31/10/15

in regalo anche Poste Italiane, 600 milioni l’anno di profitti

È partita lunedì scorso la privatizzazione di Poste Italiane, che verrà realizzata attraverso la collocazione sul mercato di azioni della società corrispondenti a poco meno del 40% del capitale sociale. L’obiettivo dichiarato dal governo Renzi è l’incasso di circa 4 miliardi da destinare alla riduzione del debito pubblico. Già da questa premessa emerge il carattere ideologico dell’operazione: l’incasso di 4 miliardi di euro comporterà, infatti, un drastico calo del nostro debito pubblico dall’attuale vertiginosa cifra di 2.199 miliardi di euro (dati Banca d’Italia, fine luglio 2015) alla cifra di 2.195 miliardi (!). Senza contare il fatto di come l’attuale utile annuale di Poste Italiane, pari a 1 miliardo di euro, andrà calcolato, come entrate per lo Stato, in 600 milioni di euro/anno a partire dal 2016. Si tratta di un evidente rovesciamento ideologico della realtà: non è infatti la privatizzazione di Poste Italiane ad essere necessaria per la riduzione del debito pubblico, quanto è invece la narrazione shock del debito pubblico ad essere la premessa per poter privatizzare Poste Italiane.
Fatta questa premessa, occorre aggiungere come anche il prezzo di vendita del 40% di Poste Italiane sia stato ipotizzato al massimo ribasso, prefigurando, ancora una volta, la svendita di un patrimonio collettivo. Infatti, mentre Banca Imi, filiale di Poste ItalianeIntesa Sanpaolo, attribuiva, non più tardi di una settimana fa, un valore a Poste Italiane compreso fra gli 8,95 e gli 11,42 miliardi di euro, e mentre Goldman Sachs parlava di una cifra compresa i 7,9 e i 10,5 miliardi, ai blocchi di partenza della vendita delle azioni la società risulta valorizzata fra i 7,8 e i 9, 79 miliardi. A questo, vanno aggiunti tutti i fattori di rischio insiti nell’operazione, legati al fatto che mentre si decide di privatizzare un servizio pubblico universale, consegnandolo di fatto alle leggi del mercato, se ne rafforza al contempo, per rendere più appetibile l’offerta, il carattere monopolistico nel campo dei servizi oggi offerti, per i quali non v’è invece alcuna certezza rispetto al domani: parliamo dell’accordo vigente con Cassa Depositi e Prestiti per la gestione del risparmio postale (1,6 miliardi di commissione), così come dei crediti vantati da Poste nei confronti della pubblica amministrazione (2,8 miliardi). Senza contare come la società abbia in pancia strumenti di finanza derivata, il cui “fair value”, al 30 giugno 2015, risulta negativo per 976 milioni di euro.
Ma aldilà di queste considerazioni economicistiche, è a tutti evidente come, con il collocamento in Borsa del 40% di Poste Italiane muti definitivamente la natura di un servizio, la cui universalità era sinora garantita dal suo contesto di garanzia pubblica, che permetteva, attraverso i ricavi realizzati dagli uffici postali delle grandi aree densamente urbanizzate, di poter mantenere l’apertura di uffici, spesso con funzioni di presidio sociale territoriale, in tutto il territorio italiano, a partire dai piccoli paesi. E’ evidente come la privatizzazione in atto inciderà soprattutto su questo dato: per i dividendi in Borsa diverrà assolutamente necessario il taglio dei rami economicamente secchi, ovvero la drastica riduzione degli sportelli nelle aree poco popolate. E, infatti, il piano industriale già prevede – ma sarà solo l’assaggio – la diversificazione dei modelli di recapito, che Renzida ottobre 2015 rimarrà quotidiano per nove città definite ad “alta densità postale”, mentre diverrà a giorni alterni per 5267 comuni.
Quasi tautologico sottolineare l’impatto sul mondo del lavoro, che vedrà una drastica riduzione – si parla nel tempo di 12-15.000 posti in meno – oltre al sovraccarico di ritmi per quelli che avranno la fortuna di essere sfuggiti alla mannaia. Di fatto, con la privatizzazione di Poste Italiane si cerca di rendere espliciti processi che già con la precedente trasformazione in SpA erano rimasti sotto traccia: un’attenzione sempre più residuale al servizio di recapito postale (anche per motivi legati all’innovazione tecnologica) e un accento sempre più marcato sul ruolo finanziario di Poste Italiane, che, oggi, grazie alla capillarità dei suoi presidi territoriali (13.000 sportelli), costruiti negli anni con i soldi della collettività, può tranquillamente lanciarsi in Borsa sfruttando la fidelizzazione dei cittadini accumulata in decenni di ruolo pubblico, per metterla a valore in prodotti assicurativi, finanziari e in sempre più spregiudicate speculazioni di mercato. Stupisce, ma fino a un certo punto, la totale condiscendenza dei principali sindacati ad un percorso che non avrà che ricadute negative sia sul fronte del lavoro che su quello dei servizi per i cittadini. Non vale la foglia di fico dell’azionariato popolare, che in realtà rende la truffa ancor più compiuta: con le azioni per i dipendenti e gli utenti si fa un ulteriore favore ai grandi investitori, che potranno controllare la società senza neppure fare lo sforzo di mettere soldi per acquistarla.
(Marco Bersani, “La Posta in gioco”, da “Megachip” del 16 ottobre 2015).

fonte: www.libreidee.org

27/10/15

le sorelle Macaluso

grandissima Emma Dante.
dopo la deusione (ma non cocente, niente di grave) del suo film di due anni fa, Via Castellana Bandiera, mi sono ritrovata felice e contenta al Piccolo Teatro Grassi a vedere questo gioiellino teatrale.
poco più di un'ora di spettacolo ma così intenso, così speciale, così genialmente narrativo, così schietto ed emozionante da non credersi.
la condensazione mi sembra un elemento fondamentale del lavoro teatrale della Dante, dove la narrazione non si sofferma su lunghi interminabili dettagli di parola (ieri sera ho visto Morte di un commesso viaggiatore all'Elfo Puccini e avrei voluto sparare a qualcuno tanto la parola veniva esasperata ripetuta ossessivizzata, e quindi annullata, fino alla noia se non alla rabbia in tre ore e mezza di spettacolo) ma trova soluzioni inedite e francamente geniali per arrivare al cuore della storia, e al cuore dello spettatore.
si inizia con un funerale e si finisce con lo stesso. la sorella maggiore è morta e celebra la sua non vita (come inconsapevole di essere morta) celebrando il sogno della sua vita, la danza.
e qui è dura non tremare, è dura non cedere a un senso di perdita, alla perdita, più che della vita, del sogno.
e tutta la storia vede la terra del sud, l'accento della lingua di Sicilia ma non solo, fare da padrona sul senso della vita, il suo ritmo, le sue cadenza, i suoi riti. è un omaggio maestoso alla terra di origine, alla madre terra, alla Grande Madre. le sorelle sono corpi di sorellanza e si mostrano, si trasformano, si amano e si odiano, anche si uccidono. tutto è segno, tutto è simbolo, anche il mare, tanto agognato e alla fine concesso, grande culla della vita, e luogo di morte.
eccola la vita segnata dalle mancanze, mancanza di madre, mancanza di padre, mancanza di riconoscimento che poi trabocca di un pieno, pieno di baldanza, di chiasso, di unione, di complicità.
spettacolo indimenticabile, tra ironia e leggerezza, tra tragedia e cordoglio, pettegolezzo fatuo e ferocia della parola, amore soffocante e vuoto di senso, ovvero la famiglia, la vita, e il suo opposto, la disgregazione.
sembra impossibile, eppure è tutto lì, nel linguaggio della Dante, in un'ora o poco più.




