22/02/15

La Gioconda di Leonardo da Vinci


GLI OCCHI


LA BOCCA


LE MANI


PASSAGGIO SINISTRO


PASSAGGIO DESTRO

nota anche come Monna Lisa, è un dipinto a olio su tavola di pioppo (77 cm×53 cm) di Leonardo da Vinci, databile al 1503-1514 circa, e conservata nel Museo del Louvre di Parigi. Opera emblematica ed enigmatica, si tratta sicuramente del ritratto più celebre del mondo, nonché di una delle opere d'arte più note in assoluto, oggetto di infiniti omaggi, ma anche parodie e sberleffi.

Il sorriso impercettibile della Gioconda, col suo alone di mistero, ha ispirato tantissime pagine di critica, di letteratura, di opere di immaginazione, di studi anche psicoanalitici. Sfuggente, ironica e sensuale, la Monna Lisa è stata di volta in volta amata, idolatrata, ma anche derisa o aggredita. Vera e propria icona della pittura, è vista ogni giorno da migliaia di persone, tanto che nella grande sala in cui è esposta un cordone deve tenere a notevole distanza i visitatori: nella lunga storia del dipinto non sono mancati i tentativi di vandalismo, nonché un furto rocambolesco che in un certo senso ne ha alimentato la leggenda.

Storia

L'inizio a Firenze e l'identificazione del soggetto

L'opera rappresenta tradizionalmente Lisa Gherardini, cioè "Monna" Lisa (un diminutivo di "Madonna" che oggi avrebbe lo stesso significato di "Signora"), moglie di Francesco del Giocondo (quindi la "Gioconda"). Leonardo dopotutto, in quel periodo del suo terzo soggiorno fiorentino, abitava nelle case accanto a Palazzo Gondi (oggi distrutte) a pochi passi da piazza della Signoria, che erano proprio di un ramo della famiglia Gherardini di Montagliari.

Questa, apparentemente di facile identificazione, in realtà molto dibattuta dalla storiografia artistica, ha come fonti antiche un documento del 1525 in cui vengono elencati alcuni dipinti che si trovano tra i beni di Gian Giacomo Caprotti detto "Salaì", allievo di Leonardo che seguì il maestro in Francia, dove l'opera è menzionata per la prima volta "la Joconda"; lo stesso Vasari scrisse che "Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie, e quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto, la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableò", dilungandosi poi in una serie di lodi del dipinto, in realtà piuttosto generiche. Alcuni dubbi sono sorti a partire dalla descrizione di Vasari, che parla della peluria delle sopracciglia magnificamente dipinta (ma la Gioconda non ne ha) e che esalta le fossette sulle guance (pure assenti). Ciò è comunque spiegabile con la particolare storia del dipinto, che seguì Leonardo fino alla sua morte in Francia e che venne ritoccata per anni e anni dall'artista. Vasari infatti potrebbe aver attinto la sua descrizione da una memoria dell'opera com'era visibile a Firenze fino al 1508, quando il pittore lasciò la città: analisi ai raggi X hanno mostrato che ci sono tre versioni della Monna Lisa, nascoste sotto quella attuale.

A sostegno delle testimonianze del Vasari, nel 2005 Veit Probst, storico e direttore della Biblioteca di Heidelberg in Germania, ha pubblicato un altro appunto del cancelliere fiorentino Agostino Vespucci, datato 1503, che conferma l'esistenza di un ritratto di Lisa del Giocondo:

(LA)

« Apelles pictor. Ita Leonardus Vincius facit in omnibus suis picturis, ut enim caput Lise del Giocondo et Anne matris virginis. Videbimus, quid faciet de aula magni consilii, de qua re convenit iam cum vexillifero. 1503 octobris »

(IT)

« (Come) il pittore Apelle. Così fa Leonardo da Vinci in tutti i suoi dipinti, ad esempio per la testa di Lisa del Giocondo e di Anna, la madre della Vergine. Vedremo cosa ha intenzione di fare per quanto riguarda la grande sala del Consiglio, di cui ha appena siglato un accordo con il Gonfaloniere. Ottobre 1503 »

