04/06/15

PPP - 5 - conchigliette nere, cozze giallognole, baffi turchini, sputi color rosso d'uovo


leggendo Pasolini e dei suoi ragazzi di borgata non mi aspettavo di trovare tanta poesia.
tra li mortacci sua, ammazza quanto so' gajardi, addò va sto 'ncefalitico, si stagliano luminosi degli scorci descrittivi incantati, pause di anima e di luce accecanti in mezzo a esistenze sordide, miserie, disagiate, emarginate. intermezzi di luna, di sole, di vento, di nuvole, di bagliori interrompono l'andare inesorabile, a volte anche sornione e scanzonato, della vita marginale e sfrattata dei suoi ragazzi, per lo più destinata al peggio, raramente a un'integrazione possibile, nemmeno desiderata.

Conchigliette nere, cozze giallognole, baffi turchini, sputi color rosso d'uovo
Cominciava a schiarire. Sopra i tetti delle case si vedevano striscioni di nubi, sfregati e pestati dal vento, che, lassù, doveva soffiare libero come aveva soffiato il principio del mondo. In basso, invece, non faceva che ciancicare qualche pezzo di manifesto penzolante dai muri, o alzare qualche carta, facendola strusciare contro il marciapiede scrostato o sui binari del tram. Come le case si allargavano, in qualche piazza, su qual che cavalcavia, silenzioso come un camposanto, in qualche terreno lottizzato dove non c'erano che cantieri con le armature alte fino al quinto piano e praticelli zellosi, allora si scorgeva tutto il cielo: coperto da migliaia di nuvolette piccole come pustole, come bollicine, che scendevano giù verso le cime svanite e dentellate dei grattacieli in fondo, in tutte le forme e tutti i colori. Conchigliette nere, cozze giallognole, baffi turchini, sputi color rosso d'uovo; e in fondo, dopo una striscia d'azzurro, limpido e invetrito come un fiume della terra polare, un nuvolone color bianco, tutto riccio, fresco e immenso che pareva il Monte del Purgatorio.

scendeva radendo a far sprizzare di luce, o a patinarlo di lucore, il piano dell'orto
La luce della luna lo investiva tutto, grande com'era, che non ci si vedevano i recinti dell'altra parte. La luna era ormai alta alta nel cielo, s'era rimpicciolita e pareva non volesse più aver che fare col mondo, tutta assorta nella contemplazione di quello che ci stava al di là. Al mondo, pareva che ormai mostrasse solo il sedere; e, da quel sederino d'argento, pioveva giù una luce grandiosa, che invadeva tutto. Brilluccicava, in fondo all'orto, sulle persiche, i salci, i petti d'angelo, le cerase, i sambuchi, che spuntavano qua e là in ciuffi duri come il ferro battuto, contorti e leggeri nel polverone bianco. Poi scendeva radendo a far sprizzare di luce, o a patinarlo di lucore, il piano dell'orto: con le facciatelle curve di bieta o cappuccina metà in luce e metà in ombra, e gli appezzamenti gialli della lattughella e quelli verde oro dei porri e della riccetta. E qua e là i mucchi di paglia, gli attrezzi abbandonati dai burini, nel più pittoresco disordine, che tanto la terra faceva da sola, senza doversi tanto rompere il c... a lavorarla.

il cielo si stendeva, proprio lì sopra Tiburtino, come sopra l'imbuto d'un cortile, e la luna si appoggiava, spaurita, sugli orli lucenti di qualche macchia di vapore vagante
Da una parte il cielo era tutto schiarito, e vi brillavano certe stellucce umide, sperdute nella sua grandezza, come in una sconfinata parete di metallo, da dove, sulla terra, venisse a cadere qualche misero soffio di vento. Dall' altra parte, come ci si voltava, verso Roma, c'era ancora brutto tempo, con dei nuvoli grevi di pioggia e fulmini, che però s'andavano sbrillentando all' orizzonte cosparso di lumi. Da un'altra parte ancora il cielo si stendeva, proprio lì sopra Tiburtino, come sopra l'imbuto d'un cortile, e la luna si appoggiava, spaurita, sugli orli lucenti di qualche macchia di vapore vagante. 

dietro tutto quel bianco il cielo si fece nero, e contro quel fondale nero come l'inferno, le facciate rosa e bianche della Casilina brillavano come carte di cioccolatini
Come imboccarono la Casilina, cominciò a soffiare il vento e delle colonne di polvere bianca e d'immondezza cominciarono a girare qua e là sui larghi e sugli spiazzi, suonando sui fili della ferrovia di Napoli come su una ghitarra. In quattro e quatt'otto, dietro tutto quel bianco il cielo si fece nero, e contro quel fondale nero come l'inferno, le facciate rosa e bianche della Casilina brillavano come carte di cioccolatini. Poi anche quella luce si offuscò, e fu tutto scuro, spento, ormai freddo, sotto gli sfregamenti delle ventate che riempivano gli occhi di granelli di polvere. I quattro s'andarono a riparare sotto un portoncino appena in tempo per non prendersi addosso il primo rovescio d'acqua. Tuonava con dei rimbombi che pareva che sei o sette cupoloni di San Pietro, messi dentro un bidone che li potesse contenere tutti, fossero sbattuti uno contro l'altro lassù in mezzo al cielo, e i loro botti si sentissero poi un po' fasulli qualche chilometro discosto, dietro le file delle case e dei quartieri o verso San Lorenzo, o chissà in che posto, proprio magari là dove c'era ancora un po' di cielo azzurro e ci volavano i passeretti.

Ragazzi di vita
Pier Paolo Pasolini
1955

fonte: nuovateoria.blogspot.it

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