fonte: nuovateoria.blogspot.it

25/10/15

Luigi - 5 -



FABRIZIO DE ANDRE' - PREGHIERA IN GENNAIO

vaccini: una truffa di Stato legittimata dalla Corte dei Conti

estratto deliberazione Corte dei Conti numero 16/2009



di Gianni Lannes


Invece di arrestare un gravissimo illecito governativo, la suprema corte contabile del belpaese ha fatto finta di niente (deliberazione 16/2009). Di che si tratta? Ma dell’emergenza fabbricata in laboratorio, e di 24 milioni di dosi del relativo vaccino. Novartis ringrazia di tanta grazia. A proposito: perché il solito Renzi non risponde agli atti parlamentari in materia? E perché i responsabili di queste gravissime illegalità non sono finiti sotto processo, inclusi i giudici contabili che hanno avallato l'affare? Secondo il Codacons, che ha sporto denunce, a causa di questo andazzo iregolare si registra una "maggiore spesa annua pari a 114 milioni di euro per vaccini inutili e pericolosi". 

Tra le nuove “emergenze” che la Protezione civile deve affrontare per ordinanza spicca il «rischio sanitario», competenza direttamente sottratta al ministero della Salute. Un primo assaggio di cosa la Protezione civile può fare in questo campo è possibile assaporarlo rileggendo le ordinanze che riguardano l’influenza aviaria. E osservando il fallimento delle vaccinazioni: 24 milioni di dosi, per meno di 900 mila somministrazioni. Il 31 luglio 2009 Berlusconi, su proposta di Bertolaso, vara l’ordinanza 3798, in seguito il 17 marzo sforna l’ordinanza 3860. Afferma che il ministero del Lavoro e del welfare può «acquisire in termini di somma urgenza la fornitura di dosi di vaccino, farmaci antivirali e i dispositivi di protezione individuale necessari per assicurare la vaccinazione di almeno il quaranta per cento della popolazione». Tutto ciò grazie ai «poteri» concessi da un’altra ordinanza, varata sei anni prima, la 3275 del 2003. Cosa ha che fare questa vecchia ordinanza con l’emergenza influenzale? Nulla, a un primo sguardo. L’ordinanza del 2003 concede al solito Bertolaso i gradi di commissario per «fronteggiare l’emergenza derivante dall’attuale situazione internazionale». 

Era l’epoca dell’antrace, un’altra emergenza inventata a tavolino per spaventare la popolazione ed imporre controlli polizieschi indiscriminati. Sei anni dopo l’ordinanza è ancora in vigore, non aveva limiti di tempo. Quindi quelle deroghe e quei poteri sono ancora validi. Tra cui la possibilità di «acquisire a trattativa privata, anche mediante affidamenti diretti, la disponibilità delle necessarie forniture di prodotti sanitari». Da qui il contratto capestro con la Novartis: 184 milioni di euro buttati al vento. Violando, per decreto, le leggi. E qualcche spudorato si ostina a chiamare democrazia, un regime dittatoriale che ha passato il testimone a ben tre primi ministri pro tempore, imposti dal Napolitano ma non votati dal “popolo sovrano”.

In Italia, paese a sovranità azzerata, esiste un corpus legislativo parallelo. Mai approvato dal Parlamento. Il cui obiettivo è quello di rendere inapplicabili le leggi, per liberare da ogni vincolo l’azione dell’esecutivo. Sono esattamente 679 le ordinanze di Protezione civile varate dal 2001 al 2009, a firma di Guido Bertolaso: una ogni cinque giorni. Ognuna di esse consente a un commissario straordinario di agire «in deroga alle norme vigenti». Non solo per calamità naturali, ma anche per “grandi eventi”, per costruire strade e parcheggi, per edificare quartieri, piscine, inceneritori, discariche, fino al deposito unico di scorie nucleari. Queste leggine d’emergenza,  poi entrano a far parte delle leggi ordinarie.  
riferimenti:







fonte: sulatestagiannilannes.blogspot.it

23/10/15

la Spagnola 20 milioni di morti


Fonte: Dr. Rebecca Carley
Tratto dal libro di I. Honorof, E. McBean, Vaccination The Silent Killer (ovvero Vaccinazione il killer silenzioso) pag. 28.
imageSono molto poche le persone che si rendono conto del fatto che la peggiore epidemia che abbia mai colpito l’America, la cosiddetta Influenza Spagnola del 1918 sia stata causata dalla massiccia campagna di vaccinazione portata avanti in tutta la federazione [statunitense].
I dottori hanno detto alla popolazione che la malattia era causata dai germi. I virus non erano ancora noti ai tempi altrimenti sarebbero stati incolpati loro. Germi, batteri e virus, assieme ai bacilli ed ad un piccolo numero di altri organismi invisibili sono i capri espiatori sui quali i medici amano far ricadere la colpa delle cose che non comprendono. Se un medico compie un errore nel formulare una diagnosi e prescrivere la terapia, e uccide il suo paziente, può sempre dare la colpa ai germi, ed affermare che l’infezione del suo paziente non era stata precedentemente diagnosticata e che quindi era venuto da lui troppo tardi.
Se torniamo indietro al 1918, il periodo nel quale esplose l’influenza, noteremo come essa esplose subito dopo la fine della prima guerra mondiale quando i nostri soldati stavano ritornando a casa da oltre oceano. Questa fu la prima guerra nella quale tutti i vaccini allora noti furono somministrati obbligatoriamente a tutti i militari. Questo guazzabuglio di veleni farmacologici e di proteine putride di cui i vaccini erano composti, causò una tale diffusione di malattia e di morte tra i soldati che era un comune soggetto di discussione il fatto che i nostri uomini venivano uccisi più dalle iniezioni dei medici che dalle pallottole delle armi da fuoco.
Molti furono resi invalidi e tornarono a casa o finirono in un ospedale militare, come dei rottami senza speranza, prima ancora di avere visto un girono di battaglia. La percentuale di malattie e morti tra i soldati vaccinati fu quattro volte maggiore rispetto ai civili non vaccinati. Ma questo non fermò i promotori dei vaccni. I vaccini sono sempre stati un grande business, e così si continuò ostinatamente ad utilizzarli.
Fu una guerra più breve di quanto non avessero pensato i produttori di vaccini, durò solo un anno per noi, e così ai produttori dei vaccini restarono una quantità di vaccini inutilizzati e andati a male che volevano vendere ricavandoci un buon profitto. E così essi fecere ciò che fanno usualmente, fecero una riunione a porte chiuse e progettarono tutto lo sporco programma, un’operazione di vaccinazione federale (mondiale) che utilizzasse tutti i loro vaccini, raccontando alla popolazione che i soldati stavano tornando a casa con molte terribili malattie contratte in paesi stranieri e che era un dovere patriottico di ogni uomo donna o bambino di proteggersi correndo ai centri di vaccinazione e facendo tutte le iniezioni.
La maggior parte della gente credette ai propri medici ed agli ufficiali governativi, e fece quanto fu loro consigliato. Il risultato fu che la quasi totalità della popolazione si sottopose alle iniezioni senza essere sfiorata dal dubbio, e fu solo una questione di ore prima che la gente iniziasse ad agonizzare e morire, mentre molti altri collassarono colpiti da malattie di una tale virulenza che nessuno aveva mai visto niente del genere prima d’allora.
Tali malattie avevano tutte le caratteristiche delle malattie contro le quali le persone erano state vaccinate, la febbre alta, i brividi, il dolore, i crampi, la diarrea, etc. della febbre tifoidea, la congestione alla gola ed ai polmoni simile a quella della polmonite e tipica della difterite, il vomito, il mal di testa, la debolezza e il tormento dell’epatite causata dai vaccini contro la febbre della giungla, e la manifestazione di piaghe sulla pelle causata dai vaccini contro il vaiolo, insieme alla paralisi causata dall’insieme dei vaccini, etc.
I medici furono sconcertati, e dissero che non conoscevano la causa di questa strana e mortale malattia, e che certamente non avevano alcuna cura. Avrebbero dovuto sapere che la causa nascosta furono le vaccinazioni, perché la stessa cosa successe ai soldati dopo avere ricevuto le iniezioni vaccinali nelle caserme. I vaccini per la febbre tifoidea causarono una forma ancora peggiore della stessa malattia, che chiamarono para-tifoide. Quindi cercarono di sopprimere i sintomi di questa malattia con un vaccino più forte, che causò a sua volta una malattia ancora più perniciosa, che uccise e rese disabili una gran quantità di uomini.
La combinazione di tutti quei vaccini tossici che fermentavano assieme nel corpo, causò tali violente reazioni che i medici non riuscirono ad affrontare quella situazione. Il disastro si diffuse rapidamente negli accampamenti. Alcuni ospedali militari furono riempiti esclusivamente di soldati paralizzati, e furono considerati infortuni di guerra, anche se avvenuti prima hce abbandonassero il suolo Americano. Ho parlato con alcuni dei sopravvvissuti a questo massacro vaccinale quando ritornarono a casa dagli accampamenti dopo la guerra, ed essi mi raccontarono degli orrori, non della guerra in sé stessa e delle battaglie, ma delle malattie diffuse negli accampamenti.
I medici non volevano che la diffusione di questa malattia causata dai vaccini si ritorcesse contro di loro, e così di misero d’accordo tra di loro per chiamarla Influenza Spagnola. La Spagna era un luogo molto lontano, ed alcuni dei soldati erano stati lì, così l’idea di denominarla Influenza Spagnola sembrò un’ottima scelta per incolpare qualcun altro. Gli Spagnoli si risentirono del fatto questo flagello mondiale aveva preso la denominazione da loro. Essi sapevano che la malattia non aveva avuto origine nel loro paese.
image
Venti milioni di persone morirono in tutto il mondo di quell’epidemia influenzale e sembrò toccare tutti i paesi che furono raggiunti dalla vaccinazione. La Grecia e poche altre nazioni, che non accettarono il vaccino, furono le uniche a non essere colpite dall’influenza. Questo non dimostra forse qualcosa?
A casa (negli U.S.A.) la situazione era la stessa; gli unici che sfuggirono all’influenza furono quelli che rifiutarano le vaccinazioni. La mia famiglia ed io fummo tra i pochi che persistettero nle rifiutare le forti pressioni della propaganda, e nessuno di noi ebbe l’influenza, nemmeno uno po’ di raffreddore, a dispetto del fatto che i malati erano tutto intorno a noi, e nel mezzo del periodo più freddo dell’inverno.
Tutti sembravano averla presa. L’intera città era prostrata, tutti malati o morenti. Gli ospedali erano chiusi perché i dottori e gli infermieri erano stati colpiti dall’influenza. Tutto era chiuso, le scuole, gli uffici, le poste, tutto insomma, Nessuno andava per strada. Era come una città fantasma. Non c’erano medici per prendersi cura degli ammalati, e così i miei genitori andarono di casa in casa facendo il possibile per aiutare le persone colpite dalla malattia. Passarono tutto il giorno e parte della notte per alcune settimane al capezzale dei malati, e tornavano a casa solo per mangiare e per dormire.
Se i germi o i virus o i batteri, o qualsiasi altro piccolo organismo fosse stato la causa di quella malattia, essi avrebbero avuto moltissime opportunità di attaccarsi ai miei genitori e colpirli con la malattia che aveva prostrato il mondo intero. Ma i germi non erano la causa di quella o di qualche altra malattia, e così non ne furono colpiti. Ho parlato con poche altre persone dopo di allora, che dicevano di essere sopravvissute all’influenza del 1918, e così ho chiesto loro se si erano vaccinate, e tutte quante mi hanno riferito di non avere mai creduto nella validità dei vaccini e che non ne avevano fatto nemmeno uno. Il buon senso ci mostra che tutti quei vaccini tossici iniettati insieme nelle persone non potevano fare a meno di causare un pesante avvelenamento dei corpi, e l’avvelenamento di un qualche tipo é usualmente la causa della malattia.
L’influenza del 1918 fu la più devastante che abbiamo mai affrontato, e nel tentativo di debellarla furono usate tutte le sostanze conosciute nell’armamentario medico; ma l’aggiunta di questi farmaci, ognuno dei quali rappresenta un veleno, non fece altro che intensificare la condizione di iper-avvelenamento dei malati, in maniera tale che il trattamento della malattia uccise in realtà più di quanto non fece l’influenza stessa.
Tradotto da: Fonte – www.losai.eu
http://ununiverso.altervista.org/blog/libro-shock-abbiamo-barattato-orecchioni-e-morbillo-contro-cancro-e-leucemia/#

http://altrarealta.blogspot.it/

il terrore dei terroristi

Non è un segreto che la Russia ha inviato nell’aeroporto internazionale Basil al-Assad di Lataqia (Siria), un distaccamento avanzato composto da 1-2 compagnie della 810° Brigata di Fanteria di Marina, supportata da 7 carri armati T-90MS e 3 obici semoventi 2S23 Nona-SVK. Il trasporto è stato attuato su un convoglio costituito da una nave d’assalto anfibia classe Ropucha scortata da due cacciatorpediniere lanciamissili della Flotta del Mar Nero russa. La missione della Fanteria di Marina russa è proteggere l’aeroporto per permettervi ai russi un possibile dispiegamento di forze e mezzi.