(Agostino Vespucci)

Altre identificazioni proposte, nel tempo, sono state Caterina Sforza, o la sorellastra Bianca o la madre stessa di Leonardo, Caterina Buti del Vacca. Ancora, recente, è quella con Isabella d´Aragona, duchessa di Milano nell'anno 1489, inoltre si è ipotizzato che, la nobildonna ritratta, appartenesse al casato degli Imperiali. Altri farebbero risalire l'identità a Bianca Giovanna Sforza, figlia legittimata di Ludovico il Moro.

La Gioconda in Francia

Fu Leonardo stesso a portare con sé in Francia, nel 1516, la Gioconda, che potrebbe essere stata poi acquistata, assieme ad altre opere, da Francesco I.

Si sa che un secolo dopo, nel 1625, un ritratto chiamato "la Gioconda" fu descritto da Cassiano dal Pozzo tra le opere delle collezioni reali francesi. Altri indizi fanno pensare che fin dal 1542 si trovasse tra le decorazioni della Salle du bain del castello di Fontainebleau

Più tardi Luigi XIV fece trasferire il dipinto a Versailles. Dopo la Rivoluzione francese, venne spostato al Louvre. Napoleone Bonaparte lo fece mettere nella sua camera da letto, ma successivamente tornò al Louvre. Durante la guerra Franco-Prussiana del 1870-1871 fu messo al riparo in un sito nascosto.

Il furto

Il furto della Gioconda avvenne la notte tra domenica 20 e lunedì 21 agosto 1911, prima di un giorno di chiusura del museo; della sottrazione si accorse lunedì stesso un copista, Louis Béroud, che aveva avuto il permesso per riprodurre l'opera a porte chiuse. La notizia del furto fu ufficializzata solo il giorno dopo, anche perché all'epoca non era infrequente che le opere venissero temporaneamente rimosse per essere fotografate.

Era la prima volta che un dipinto veniva rubato da un museo, per di più dell'importanza del Louvre, e a lungo la polizia brancolò nel buio. Fu sospettato il poeta francese Guillaume Apollinaire che venne arrestato (aveva dichiarato di voler distruggere i capolavori di tutti i musei per far posto all'arte nuova) e condotto in prigione il 7 settembre: il suo arresto si basava su una calunnia (una vera e propria ripicca) da parte dell'amante Honoré Géri Pieret, che lo accusò di aver ricettato alcune statuette antiche rubate dal museo. Anche Pablo Picasso venne interrogato in merito, ma, come Apollinaire, fu in seguito rilasciato. Sospetti caddero anche sull'Impero tedesco, nemico della Francia, ipotizzando un furto di Stato. Mentre crescevano sospetti e polemiche (si scoprì che le uniche misure di sicurezza adottate dal museo consistevano nell’aver addestrato al judo un gruppo di guardie), si iniziò a ritenere il capolavoro perso per sempre: Franz Kafka vide una cornice vuota e dopo un po' il posto lasciato dalla Gioconda sulla parete fu preso dal Ritratto di Baldassarre Castiglione di Raffaello.

In realtà un ex-impiegato del Louvre, Vincenzo Peruggia, originario di Dumenza, cittadina nei pressi di Luino, convinto che il dipinto appartenesse all'Italia e non dovesse quindi restare in Francia, lo aveva rubato, rinchiudendosi nottetempo in uno sgabuzzino e, trascorsavi la notte, uscendo dal museo a piedi con il quadro sotto il cappotto: egli stesso ne aveva montato la teca in vetro, quindi sapeva come sottrarlo. Uscì in tutta calma: chiese anche a un idraulico un aiuto per uscire dal museo, essendo sparita la maniglia del portone d'ingresso, e all'uscita sbagliò tram, optando poi per un più comodo taxi. Messa l'opera in una valigia, posta sotto il letto di una pensione di Parigi, la custodì per ventotto mesi e successivamente la portò nel suo paese d'origine, a Luino, con l'intenzione di "regalarlo all'Italia", ottenendo da qualcuno delle garanzie che il quadro sarebbe rimasto nel suo paese: riteneva infatti, erroneamente, che l'opera fosse stata rubata durante le spoliazioni napoleoniche.

