27/09/15

del dipingere

AFFRESCO CAP. XV – DEL DIPINGERE AD AFFRESCO

Chi vuol dipingere ad affresco deve iniziare il lavoro di buon mattino stendendo la porzione di intonaco che riterrà di poter dipingere in quella stessa giornata. Una volta posata la malta bisogna attendere che la calce abbia preso la giusta consistenza e cioè quando appoggiando le dita su di essa non lasciano impronte. Per riconoscere inoltre se la calce ha ben aderito all’arricciato si batte con le dita qua e là; se si sente un suono omogeneo va bene, in caso contrario significa che si è formata una sacca d’aria che a lungo andare comprometterebbe la durata del nostro affresco. Molto dipende dal microclima presente o che si formerà attorno al nostro operato. Alcuni affreschi possono durare centinaia di anni anche con sacche d’aria nell’intonaco, altri creparsi e staccarsi nel giro di poco tempo. Meglio quindi prima di iniziare a dipingere accertarsi che non si trovino spanciamenti quando ancora possiamo rimediare senza grandi problemi.

Michelangelo Buonarroti - Cappella Sistina, Roma
Michelangelo Buonarroti – Cappella Sistina, Roma
Molti pittori sgranano la superficie dell’intonaco sollevando i minuti granelli della malta per mezzo di un pennello asciutto, cosa che favorisce l’assorbimento dei colori e prima di dipingere e di battere lo spolvero danno alla superficie una mano di latte di calce con lo scopo di ottenere una maggior luminosità, e di fatto ciò avviene per i chiari ma fiacca le ombre e gli impedisce di acquisire intensità per cui è bene usare questo procedimento soltanto in vista di effetti speciali, ovvero soltanto per le parti che devono risultare molto illuminate. Ad ogni modo si dia o non si dia questo bianco, appena l’intonaco ha acquistato sufficiente consistenza si ribattono i fili o ritrovati i punti fissi stabiliti nel muro si appoggia il cartone all’intonaco e lo si spolvererà col sacchetto di carbone o lo si decalcherà con una punta. Attendendo e sorvegliando l’opera del muratore l’artista avrà messo in ordine i vasetti contenenti le tinte ed avrà preparato quelle che contengono calce che vanno fatte giorno per giorno. Oltre a ciò avrà fatto riempire e piazzare un gran secchio d’acqua anzi meglio due vasi uno per sciacquare i pennelli in modo grossolano e l’altro per risciacquarli nuovamente in acqua più pulita. Né avrà dimenticato gli stracci che servono a pulirli e ad asciugarli. Non essendo mai troppa la pulizia in fatto di pittura ad affresco si consiglia di riservare un pennello per ogni tono al fine di evitare tinte offuscate sia pur lievemente. I primi colori appena messi sull’intonaco vengono assorbiti rapidamente ed infiacchiscono per cui è meglio caricare i toni ed usare colori densi, non tralasciando mai la parte che si modella finché non sia totalmente finita poiché ogni ritocco dopo qualche ora si può trasformare in macchia. Va anche detto che molti artisti lavorano su intonachi granulosi con colori diluiti come fossero acquarelli; ma l’intonaco assorbe male questi colori così liquidi e si formano macchiette. I granuli colorati non cristallizzano e possono staccarsi a ogni tocco.
Nello sfumare le tinte, oltre che di pennelli morbidi di setole fini e lunghe o di pelo si possono usare anche le dita come si fa per la pittura ad olio, ma occorre grande esperienza ed è quindi meglio fare tutto con pennelli asciutti o poco umettati. Le tinte vanno ripassate più volte per ottenere la tonalità decisa in precedenza. Se si passa un colore scuro una sola volta si ottiene un colore trasparente che può servire per le parti in luce; passato una seconda volta potrebbe servire per i mezzi toni; passato una terza e quarta volta si arriverà al tono scuro desiderato. Non tutti i colori vanno così ripetutamente ripassati poiché insistendo oltre un dato grado alcuni di essi si appesantiscono creando un effetto contrario a quello voluto. Certi pittori preferiscono lasciar agire il colore nell’intonaco attraverso gli strati trasparenti dei colori come avviene nell’acquarello, altri invece tendono a dipingere piuttosto a pasta e a sovrapporre le tinte; i primi dicono che questo non va fatto, sebbene il Pozzo ed altri frescanti lo adottassero e lo consigliassero, anzi alcuni mettono il colore persino con la spatola quando l’intonaco non vuole più saperne, per cui anche qui in fondo variano le tecniche a secondo delle varie opinioni e della casualità. Ad affresco certi pittori dipingono prima in monocromo ed in un secondo tempo colorano a tempera. Così certamente ha dipinto Correggio nel duomo di Parma dove si possono scoprire varie parti rimaste solo in bianco e nero dove la tempera sopra usata si è degradata.