Va ricordato che nell’aeroporto ha anche sede il 618° squadrone di elicotteri dell’esercito siriano, equipaggiato con mezzi russi Mi-14, Ka-25 e Ka-27. Utilizzando l’aereo-cargo Antonov An-124 (da 100 t), i russi hanno già creato una testa di ponte in Iran e Iraq per trasportare le munizioni necessarie alla fanteria.


Quale può essere l’obiettivo dei russi in Siria?

La prima ipotesi è chiara e proviene dalle dichiarazioni dei russi, secondo cui i soldati russi addestrano quelli siriani su nuovi tipi di armi necessarie per neutralizzare il SIIL. Per la Russia si tratta dell’occasione per testare in condizioni di combattimento i nuovi velivoli, come il Su-34, in grado di volare per due ore senza rifornimento, imbarcando un carico di 9000 kg (bombe e missili) e capace di affrontare 10-36 obiettivi per missione. Rileva bersagli terrestri dalle piccole superfici riflettenti ad una distanza di 75-150 km. I sensori di bordo selezionano i bersagli terrestri in base a velocità o radiazione termica, permettendogli di rilevare e colpire con le armi di bordo qualsiasi veicolo, anche nascosto, in movimento o che abbia spento il motore da due ore. Un altro tipo di aereo russo ancora da testare in battaglia è il Su-35.

La seconda ipotesi della presenza russa in Siria è stata diffusa da funzionari degli Stati Uniti. L’uso del territorio e dello spazio aereo della Repubblica araba siriana da parte dell’esercito russo per neutralizzare il SIIL. Perciò, la prima azione sarebbe paracadutare o eliportare due brigate di forze speciali dalla grande mobilità al confine tra Siria e Iraq. Lo scopo della manovra sarebbe frammentare il dispiegamento del SIIL, sigillando il confine per vietare i trasferimenti di truppe del SIIL in Siria. Il secondo passo sarebbe scatenare l’offensiva da parte di una forza aerea russa composta da 20 aerei da ricognizione, con o senza equipaggio, 200 aerei da combattimento e 400 elicotteri d’attacco e trasporto, con l’obiettivo di ridurre drasticamente la manovrabilità e la potenza del SIIL. 


L’obiettivo può essere raggiunto dagli aerei russi neutralizzando veicoli antiaerei, di supporto, blindati, depositi di carburante e munizioni, e disturbando il comando del SIIL in territorio siriano. Ciò è possibile perché, una volta dispiegati i sistemi missilistici S-300PMU2 e S-400 e i MiG-31 siriani, l’aeronautica russa avrà la supremazia nello spazio aereo siriano. La terza fase sarebbe un’operazione combinata aeroterrestre con un corpo di spedizione composto da 4 brigate, combinando potenza di fuoco, precisione e grande mobilità. 

I russi potrebbero usare, per la prima volta, i nuovi blindati Bumerang, Kurganets-25, T-15 e T-14 Armata, il cui design s’ispira all’operazione Desert Storm del febbraio 1991. Tenendo conto del fatto che ci sarebbero 5000 combattenti del SIIL attivi in Siria, la missione russa dovrebbe essere di breve durata, circa 4-6 giorni e dal successo sicuro all’83-87%. Il vantaggio creato dalla neutralizzazione del SIIL in Siria per la Russia potrebbe generare una richiesta simile dal governo iracheno.

Spetsnaz

I tagliagole ne hanno combinate di tutti i colori, convinti di essere protetti dal combinato disposto anglo-franco-americano da una parte e dal connubio israelo-saudita dall'altra, ma adesso sono chiamati a una pesante resa dei conti e non immaginano nemmeno il guaio che sta per piombare loro addosso: Spetsnaz, ovvero macchine da guerra addestrate a vincere o morire nel tentativo di portare a termine la missione. 

Una resa dei conti che i loro protettori non potranno evitare, come il Primo Ministro israeliano si è sentito bruscamente dire da Putin durante la sua recente visita a Mosca..."le frontiere della Siria, sono le frontiere della Russia..."

Terminato l'addestramento, gli Spetsnaz ricevono il simbolo del lupo: i lupi cacciano in branco, sconfiggendo prede anche molto più grandi di loro e causando il massimo danno possibile. Siamo ben consapevoli di ciò che sono in grado di fare le Forze Speciali occidentali, ma per gli Spetsnaz, il discorso è diverso. Vanno oltre.
“Il terrore dei terroristi” titolano i giornali in Russia. Ed è proprio così perché per loro portare a termine la missione è più importante degli effetti collaterali. Tagliagole dell’Isis e di Al Nusra, foreign fighters e mercenari, stanno per affrontare qualcosa di mai visto in battaglia. Stiamo parlando di un distillato di ferocia associata ad asimmetria purissima, forse nel suo punto più alto e per certi versi più terrificante. E, spiace dirlo, contro simili tagliagole, non potevano essere schierati che uomini del genere. Uomini in grado di... Lo sa Putin, lo sanno i russi e lo sanno anche gli americani che potranno adesso constatare sul campo cosa realmente accadrà in un confronto tra Forze Speciali russe e occidentali.
Checchè ne pensino i buonisti di casa nostra, noi siamo in guerra contro lo Stato islamico. In guerra. E a poche migliaia di chilometri da qui si stanno compiendo delle barbarie inaudite in nome di interessi inconfessabili occidentali e sauditi, mascherati in loco da una perversa interpretazione della religione. Una perversa strategia del caos che sta riversando centinaia di migliaia di profughi in Europa. Dopo mesi di oscene manfrine, di una guerra aerea dichiarata ma non attuata e di un rincorrersi di proclami, le potenze occidentali che credevano di essere padrone della situazione, si trovano invece ad assistere impotenti alla discesa dei russi sul campo di battaglia.

Adesso, mentre la 810^ Brigata di Fanteria di marina punta su Aleppo, scatena le sue Forze Speciali in eliminazioni mirate e in un'opera di devastazione delle retrovie del califfato. Nei prossimi giorni, andrà sempre peggio per terroristi, mercenari e loro sciagurati sponsor.

Che il loro Dio possa avere pietà, perché gli Spetznaz non ne avranno.



La Russia perseguirà l’impegno a neutralizzare il SIIL? 