Ingenuamente nel 1913 si recò a Firenze, per rivendere l'opera per pochi spiccioli. Si rivolse all'antiquario fiorentino Alfredo Geri, che ricevette una lettera firmata "Leonardo" in cui era scritto che «Il quadro è nelle mie mani, appartiene all'Italia perché Leonardo è italiano» con una proposta di restituzione a fronte di un riscatto di 500 000 lire «per le spese». Incuriosito, l'11 dicembre 1913, l'antiquario fissò un appuntamento nella sua stanza numero 20 al terzo piano dell'Hotel Tripoli, in via de' Cerretani (albergo che poi cambiò il nome proprio in Hotel Gioconda), accompagnato dall'allora direttore degli Uffizi Giovanni Poggi. I due si accorsero che l'opera non era uno dei tanti falsi in circolazione, ma l'originale e se la fecero consegnare per "verificarne l'autenticità". Nell'attesa il Peruggia se ne andò a spasso per la città, ma venne rintracciato e arrestato. Il ladro, processato, venne definito "mentalmente minorato" e condannato ad una pena di un anno e quindici giorni di prigione, poi ridotti a sette mesi e quindici giorni. La sua difesa si basò tutta sul patriottismo e suscitò qualche simpatia (si parlò di "peruggismo"). Egli stesso dichiarò di aver passato due anni "romantici" con la Gioconda appesa sul suo tavolo di cucina.

Approfittando del clima amichevole che allora regnava nei rapporti tra Italia e Francia, il dipinto recuperato venne esibito in tutta Italia: prima agli Uffizi a Firenze, poi all'ambasciata di Francia di Palazzo Farnese a Roma, infine alla Galleria Borghese (in occasione del Natale), prima del suo definitivo rientro al Louvre. La Monna Lisa arrivò in Francia a Modane, su un vagone speciale delle Ferrovie italiane, accolta in pompa magna dalle autorità francesi, per poi giungere a Parigi dove, nel Salon Carré, l'attendevano il Presidente della Repubblica francese e tutto il Governo.

Sicuramente il furto contribuì alla nascita e alimentazione del mito della Gioconda: dalla cultura più alta, per pochi eletti, la sua immagine entrò decisamente nell'immaginario collettivo.

Vicende recenti

Durante la prima e la seconda guerra mondiale il dipinto venne di nuovo rimosso dal Louvre e conservato in luoghi sicuri. Durante il secondo conflitto in particolare fu depositata al castello di Chambord, poi ad Amboise, a cui seguirono l'abbazia di Loc-Dieu, il Museo Ingres di Montauban e di nuovo Chambord, prima di finire sotto il letto del conservatore del Louvre nel castello di Montal e tornare a Parigi nel 1945. Nel 1956, la parte inferiore del dipinto venne seriamente danneggiata a seguito di un attacco con dell'acido. Diversi mesi dopo qualcuno lanciò un sasso contro il dipinto: attualmente viene esposto dietro un vetro di sicurezza. Sull'episodio fornì una lettura psicoanalitica Salvador Dalí: «Molte persone se la sono presa con la Gioconda, anche lapidandola come qualche anno fa, caso tipico di flagrante aggressione contro la propria madre. [...Leonardo], inconsciamente, ha dipinto un essere che riveste tutti gli attributi materni. Ha due grandi seni e posa su chi la contempla uno sguardo totalmente materno. Però sorride in modo equivoco. [...] Ora cosa succede al povero infelice che è posseduto dal complesso di Edipo [...]? Egli entra in un museo. Un museo è una casa pubblica. Nel suo subcosciente, è un bordello. E in questo bordello vede il prototipo dell'immagine di tutte le madri. La presenza angosciante di sua madre che gli lancia uno sguardo dolce e gli rivolge un sorriso equivoco, lo spinge a un atto criminale. Commette un matricidio, prendendo la prima cosa che gli capita fra le mani, un ciottolo, e rovinando con esso il quadro. È una tipica aggressione da paranoico».

