05/02/15

Robert Capa



« Capa sapeva che cosa cercare e che cosa farne dopo averlo trovato. Sapeva, ad esempio, che non si può ritrarre la guerra, perché è soprattutto un'emozione. Ma lui è riuscito a fotografare quell'emozione conoscendola da vicino. »

(John Steinbeck in occasione della pubblicazione commemorativa di alcune foto di Capa)

pseudonimo di Endre Ernő Friedmann, è stato un fotografo ungherese.

I suoi reportage rendono testimonianza di cinque diversi conflitti bellici: la guerra civile spagnola (1936-1939), la seconda guerra sino-giapponese (che seguì nel 1938), la seconda guerra mondiale (1941-1945), la guerra arabo-israeliana (1948) e la prima guerra d'Indocina (1954).

Capa documentò inoltre il corso della seconda guerra mondiale a Londra, nel Nordafrica e in Italia, lo sbarco in Normandia dell'esercito alleato e la liberazione di Parigi. Il fratello minore di Capa, Cornell, è stato anch'egli un fotografo.

Nato in Ungheria, Capa abbandona in giovane età la terra natale a causa del proprio coinvolgimento nelle proteste contro il governo di estrema destra; milita nel Partito Comunista locale. L'ambizione originaria di Capa è di diventare uno scrittore, ma l'impiego presso uno studio fotografico a Berlino lo avvicina al mondo della fotografia, dove collabora con l'agenzia fotogiornalistica Dephot sotto l'influenza di Simon Guttmann.

Nel 1933 lascia la Germania alla volta della Francia a causa dell'avvento del nazismo (Capa era di origini ebraiche), ma in Francia incontra difficoltà nel trovare lavoro come fotografo freelance.

È in questo periodo che adotta lo pseudonimo di Robert Capa - per il suono più familiare all'estero e per l'assonanza con il nome del popolare regista statunitense Frank Capra - e fonda con altri l'agenzia fotografica Magnum Photos (1947); dal 1936 al 1939 si trova in Spagna, dove documenta gli orrori della guerra civile.

"Il miliziano colpito a morte"

Nel 1936, Capa diviene famoso in tutto il mondo per una foto scattata a Cordova, dove ritrae un soldato dell'esercito repubblicano colpito a morte da un proiettile sparato dai franchisti. Questa foto è tra le più famose fotografie di guerra mai scattate. Fu pubblicata, per la prima volta, sulla rivista VU (23 settembre del 1936), poi su Life, sul Picture Post e poi migliaia di altre volte.

La foto è stata al centro di una lunga diatriba in merito alla sua presunta non autenticità. In base al lavoro svolto dallo storico della fotografia Ando Gilardi, che ha analizzato, nei primi anni '70, i negativi originali di Capa. il quotidiano di Barcellona "El Periodico de Catalunya" avrebbe accertato che la celebre foto fu scattata nei pressi di Cordova, in Andalusia, nel villaggio di Espejo, e non nella località di Cerro Muriano, come affermato da Robert Capa.

Il quotidiano, inoltre, precisa che le due località si trovano a 50 km di distanza, con il decisivo particolare che ad Espejo, nei giorni in cui venne scattata la foto, non si sarebbe svolto alcun combattimento tra i miliziani repubblicani e le forze fasciste agli ordini di Francisco Franco. La foto di Capa sarebbe stata scattata ai primi di settembre del 1936, quando Espejo era ancora nelle mani delle forze repubblicane, mentre una battaglia era invece in corso a Cerro Muriano. Solo a fine settembre si registrò qualche scontro isolato ad Espejo, peraltro senza vittime.