Una vittoria lampo della Russia la trasformerebbe in una notte nella potenza formidabile che libera Siria, Iraq, Giordania, Libano ed Egitto. Questi Paesi si unirebbero incondizionatamente al più forte alleato della Russia nella regione, l’Iran. Allo stesso tempo, l’equilibrio di potere in Medio Oriente cambierebbe a scapito degli Stati Uniti, spingendo Israele, Arabia Saudita e altri califfi feudali del Golfo a temere le conseguenze della loro condotta nella destabilizzazione del Medio Oriente. D’altra parte, la Cina ora si arma attivamente costruendo strutture militari nel Mar della Cina meridionale, mostrando segni d’insofferenza per l’accaparramento statunitense del mercato del Sud-Est asiatico (con il 60% della popolazione mondiale). In Ucraina, il piano degli Stati Uniti di rafforzare il fianco orientale della NATO sarà rinviato. Inoltre, l’Unione europea è profondamente divisa dalla crisi causata dall’ondata di profughi, e ancora non trova una soluzione. 

Pertanto dovrà accettare il piano di stabilizzazione russo della Siria per impedire l’afflusso di rifugiati in Europa. Il territorio della Russia, in contrasto con gli Stati Uniti, è sul continente europeo e asiatico consentendo maggiore velocità di manovra alle forze da dispiegare. Washington è consapevole di non poter affrontare contemporaneamente tre fronti: Europa, Medio Oriente e Sud-Est asiatico. Ecco perché gli statunitensi sono estremamente cauti, cercando di evitare il conflitto con la Russia in Medio Oriente. Tuttavia, la Russia non ha intenzione di espellere permanentemente gli Stati Uniti dal Medio Oriente, cosa che può fare.

L’obiettivo tattico della Russia è distruggere il SIIL in Siria e Iraq prima di essere riutilizzato dai suoi mandanti. L’obiettivo strategico è poter utilizzare l’influenza creata dalla neutralizzazione del SIIL costringendo gli Stati Uniti a cambiare atteggiamento verso la Russia. Putin è pronto a scommetterci molto e si prepara ad avere la merce di scambio. L’accordo che ha in mente è abolire le sanzioni economiche alla Russia, l’Ucraina di nuovo nella sfera d’influenza russa e togliere gli scudi antibalistici USA in Polonia e Romania. Scudi balistici e missili da crociera Tomahawk che, per la Russia, sono diretti contro Mosca


fonte: freeondarevolution.blogspot.it

20/10/15

tempio di Venere Genitrice


DETTAGLIO DEI CAPITELLI E DELLA TRABEAZIONE


RETRO

è un tempio romano inaugurato nel 46 a.C., che dominava il lato di fondo nord-occidentale del foro di Cesare a Roma.

Venne promesso in voto da Giulio Cesare alla dea Venere durante la battaglia di Farsalo. Il suo epiteto allude alla mitica discendenza del dittatore, attraverso Iulo, progenitore della gens Iulia, da Enea, figlio della dea, ma si riferisce anche all'aspetto della divinità in quanto legata al rifiorire primaverile della natura. Inizialmente il tempio doveva essere dedicato a "Venere Vincitrice", come quello edificato dal rivale Pompeo alla sommità del suo teatro.

Storia

Il tempio, inaugurato da Cesare insieme alla piazza antistante, nel 46 a.C., fu uno dei pochissimi edifici da lui iniziati che il dittatore riuscì a inaugurare prima della sua uccisione. Un passo di Svetonio ricorda come un giorno Cesare ricevette il Senato, ignorando ogni norma dell'etichetta repubblicana, seduto al centro del podio del tempio, come una divinità vivente.

Il tempio venne danneggiato dall'incendio scoppiato sul Campidoglio nell'80 e dovette essere ricostruito sulle medesime fondazioni sotto Traiano, in seguito all'abbattimento della sella montuosa tra Campidoglio e Quirinale per l'erezione del Foro di Traiano, sella al cui pendio si addossava l'edificio cesariano. Venne nuovamente dedicato, come riportano i Fasti Ostiensi il 12 maggio del 113, nello stesso giorno dell'inaugurazione della Colonna di Traiano.

Danneggiato dall'incendio avvenuto sotto l'imperatore Carino nel 283, sotto Diocleziano se ne dovettero rinforzare le strutture, inglobando le colonne della facciata in un muro in laterizio e collegandolo con archi sempre in laterizio rivestito di marmo alle strutture laterali della cosiddetta Basilica Argentaria.

Descrizione

Del tempio di epoca cesariana si conserva solo il nucleo in cementizio del podio, al quale si accedeva da due scalinate laterali, e alcune tracce dell'abside che si trovava in fondo alla cella, inglobata nelle nuove strutture traianee. Si trattava di un tempio periptero, con otto colonne sulla fronte (ottastilo) e nove sui fianchi, piuttosto ravvicinate (picnostilo, secondo Vitruvio), privo di colonne sul retro (sine postico).

Dell'edificio ricostruito da Traiano, la cui pianta dovette ricalcare quella dell'edificio più antico, si conservano invece numerosi resti della ricca decorazione marmorea. Sono state rialzate sul podio tre delle colonne di ordine corinzio del lato sud-occidentale del tempio, con la relativa trabeazione (cornice con mensole, fregio con decorazione a girali e architrave decorato inferiormente da lacunari con amorini in mezzo a girali d'acanto), rinvenute in posizione di caduta negli scavi degli anni trenta. Alcuni dei resti sono stati esposti nel Museo dei fori imperiali.

Sul muro esterno della cella, rivestito da lastre in marmo che imitavano la divisione in blocchi di un'opera quadrata, le colonne esterne si rispecchiavano in un ordine di lesene. Tra di esse, su due registri sovrapposti, si trovavano pannelli a rilievo, con amorini in diverse composizioni di carattere decorativo. Altri pannelli simili ed altri ancora con lussureggianti decorazioni vegetali arricchite da piccoli animali, dovevano ornare l'interno della cella. Questo era stato probabilmente modificato rispetto alla prima fase dell'edificio: le pareti erano state decorate da due ordini di colonne innalzate su un basamento, che inquadravano nicchie con frontoncini; sul primo ordine correva un fregio, ancora con amorini, occupati a portare gli attributi di varie divinità. Sul fondo l'abside era stata ricostruita e maggiormente distaccata dalla cella vera e propria: alla parte absidale dovevano forse appartenere le basi decorate che sono state reimpiegate nell'ingresso del Battistero lateranense.

Nell'abside si trovava la statua di Venere Genitrice, opera dello scultore neoattico Arcesilao (Arkesilas).