Nel 1962 il quadro fu prestato agli Stati Uniti dove, accolto da John Fitzgerald Kennedy, Jacqueline Kennedy e Lyndon Johnson, fu esposto alla National Gallery di Washington e al Metropolitan Museum di New York, dove attrasse un milione e settecentomila visitatori; nel 1974 fece la sua ultima tournée, con tappe a Tokyo e a Mosca.

Studi del settembre 2006, effettuati dal Centro Nazionale di Ricerca e Restauro dei Musei di Francia, hanno rilevato come in un primo tempo tutto il volto della donna dovesse essere ricoperto da un sottile velo, velo che all'epoca era portato dalle donne in attesa o che avevano appena dato alla luce un figlio; inoltre dietro il dipinto si è potuto vedere uno schizzo inciso sul legno da Leonardo, il quale prima di dipingere il quadro ne avrebbe abbozzato la struttura: nello schizzo la figura femminile indossa una cuffia, poi oggetto di un ripensamento.

Per evitare il deterioramento causato dai numerosi flash che colpiscono l'opera, è stata inserita una protezione in vetro di fabbricazione italiana resistente oltretutto a vari tipi di esplosivi e a qualsiasi agente corrosivo. Ciò l'ha protetta anche dal lancio di una tazza con cui una visitatrice russa cercò di colpirla nel 2009.

Copie antiche della Gioconda

Nel febbraio 2012 il Museo del Prado ha presentato una copia antica del dipinto appena restaurata, attribuita a una mano molto vicina a quella di Leonardo: forse del Salaì, di Francesco Melzi o di un allievo spagnolo. La copia mostra uno sfondo dai colori chiari, molto simile a come doveva apparire in origine anche sul dipinto del Louvre. Esistono inoltre la cosiddetta Gioconda svizzera (nota anche come Monna Lisa anteriore o Gioconda giovane, custodita a Ginevra) e la Gioconda di San Pietroburgo, anch'essa raffigurante una Monna Lisa più giovane e con due colonne ai lati. I due dipinti della Gioconda giovane sono anch'essi di un pittore leonardesco, secondo alcuni esperti, come lo studioso Silvano Vinceti, vi è la possibilità che siano opera di Leonardo stesso.

Omaggi e citazioni

Considerata una tra le più celebri icone dell'arte tradizionale, l'immagine della Gioconda è stata spesso utilizzata dagli artisti contemporanei in funzione simbolica. Il dadaista Marcel Duchamp, ad esempio, l'ha scelta come bersaglio delle proprie provocazioni, aggiungendo a una riproduzione del dipinto i baffi e intitolandola ironicamente L.H.O.O.Q., che pronunciato in francese può suonare anche come "Elle a chaud au cul" che tradotto significa "Lei ha caldo al culo", ovvero "è eccitata".

Anche Andy Warhol riprodusse il dipinto in serie, come poster, mentre Banksy ne fece una versione "mujaheddin", con lanciarazzi in spalla. Botero la ridipinse paffuta e Basquiat la rese un'icona graffiante, dal sorriso sinistro.

Numerosissimi gli utilizzi e le citazioni dell'icona-simbolo nel mondo del cinema, della musica, della televisione e della pubblicità. In particolare, il cantautore Ivan Graziani dedicò allo storico furto la canzone "Monna Lisa".

Descrizione e stile

Il ritratto mostra una donna seduta a mezza figura, girata a sinistra ma con il volto pressoché frontale, ruotato verso lo spettatore. Le mani sono dolcemente adagiate in primo piano, mentre sullo sfondo, oltre una sorta di parapetto, si apre un vasto paesaggio fluviale, con il consueto repertorio leonardesco di picchi rocciosi e speroni. Indossa una pesante veste scollata, secondo la moda dell'epoca, con un ricamo lungo il petto e maniche in tessuto diverso; in testa indossa un velo trasparente che tiene fermi i lunghi capelli sciolti, ricadendo poi sulla spalla dove si trova appoggiato anche un leggero drappo a mo' di sciarpa.