A metà degli anni '90 si diffuse, poi, la notizia che il miliziano ritratto da Capa fosse un anarchico, tale Federico Borrell García, il quale sarebbe morto effettivamente in combattimento, ma non in campo aperto come nella celebre foto, bensì dietro un albero. A sostegno della tesi dell'inautenticità è anche un libro dello studioso José Manuel Susperregui, "Sombras de la fotografia" (Ombre della fotografia), in cui si afferma che l'immagine sarebbe stata scattata con una Rolleiflex, appartenuta alla compagna di Capa, la fotografa comunista tedesca Gerda Taro, morta a 27 anni nel 1937 nei pressi di Madrid (a Brunete, schiacciata durante un errore di manovra di un carro armato 'amico'), mentre Capa in quel periodo fotografava probabilmente con una Leica ed in seguito con una Contax. I negativi prodotti da questi due apparecchi non sono compatibili con la Rolleiflex, apparecchio medio formato che impiega pellicola in formato 120/220 su cui imprime immagini quadrate di dimensioni 56×56 mm (formato detto anche 6x6). Leica e Contax sono invece apparecchi piccolo formato che impiegano pellicola in formato 35mm su cui imprimono immagini rettangolari di dimensioni 24x36mm e rapporto altezza/base pari a 2:3. Ancora a sostegno di questa tesi, esistono anche video che sarebbero frutto di ricerche digitali e geo-morfologiche, effettuate per un documentario tedesco sulla figura di Capa.

Di per sé, l'eventuale inautenticità della foto nulla toglierebbe al valore storico che essa ha acquisito come simbolo dei soldati lealisti morti durante la guerra civile spagnola.

A favore dell'autenticità vi sono d'altro canto lunghe ricerche storiche condotte dal biografo di Capa Richard Whelan. Il miliziano sarebbe, in effetti, l'unico morto quel giorno, Federico Borrell Garcia, morto effettivamente a Cerro Muriano, nei pressi di Cordova, nel 1936, e la notizia sarebbe registrata negli archivi ufficiali. A sgombrare definitivamente il campo da questa lunga diatriba, nel 2013 il Centro Internazionale di Fotografia ha scoperto e diffuso un'intervista radiofonica, risalente all'ottobre del 1947, in cui Robert Capa spiega esattamente cos'è successo. "Ho scattato la foto in Andalusia - racconta - mentre ero in trincea con 20 soldati repubblicani, avevano in mano dei vecchi fucili e morivano ogni minuto". La foto è stata scattata mentre i soldati con cui viaggiava correvano ad ondate verso una mitragliatrice fascista per abbatterla. Al terzo o quarto tentativo di assalto dei miliziani "ho messo la macchina fotografica sopra la mia testa - continua nell'intervista - e senza guardare ho fotografato un soldato mentre si spostava sopra la trincea, questo è tutto. Non ho sviluppato subito le foto le ho spedite assieme a tante altre. Sono stato in Spagna per tre mesi e al mio ritorno ero un fotografo famoso, perché la macchina fotografica che avevo sopra la mia testa aveva catturato un uomo nel momento in cui gli sparavano. Si diceva che fosse la miglior foto che avessi mai scattato, ed io non l'avevo nemmeno inquadrata nel mirino perché avevo la macchina fotografica sopra la testa".

La mostra di fotografie di Robert Capa e Gerda Taro che s'è tenuta al Forma di Milano, dal 28 marzo al 21 giugno 2009, ha presentato ulteriore materiale a sostegno dell'autenticità della foto.

A chi poneva domande su quella foto, Capa rispondeva: "Per scattare foto in Spagna non servono trucchi, non occorre mettere in posa. Le immagini sono lì, basta scattarle. La miglior foto, la miglior propaganda, è la verità."

Molte delle foto di Capa della Guerra civile spagnola furono, per molti decenni, ritenute perdute, ma riemersero a Città del Messico alla fine degli anni 1990. Mentre fuggiva dall'Europa nel 1939, Capa aveva perso la raccolta, che nel tempo fu soprannominata la "valigia messicana". La proprietà della raccolta fu trasferita alla Capa Estate, e nel dicembre 2007 passò all'International Center of Photography, il museo fondato dal fratello minore di Capa, Cornell, a Manhattan.