All'interno del tempio erano presenti numerose opere d'arte, che conosciamo in parte dalle fonti:

una statua di Venere
una statua di Cesare,
una statua in bronzo dorato di Cleopatra,
due quadri di Timomaco di Bisanzio (Medea e Aiace, che Cesare pagò ottanta talenti),
sei collezioni di gemme intagliate (dactyliothecae),
una corazza decorata con perle proveniente dalla Britannia.
Davanti al podio restano i basamenti di due fontanelle, già scambiati per le basi delle statue delle Appiadi ricordate da Ovidio, che in realtà si trovavano nel vicino Atrium Libertatis.

fonte: Wikipedia

la Grande Madre


Il corpo, luogo di vulnerabilità, se non rischia la ferita che l’incontro può causare, incorre nel rischio ben maggiore di una sterile chiusura su di sé; non esiste la possibilità dell’intimità con altro da sé, del piacere e del godimento se non attraversando il rischio della ferita. La sicurezza e l’imperturbabilità che il solipsismo sembra promettere si schiantano con il desiderio infinito di sentire entrando in con-tatto con un altro, il senso e l’identità che ci lega al nostro corpo rimane legato alla verità e al senso dello sfioramento e del tocco, dell’afferrabilità e delle ferite, della concretezza di un corpo. Il corpo, nostro confine, nostra definizione, ci costringe alla realtà come per la madre migrante di Dorothea Lange, a un qui e ora che non è un ovunque e per sempre; ci obbliga alla decisione, ci costringe al rischio di scegliere, ci induce alla rinuncia del tutto desiderato da immaginare a favore della concretezza da vivere in un impatto che ferisce e che si offre allo stesso tempo come condizione necessaria per dare continuamente avvio, ogni volta e ogni volta più profondamente, a quel processo avviato alla nascita, che ci posiziona nella realtà.
da La lettura, Francesca Balocco, Il corpo della madre e la libertà del figlio

troppo vasta, troppo tutto, troppo di tutto.
hanno peccato di ingordigia i curatori di questa mostra.
alla sala 18, di 29, ero già finita.
peccato, o torno a rivedere le ultime sale o mi accontento di questa visione claudicante. eppure, le ultime, erano, forse, le più ricche dal punto di vista figurativo.
tant'è.


acune immagini sono notevolissime, di grande impatto, visivo ed emotivo.
strepitoso questo autoritratto, Self Portrait as My Mother Jean Gregory, di Gillian Wearing che si traveste e si fotografa come sua madre, come ai tempi di sua madre, riconoscendo una fusione in lei, un desiderio si somiglianza e continuità.

alcune annotazioni, reperibili su un libretto francamente eccessivo consegnato all'inizio della mostra (al posto di un'audio guida) con indicazioni su autori e opere che richiederebbero 4 ore di lettura e visioni, non sono sempre condivisibili.


per esempio, relativamente a questa famosissima foto di Dorothea Lange i curatori indicano nella foto Migrant Mother l'emblema della forza di una madre che resiste alle difficoltà, parliamo della Grande Depressione americana degli anni '30. io non vedo forza, vedo disperazione, vedo l'annullamento della maternità, l'angoscia che sopprime l'amore, lo sguardo nel vuoto che auspica la morte, l'impossibilità di accudire. questa è una madre che ha abdicato e i suoi figli la piangono come fosse morta, una statua di pietra.


brava Marisa Mori, la sua Ebbrezza fisica della maternità è un omaggio futurista al femminile, proprio quel femminile così denigrato dalla cultura maschile futurista: "noi vogliamo glorificare le belle idee per cui si muore e il disprezzo per le donne", pontificava quel fanatico di Marinetti. 


Rineke Dijkstra, 1994, dalla serie New Mothers fotografa questa mamma, appena mamma, nuova nuova nel suo essere madre, l'assorbente a raccogliere il suo sangue.
c'è tanto, tutto il corpo in questa mostra.
il corpo della Grande Madre.


ammirevole, per colore dimensioni forza espressiva, questa super mamma, Baloon Venus,  incinta, rossa e spaziale di Jeff Koons. che presenza, che portanza, che lucentezza, che mamma!!



travolgente questa installazione di Nari Ward, Amazing Grace, 280 passeggini abbandonati, sporchi, laceri, polverosi. un incubo.
ho camminato oppressa dall'angoscia, mi sembrava di camminare in uno sterminio.
ho pensato alla morte, alla morte dell'infanzia. e ai barboni per le strade, che adottano questi oggetti come mezzi di trasporto dei loro fagotti.
miseria e smarrimento.


che è questa deliziosa creatura che macina povere di stelle e ne nutre la luna?
si tratta di Papilla estellar (pappa stellare) di Remedios Varo, si tratta di una donna sola che alimenta una luna in gabbia, la alimenta di sogni notturni, di paesaggi stellari, si tratta del potere magico e misterioso della donna e del materno.



Boccioni mi impressiona con le sue raffigurazioni potenti della madre. quale monumentale figura nella sua vita: "Natura generatrice di tutte le cose".



qui, le sorelle Brown sono state fotografate ogni anno, dal 1975 ad oggi,  per quasi 40 anni, da Nicholas Nixon. come in Boyhood, questa è un'esperienza di corpo, questa è la testimonianza del tempo, questa è la storia di un legame, che si estenderà oltre la sua fisica conclusione.


Frau mit totem kind (donna con bambino morto) di Kathe Kollwitz.
senza parole, per me, troppo potente per poter dire.

La sua nascita / La sua famiglia / La sua abitazione, la sua casa / Imparare a gattonare […] Il fratello della sua migliore amica/Avere fame dopo aver saltato il pranzo/Imparare ad andare in bicicletta/La luna piena ilumina il cielo notturno  […]Spaventarsi / Andare spesso alle feste / Iscrivere al liceo / Sentire interferenze mentre si parla al telefono […] Specializzarsi in storia all'università/Fidanzarsi/Il suono del giradischi nella stanza accanto/Stare sveglia a guardare l'alba dal tetto/tagliarsi i capelli/Studiare la storia del proprio paese/Sposarsi di pomeriggio/La loro porta di casa/Lasciare l'università  […]Farsi estrarre i denti del giudizio / Guardare la luce rifrangersi attraverso la finestra della cucina / pranzare / Una mattina sulla sua scrivania in ufficio / Sapere che avrà un bambino […] I giorni sembrano correre più veloci / Avere problemi di respirazione / I nuovi mobili del soggiorno / Il marciapiede dietro l’angolo / Toccare il muro/Suo padre muore, dolore improvviso/Il cortile dietro la casa allagato durante una forte pioggia/Guardarsi allo specchio/Il matrimonio di suo figlio […] Guardarsi gli occhi allo specchio / Il pavimento su cui si sta in piedi / Pensare a suo marito / Guardarsi allo specchio / Pensare alla sua morte / La sua morte»
“Senza Titolo, Lista dalla nascita alla morte”, Matt Mullican

LA GRANDE MADRE
Palazzo Reale Piazza Duomo 12, 
Milano 26 Agosto - 15 Novembre, 2015 