Cupola del Duomo di Parma con l'assunzione al cielo della Vergine, capolavoro di Antonio Allegri detto il Correggio
Cupola del Duomo di Parma con l’assunzione al cielo della Vergine, capolavoro di Antonio Allegri detto il Correggio (1528)
Veronese a Villa Maser, dopo aver modellato grossolanamente le sue figure le ha rafforzate e definite a furia di grossi tratteggi incrociati e così hanno fatto Tiziano, Procaccini, Carracci.

Paolo Veronese, particolare di uno degli affreschi a Villa di Maser
Paolo Veronese, particolare di uno degli affreschi a Villa di Maser
Michelangelo nel Giudizio sotto le velature finali lascia vedere a volte delle pennellate grasse e ben scandite, ma spesso anch’egli lavora a tratteggio. Piero della Francesca invece accarezza il muro fondendo le pennellate accuratamente per poi rifinire anche lui con trattini minuti facendo così quasi scomparire il modellato sottostante, per cui guardando gli affreschi si possono trovare tutte le espressioni, dalla timida grazia dei primitivi alla travolgente audacia dei seicentisti, dal colorito diafano del Beato Angelico alle incredibili potenze coloristiche del Tiziano e del Guercino.

Il Carro dell’Aurora, realizzato dal Guercino, all’interno della Casina dell’Aurora
Il Carro dell’Aurora, realizzato dal Guercino, all’interno della Casina dell’Aurora
Vi è un momento in cui a furia di dipingere sul medesimo pezzo si perviene ad uno stato favorevole in cui ogni pennellata sembra modellarsi per se stessa, dove meravigliosamente si vede sorgere una pittura che si perfeziona come d’incanto e che compensa il pittore di tutti i suoi affanni premiandolo per la sua volontà (i bizantini credevano a questo punto che fosse proprio l’anima del santo rappresentato a manifestarsi vivificando l’opera).
Dopo questo momento incantevole, poco per volta l’intonaco perde la sua duttilità e il pennello vi scorre sopra sempre meno, il colore aderisce di più e scompare e se misto a bianco diventa stridente e troppo chiaro. E’ il momento di smettere, il segnale d’avviso che la giornata è finita, poiché è inutile continuare fino al punto che si ha l’impressione di dipingere su della carta assorbente che il pennello neanche vi si posa sopra che il colore è già assorbito. Per cui se si ritiene proprio necessario fare ancora qualcosa bisognerà ricorrere a qualche tratteggio di colore liquido ed alle punteggiature. Volendo insistere si guasterebbe l’opera. Sono permesse delle acquette di colore liquido con sola acqua o con acqua di calce ma queste formano uno strato alquanto opaco e se ripetute quasi pulverulento.

Piero della Francesca, Maria Maddalena (particolare), affresco, Cattedrale di San Donato, Arezzo
Piero della Francesca, Maria Maddalena (particolare), affresco, Cattedrale di San Donato, Arezzo
Alcuni frescanti quando devono rappresentare una fonte luminosa o comunque dei brilli, lasciano intatto l’intonaco bianco oppure campiscono la parte di bianco e poi dipingono l’aureola lasciando intatto il punto voluto. Raffaello però quando volle ottenere il fiammeggiare dei ceri accesi o lo sfavillio delle corazze mise delle croste di calce alte dai 6 ai 7 millimetri le quali benché facciano rilievo sul resto della pittura liscia e piana ne danno senza dubbio maggior luminosità.
Nelle opere che devono vedersi da grande distanza si deve dipingere con masse ben decise ed in modo più robusto e vivace, ricordando che le mezze tinte scompaiono con la lontananza ed usate in gran quantità affievoliscono l’effetto dell’insieme, ma queste sono cose che devono sapere anche i pittori ad olio, a tempera, a mosaico ed è inutile insistervi.
Finita la giornata di lavoro con una lama tagliente si asportano le parti d’intonaco che sovrabbondano, studiando però di evitare le parti chiare della pittura e di seguire invece le linee scure delle figure poiché su queste è facile dissimulare i raccordi delle varie giornate di lavoro, tuttavia non mancano esempi di raccordi eseguiti sulle parti chiare i quali sebbene riescano sempre male sono a volte quasi indispensabili. Diverse figure di Michelangelo mostrano le giunture della calce che hanno macchiato le parti di raccordo e che per quanto il maestro si sia adoperato per nasconderle non vi è riuscito. almeno come voleva.
Al tempo dei giotteschi la tecnica minuziosa e la mancanza del cartone obbligavano ad una maggior lentezza per cui pare che al massimo in una giornata riuscissero a dipingere una sola piccola testa, ma nel rinascimento si era assai più rapidi; l’intero affresco della “Scuola di Atene” di Raffaello presenta 37 giornate, il “Trionfo di Galatea” 12, il gigantesco “S. Andrea” di Michelangelo 5.

Raffaello Sanzio - Scuola di Atene, Stanza della Segnatura, Musei Vaticani
Raffaello Sanzio – Scuola di Atene, Stanza della Segnatura, Musei Vaticani

fonte: passionarte.wordpress.com

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