Allo scoppio del Secondo conflitto mondiale Capa si trova a New York, dove si era recato in cerca di lavoro e in fuga dalle persecuzioni anti-ebraiche; la guerra lo trova assegnato in diversi teatri dello scenario bellico. Inizialmente fotografa per il Collier's Weekly, per poi passare a Life.

La Seconda guerra mondiale

Nel luglio del 1943 raggiunge la Sicilia. Il grande reportage di Robert Capa sullo sbarco Anglo-Americano in Sicilia iniziò con un volo in paracadute, in perfetto stile bellico. Oltre alle immagini, Robert Capa ci ha lasciato le sue memorie in un diario pubblicato nel 1947 con il titolo Slightly out of focus (tradotto ed edito in Italia da Contrasto nel 2002 con il titolo Leggermente fuori fuoco). Nel suo diario, Capa, fotoreporter al seguito dell'esercito americano, riporta gli avvenimenti cruenti a cui assiste, racconta le fatiche di un'esperienza avventurosa e descrive la sensazione di vuoto e di angoscia che lo prende assistendo ai combattimenti: in particolare, proprio nelle settimane dell'Sbarco in Sicilia in Sicilia e della conseguente ritirata dei militari italiani e tedeschi. Il suo racconto, molto avvincente, rievoca gli avvenimenti della sua vita dall'estate del 1942 alla primavera del 1945.

Dopo un anno di lavoro nel Nord Africa, seguendo le truppe americane e appena licenziato dalla rivista Collier's Weekly, per la quale aveva inviato foto dall'Algeria e dalla Tunisia, Robert Capa si apprestò senza indugi a lasciare Tunisi e a farsi lanciare con il paracadute in Sicilia, avendo saputo che gli Anglo-americani si stavano preparando an invadere l'isola.

Capa in Sicilia

Era il luglio del 1943 e a bordo di un piccolo aereo con pochi soldati Capa arriva in Sicilia: di notte si lancia col suo paracadute, atterra su un albero, dove rimane sino all'indomani, quando gli altri tre paracadutisti che erano con lui lo trovano e lo aiutano a scendere. Il gruppo si incammina attraverso un bosco e giunge in una fattoria dove viene accolto da «un anziano contadino siciliano in lunga camicia da notte» che subito fraternizza con loro e li ospita per tre giorni, fin quando arrivano i militari della prima divisione americana. Unitisi a loro, Capa e i suoi compagni, possono avanzare verso gli importanti obiettivi militari della campagna di Sicilia.

Lungo il percorso Capa scatta numerose foto. Dopo tre settimane dallo sbarco, gli americani si avvicinano al capoluogo dell'isola. Ricorda Capa: «Eravamo alla periferia di Palermo i tedeschi erano stati isolati e ciò che restava delle forze italiane non aveva intenzione di combattere. La jeep che mi ospitava, seguiva i primi carri della seconda divisione corazzata lungo il percorso verso il centro della città. La strada era fiancheggiata da decine di migliaia di siciliani in delirio che agitavano fazzoletti bianchi e bandiere americane fatte in casa con poche stelle e troppe strisce. Avevano tutti un cugino a "Brook-a-leen". Ero stato all'unanimità riconosciuto come siciliano dalla folla in festa. Ogni rappresentante della popolazione maschile voleva stringermi la mano, le donne più anziane darmi un bacio e le più giovani riempivano la jeep di fiori e frutta. Nulla di tutto ciò mi fu di un qualche aiuto per scattare fotografie».

Giunto a Palermo, Capa, fotoreporter licenziato, invia le sue foto a Life convinto che la rivista americana «non avrebbe potuto certamente farne a meno» e sentito che la 1ª Divisione di Fanteria (USA) stava combattendo da qualche parte in mezzo alla Sicilia, si avvia alla ricerca della nuova battaglia da fissare sulla pellicola. Gli americani stavano combattendo a Troina nell'interno dell'isola e avevano notevoli difficoltà ad espugnare il paese difeso da soldati italiani e tedeschi che opponevano una strenua resistenza. I combattimenti durarono sette giorni. La ritirata e la resa avvennero solo dopo feroci bombardamenti aerei che distrussero gran parte del centro abitato della piccola cittadina.