Attraverso le opere di oltre cento artisti internazionali, La Grande Madre analizza l'iconografia e la rappresentazione della maternità nell'arte del Novecento, dalle avanguardie fino ai nostri giorni.
Dalle veneri paleolitiche alle ‘cattive ragazze’ del post-femminismo, passando per la tradizione millenaria della pittura religiosa con le sue innumerevoli scene di maternità, la storia dell’arte e della cultura hanno spesso posto al proprio centro la figura della madre, simbolo della creatività e metafora della definizione stessa di arte. Archetipo e immagine primordiale, la madre e la sua versione più familiare di “mamma” sono anche stereotipi intimamente legati all’immagine dell’Italia.
La Grande Madre è una mostra sul potere della donna: partendo dalla rappresentazione della maternità, l’esposizione passa in rassegna un secolo di scontri e lotte tra emancipazione e tradizione, raccontando le trasformazioni della sessualità, dei generi e della percezione del corpo e dei suoi desideri.

fonte: nuovateoria.blogspot.it

18/10/15

PPP - 8 -


NIENTE DI PIU' FEROCE DELLA BANALISSIMA TELEVISIONE

pigmenti

PIGMENTI – AZZURRO OLTREMARE NATURALE, LAPISLAZZULI

Nome (nomi alternativi): Oltremare (oltremare naturale; lapislazzuli, azzurro di Baghdad)
Formula: 3Na2O·3Al2O3·6SiO2·2Na2S
Origine e caratteristiche: Pigmento naturale ottenuto dal lapislazzuli, cristallo blu intenso composto da diversi minerali quali lazurite, pirite (le pagliuzze dorate) e calcite (le ombrature grigiastre). Il termine trae origine dal latino medioevale “lapis lazuli”, ovvero “pietra di lazulum”, a sua volta adattamento dall’arabo lazuward, ovvero “azzurro”. In passato proveniva da miniere localizzate nell’Afghanistan, da dove giungeva a Venezia per essere poi commercializzato in tutta Europa. Dal XIX secolo si iniziarono a sfruttare anche giacimenti in Siberia (nella zona del lago Baikal), nelle Ande cilene e nella stessa Italia.
Lapissuite
Non si sa chi scoprì il metodo per estrarre il pigmento dai detriti di lapislazzuli. Lo storico Daniel Thompson, nel suo trattato “The materials and techniques of medieval paintings” (1956), propose l’ipotesi che il nome “oltremare” fu dato al pigmento dagli Europei che lo importavano dall’Oriente (spiegando così il suo nome, “oltre-mare”) prima che fossero capaci di preparalo estraendolo dalla pietra.
Il procedimento per l’estrazione dell’oltremare è accuratamente descritto da Cennino Cennini nel suo Trattato dell’Arte (1) e fornisce un’idea degli sforzi necessari all’artigiano/pittore per ottenere questo splendido colore.
10540_1La sua bellezza era pari solamente al suo costo: per tutto il Medioevo e oltre, infatti, questo fu uno dei colori più cari, anche più dell’oro.
Significativo dal punto di vista del pregio è l’aneddoto sul Perugino raccontato dal Vasari nel “Le Vite”; i frati Gesuiti di Firenze, tra i più rinomati fornitori di oltremare, avevano incaricato il Perugino di dipingere un affresco per il quale era stata stanziata una cifra che copriva il prezioso pigmento;
“Era, secondo che io udii già raccontare, il detto priore molto eccellente in fare gl’azzurri oltramarini, e però, avendone copia, volle che Piero in tutte le sopra dette opere ne mettesse assai; ma era nondimeno sì misero e sfiducciato, che non si fidando di Pietro, voleva sempre esser presente quando egli azzurro nel lavoro adoperava. Laonde Pietro, il quale era di natura intero e da bene, e non disiderava quel d’altri se non mediante le sue fatiche, aveva per male la diffidenza di quel priore, onde pensò di farnelo vergognare; e così presa una catinella d’acqua, imposto che aveva o panni o altro, che voleva fare di azzurro e bianco, faceva di mano in mano al priore, che con miseria tornava al sacchetto, mettere l’oltramarino nell’alberello dove era acqua stemperata; dopo, cominciandolo a mettere in opera, a ogni due pennellate Piero risciacquava il pennello nella catinella, onde era più quello che nell’acqua rimaneva, che quello che egli aveva messo in opera. Et il priore, che si vedeva votar il sacchetto et il lavoro non comparire, spesso spesso diceva: “O quanto oltramarino consuma questa calcina!”. “Voi vedete”, rispondeva Pietro. Dopo partito il priore, Pietro cavava l’oltramarino che era nel fondo della catinella; e quello, quando gli parve tempo, rendendo al priore, gli disse: “Padre, questo è vostro; imparate a fidarvi degl’uomini da bene che non ingannano mai chi si fida, ma sì bene saprebbono, quando volessino, ingannare gli sfiducciati come voi sete”.
L’uso del pigmento era stabilito in anticipo dal committente, di frequente attraverso contratti che ne descrivevano quantità e prezzo, soprattutto in Italia. Usare l’oltremare non era solo uno sfoggio di ricchezza da parte del committente, la sua devozione, i suoi meriti e la sua posizione sociale; specialmente nel medioevo conferiva virtù al dipinto e veniva spesso usato per il caratteristico colore azzurro della veste della Vergine Maria.
Con l’avvento della pittura ad olio l’oltremare perse la sua supremazia e maestosità perché i pittori per ottenere un blu completamente saturo erano costretti ad aggiungere biacca al pigmento naturale corrompendo così la purezza del materiale. E’ pur vero anche che nel corso dell’Umanesimo la reverenza per i materiali in quanto mezzo di valorizzazione religiosa subì un ridimensionamento notevole contribuendo senza dubbio al declino di questo pigmento.
“Solo dopo che venne superata l’annosa riluttanza a mescolare l’oltremare col bianco i pittori furono liberi di scoprire le possibilità di tutta una gamma di azzurri, in varie gradazioni di luminosità…..Entro il XV secolo il blu non veniva più associato soltanto alla notte stellata, alla volta celeste, al gaio cielo del giorno.” (Paul Hills)
Per secoli gli azzurri rimasero quindi un articolo di lusso per i pittori.
Il pigmento veniva usato principalmente nella pittura su tavola e nella miniatura dei codici, ma era usato anche su muro. A causa del suo altissimo costo spesso veniva steso come velo sottile sopra uno strato di azzurrite. Era usato inoltre in miscele con biacca e con lacca rossa.
L’oltremare si mantiene inalterato nel tempo sia su carta sia su tavola. Dove è miscelato con biacca non si nota l’annerimento di quest’ultima, come lascerebbe pensare il contatto con il solfuro d’idrogeno H2S liberato dalla lazurite all’acidità del legante oleoso o resinoso.
Oggi viene anche ottenuto sinteticamente.
Resistenza: stabile ai normali agenti atmosferici; si decompone e decolora con gli acidi.
