio – alcuni dei quali inediti – nel libro “La lunga strada di sabbia” (stesso titolo del reportage del ’59), con le bellissime fotografie che Séclier ha realizzato nei luoghi visitati dallo scrittore: «In ogni foto che scatto», ha detto, «spero ci sia un’eco delle sue parole».
Infine, dallo scorso autunno, questo indimenticabile ritratto del Paese è accessibile anche a un pubblico anglofono, grazie alla recente traduzione del volume, pubblicata sempre dalla casa editrice Contrasto.
Qui di seguito, alcuni frammenti delle parole di Pasolini e una piccola antologia delle foto di Séclier.
Quella notte a Napoli non sono andato a dormire: ho girato come un pazzo: là si poltriva in mezzo ai giardini, qua si inaugurava un nuovo caffè, tutto rosso, il Caffè del Sole, là marinai combinavano con donne, lungo ammassi di barche, qua borghesi si dondolavano alle sdraie dei bar scintillanti. Tre o quattro volte sono andato e tornato da Posillipo. Ho fatto l’aurora, ho visto il Vesuvio, vicino che si poteva toccarlo con la mano, contro un cielo, ormai rosso, avvampante, come non riuscisse più a nascondere il Paradiso (Napoli, luglio).
Percorro la costa che il Boccaccio, settecento anni fa, in una sua novella ha chiamato la più bella costa del mondo. Lo è. Fulminata dal sole, è rimasta identica nei secoli, emanando fisicamente bellezza, come se la bellezza fosse una bava, un alone, un raggio. Cosa unica al mondo, qui la bellezza produce direttamente ricchezza. La gente vive in una specie di agio tranquillo, lasciando che la bellezza lavori per lei (da Napoli a Vallo Lucano, luglio).
Ravello è come in uno sperone, sospeso nel vuoto, in fondo a cui si stendono colline che strapiombano sul mare. Ma te ne accorgi solo alla fine, quando giungi alla Villa Cimbrone, che è il punto supremo di Ravello. In capo alla strada ti si para davanti un portoncino, entri, e non puoi non gridare dalla meraviglia: subito, a sinistra uno stupendo chiostro, poi un delizioso palazzetto, e davanti un viale per un giardino favolosamente neoclassico, che finisce di colpo, laggiù, contro il cielo (da Napoli a Vallo Lucano, luglio).
Io cammino per la piccola spiaggia deserta, ai piedi del paese. E nel silenzio che c’è fuori e dentro di me, sento come un lungo, afono crollo. L’intera costa pugliese si sfa in questa quiete, dopo avere infuriato ai miei occhi, ai miei orecchi, per mattinate e meriggi di caos preumano, sottoumano. Lo sperduto Salento, severo come una landa settentrionale, coi suoi paesi greci in sciopero secolare; poi l’esplosione di Brindisi, la più caotica, furente, rigurgitante delle spiagge italiane; e le stupende Otranto e Ostuni, le città del silenzio del Sud; e Bari, il modello marino di tutte le città, poi, fino al Gargano: con la cattedrale, di suprema bellezza, sul mare, e, sotto, i neri, biondi malandrini nudi tra gli scogli (Rodi Garganico, luglio).
Grado è a due passi, appena oltre Aquileia, oltre il nuovo sottile ponte, piatto tra le piatte isole, la piatta acqua lagunare. Il grigio-azzurro del suo cielo e il verde dei suoi alberi friulani, il vermiglio e il cobalto attutiti del suo porticciolo, e l’oro dei capelli della sua gioventù, ne fanno un luogo dell’anima (da Venezia a Trieste, agosto).
Ogni volta che parto da qualche posto, anche se ci sono stato solo poche ore – e i miei amici ne ridono – ci lascio sempre un pezzetto sanguinante di cuore.
Le fotografie di Philippe Séclier sono tratte dal libro “La lunga strada di sabbia” (Contrasto, Roma 2015).

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