Furono giorni di intenso lavoro per Capa che realizzò su quelle isolate montagne alcune foto che diventeranno tra le più famose della sua carriera, fra queste quella scatta il 6 agosto 1943 al termina della battaglia di Troina, che vede il soldato americano accovacciato e il contadino ricurvo che gli indica la strada, scattata nella strada che da Sperlinga porta a Troina, in contrada Capostrà dove esiste una targa ricordo di quel momento, ma anche di profondo risentimento per tutto quello che gli accadeva intorno:

«Era la prima volta che seguivo un attacco dall'inizio alla fine ma fu anche l'occasione per scattare ottime foto. Erano immagini molto semplici. Mostravano quanto noiosa e poco spettacolare fosse in verità la guerra. Il piccolo, bel paesetto di montagna, era completamente in rovina. I tedeschi che lo avevano difeso si erano ritirati durante la notte abbandonando alle loro spalle molti civili italiani, feriti o morti. Ci eravamo distesi per terra nella piccola piazza del paese, di fronte alla chiesa, stanchi e disgustati. Pensavo che non avesse alcun senso questo combattere, morire e fare foto, quando il generale Theodore Roosevelt Jr., sempre presente dove la battaglia era più dura, si avvicinò e puntando il suo bastone verso di me disse: "Capa al quartier generale di divisione c'è un messaggio per te. Dice che sei stato assunto da Life".

Ripartito da Troina per Palermo e poi documentando ancora la guerra sino allo sbarco in Normandia, Robert Capa porterà con sé il suo convincimento amaro sulla natura della guerra: «Un inferno che gli uomini si sono fabbricati da soli». Convincimento che gli eventi siciliani avevano confermato e rafforzato.

In Normandia

Il 6 giugno 1944 partecipa al sanguinoso sbarco del contingente americano ad Omaha Beach, in Normandia. La maggior parte delle foto scattate durante lo sbarco andò perduta per un errore del tecnico di laboratorio addetto allo sviluppo (Larry Burrows, anch'egli divenuto fotografo di fama mondiale e morto anch'egli in Viet Nam, negli anni settanta); scamparono alla distruzione solo undici fotogrammi danneggiati, che trasmettono comunque tutta la terribile drammaticità dei momenti del D-Day.

Il dopoguerra e la morte

Nel 1947 a Parigi fonda - assieme a Henri Cartier-Bresson, David "Chim" Seymour e George Rodger e William Vandivert - l'agenzia cooperativa Magnum, diventata una delle più prestigiose agenzie fotografiche.

Capa era famoso anche per la sua temerarietà, che lo aveva portato ad andare all'attacco con la prima ondata nello Sbarco in Normandia e a paracadutarsi da un aereo assieme ai militari professionisti per ritrarre da vicino l'attraversamento del Reno.

La sua passione e la sua vita, l'amore per la fotografia, lo porta a morire nel 1954 durante la Prima Guerra d'Indocina, al seguito di una squadra di truppe francesi, dietro il tenente colonnello Jean Lachapelle incaricato di evacuare e distruggere due fortini a sud est di Hanoi. Sulla via del ritorno scattò le ultime immagini prima dell'incidente che gli costò la vita; salì su un terrapieno sulla destra per fotografare una colonna in avanzamento nella radura e qui posò il piede sulla mina che lo uccise.

Filmografia

I 400 milioni documentario di Joris Ivens (1939) - direttore della fotografia

Tentazione (Temptation) di Irving Pichel (1946) - attore

Notorius, l'amante perduta (Notorious) di Alfred Hitchcock (1946) - fotografo di scene

Il tesoro dell'Africa (Beat the Devil) di John Huston (1953) - fotografo di scene

Robert Capa, l'Homme qui voulait croire à sa légende documentario di Patrick Jeudy (2004)

fonte: Wikipedia

FILMATO

LA VALIGIA MESSICANA

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