Tecniche: adatto a tutte le tecniche ma soprattutto per le tempere su tavola e secondariamente per la pittura murale.
Paola Mangano
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Note
1) Cennino Cennini – Il libro dell’arte – CAPITOLO LXII.
Della natura e modo a fare dell’azzurro oltramarino.
Azzurro oltramarino si è un colore nobile, bello, perfettissimo oltre a tutti i colori; del quale non se ne potrebbe nè dire nè fare quello che non ne sia più. E per la sua eccellenza ne voglio parlare largo, e dimostrarti appieno come si fa. E attendici bene, però che ne porterai grande onore e utile. E di quel colore, con l’oro insieme (il quale fiorisce tutti i lavori di nostra arte), o vuoi in muro, o vuoi in tavola, ogni cosa risprende.
Prima, togli lapis lazzari. E se vuoi cognoscere la buona pietra, togli quella che vedi sia più piena di colore azzurro, però che ella è mischiata tutta come cenere. Quella che tiene meno colore di questa cenere, quella è migliore. Ma guar’ti che non fusse pietra d’azzurro della Magna, che mostra molto bella all’occhio, che pare uno smalto. Pestala in mortaio di bronzo coverto, perché non ti vada via in polvere; poi la metti in su la tua prìa profferitica, e triala sanza acqua; poi abbia un tamigio coverto, a modo gli speziali, da tamigiare spezie; e tamigiali e ripestali come fa per bisogno: e abbi a mente, che quanto la trii più sottile, tanto vien l’azzurro sottile, ma non sì bello e violante e di colore ben nero; chè il sottile è più utile ai miniatori, e da fare vestiri biancheggiati. Quando hai in ordine la detta polvere, togli dagli speziali sei oncie di ragia di pino, tre oncie di mastrice, tre oncie di cera nuova, per ciascuna libra di lapis lazzari. Poni tutte queste cose in un pignattello nuovo, e falle struggere insieme. Poi abbi una pezza bianca di lino, e cola queste cose in una catinella invetriata. Poi abbia una libra di questa polvere di lapis lazzari, e rimescola bene insieme ogni cosa, e fanne un pastello tutto incorporato insieme. E per potere maneggiare il detto pastello, abbi olio di semenza di lino, e sempre tieni bene unte le mani di questo olio. Bisogna che tegni questo cotal pastello per lo men tre dì e tre notti, rimenando ogni dì un pezzo; e abbi a mente, che lo puoi tenere il detto pastello quindici dì, un mese, quanto vuoi. Quando tu ne vuoi trarre l’azzurro fuora, tieni questo modo. Fa’ due bastoni d’un’asta forte, nè troppo grossa, nè troppo sottile; e sieno lunghi ciascuno un piè, e fa’ che sieno ben ritondi da capo e da piè, e puliti bene. E poi abbi il tuo pastello dentro nella catinella invetriata, dove l’hai tenuto; e mettivi dentro presso a una scodella di lisciva calda temperatamente; e con questi due bastoni, da catuna mano il suo, rivolgi e struca e mazzica questo pastello in qua e in là, a modo che con mano si rimena la pasta da fare pane, propriamente in quel modo. Come hai fatto che vedi la lisciva essere perfetta azzurra, trannela fuora in una scodella invetriata; poi togli altrettanta lisciva, e mettila sopra il detto pastello, e rimena con detti bastoni a modo di prima. Quando la lisciva è ben tornata azzurra, mettila sopra un’altra scodella invetriata, e rimetti in sul pastello altrettanta lisciva, e ripriemi a modo usato. E quando la lisciva è bene azzurra, mettila in su un’altra scodella invetriata: e per lo simile fa’ così parecchi dì, tanto che il pastello rimanga che non tinga la lisciva; e buttalo poi via, chè non è più buono. Poi ti reca dinanzi da te in su una tavola per ordine tutte queste scodelle, cioè prima, seconda, terza, quarta tratta, per ordine seguitando ciascuna: rimescola con mano la lisciva con l’azzurro che, per gravezza del detto azzurro, sarà andato al fondo; e allora cognoscerai le tratte del detto azzurro. Dilìberati in te medesimo di quante ragioni tu vuoi azzurri, di tre, o di quattro, o di sei, e di quante ragioni tu vuoi: avvisandoti che le prime tratte sono migliori, come la prima scodella è migliore che la seconda. E così se hai diciotto scodelle di tratte, e tu voglia fare tre maniere d’azzurro, fa’ che tocchi sei scodelle, e mescolale insieme, e riducile in una scodella: e sarà una maniera. E per lo simile delle altre. Ma tieni a mente, che le prime due tratte, se hai buon lapis lazzari, è di valuta questo tale azzurro di ducati otto l’oncia, e le due tratte di dietro è peggio che cendere. Sì che sie pratico nell’occhio tuo di non guastare gli azzurri buoni per li cattivi: e ogni dì rasciuga le dette scodelle delle dette liscive, tanto che gli azzurri si secchino. Quando son ben secchi, secondo le partite che hai, secondo le alluoga in cuoro, o in vesciche, o in borse. E nota, che se la detta pría lapis lazzari non fusse così perfetta, o che avessi triata la detta pría che l’azzurro non rispondesse violante, t’insegno a dargli un poco di colore. Togli una poca di grana pesta, e un poco di verzino; cuocili insieme; ma fa’ che il verzino o tu ’l grattugia, o tu il radi con vetro; e poi insieme li cuoci con lisciva, e un poco d’allume di rocca; e quando bogliono, che vedi è perfetto color vermiglio, innanzi ch’abbi tratto l’azzurro della scodella (ma bene asciutto della lisciva), mettivi su un poco di questa grana e verzino; e col dito rimescola bene insieme ogni cosa; e tanto lascia stare, che sia asciutto senza o sole, o fuoco, e senz’aria. Quando il truovi asciutto, mettilo in cuoro o in borsa, e lascialo godere, chè è buono e perfetto. E tiello in te, chè è una singulare virtù a sapello ben fare. E sappi ch’ell’è più arte di belle giovani a farlo, che non è a uomini; perchè elle si stanno di continuo in casa, e ferme, ed hanno le mani più dilicate. Guar’ti pur dalle vecchie. Quando ritorni per volere adoperare del detto azzurro, pigliane quella quantità che ti bisogna: e se hai a lavorare vestiri biancheggiati, vuolsi un poco triare in su la tua pría usata: e se ’l vuoi pur per campeggiare, vuolsi poco poco rimenare sopra la pría, sempre con acqua chiara chiara, bene lavata e netta la pría: e se l’azzurro venisse lordo di niente, piglia un poco di lisci- va, o d’acqua chiara, e mettila sopra il vasellino, e rime- scola insieme l’uno e l’altro: e questo farai due o tre mute, e sarà l’azzurro bene purgato. Non ti tratto delle sue tempere, però che insieme più innanzi ti mosterrò di tutte le tempere di ciascuni colori in tavola, in muro, in ferro, in carta, in pietra, e in vetro.

Bibliografia

Philip Ball “Colore. Una biografia: Tra arte, storia e chimica, la bellezza e i misteri del mondo dei colori” BUR Saggi

fonte: passionarte.wordpress.com