Alla perfetta esecuzione pittorica, in cui è impossibile cogliere tracce delle pennellate grazie al morbidissimo sfumato, Leonardo aggiunse un'impeccabile resa atmosferica, che lega indissolubilmente il soggetto in primo piano allo sfondo, e una profondissima introspezione psicologica. Se l'impostazione, col paesaggio sullo sfondo, affonda le radici nella ritrattistica umanistica del Quattrocento (come il Doppio ritratto dei duchi d'Urbino di Piero della Francesca), la straordinaria naturalezza del personaggio, così diversa dalle pose ufficiali e "araldiche" dei predecessori, ne fa una pietra miliare della ritrattistica con cui si apre il Rinascimento maturo.

Come scrisse Charles de Tolnay (1951) «nella Gioconda, l'individuo - una sorta di miracolosa creazione della natura - rappresenta al tempo stesso la specie: il ritratto, superati i limiti sociali, acquisisce un valore universale. Leonardo ha lavorato a quest'opera sia come ricercatore e pensatore sia come pittore e poeta; e tuttavia il lato filosofico-scientifico restò senza seguito. Ma l'aspetto formale - l'impaginazione nuova, la nobiltà dell'atteggiamento e la dignità del modello che ne deriva - ebbe un'azione risolutiva sul ritratto fiorentino delle due decadi successive. [...] Leonardo ha creato con la Gioconda una formula nuova, più monumentale e al tempo stesso più animata, più concreta, e tuttavia più poetica di quella dei suoi predecessori. Prima di lui, nei ritratti manca il mistero; gli artisti non hanno raffigurato che forme esteriori senza l'anima o, quando hanno caratterizzato l'anima stessa, essa cercava di giungere allo spettatore mediante gesti, oggetti simbolici, scritte. Solo nella Gioconda emana un enigma: l'anima è presente ma inaccessibile».

Lo sfondo

Il quadro di Leonardo fu uno dei primi ritratti a rappresentare il soggetto davanti a un panorama ritenuto, dai più, immaginario. Una caratteristica interessante del panorama è che non è uniforme. La parte di sinistra è evidentemente posta più in basso rispetto a quella destra. Questo fatto ha portato alcuni critici a ritenere che sia stata aggiunta successivamente.

La Gioconda si trova in una specie di loggia panoramica, come dimostrano le basi di due colonne laterali sul parapetto; una copia seicentesca mostrerebbe la composizione originaria in cui è visibile la parte architettonica successivamente mutilata.

Considerando la grande cura di Leonardo per i dettagli, molti esperti ritengono che non si tratti di uno sfondo inventato, ma rappresenti anzi un punto molto preciso della Toscana, cioè là dove l'Arno supera le campagne di Arezzo e riceve le acque della Val di Chiana. C'è un indizio preciso sulla destra della Gioconda oltre la spalla, è un ponte basso, a più arcate, cioè un ponte antico, a schiena d'asino di stile romanico, un ponte identico al ponte a Buriano che scavalca tutt'oggi l'Arno e che venne costruito in pieno Medioevo, a metà del XIII secolo, quando Arezzo attraversava un periodo di grande prosperità. Sopra le sue arcate passa l'antica via Cassia che collega Roma, Chiusi, Arezzo e Firenze.

Leonardo conosceva bene questo ponte, perché aveva studiato a fondo questa zona, come testimonia un disegno datato tra il 1502 e il 1503 che descrive il bacino idrico della Val di Chiana (oggi alla Royal Library di Windsor), in cui si intravede anche il ponte a Buriano; è una prova che Leonardo aveva ben in mente la geografia di questi luoghi. Poco distante dal ponte, l'Arno riceve le acque di un immissario, il canale della Chiana nel quale confluiscono le acque dell'omonima valle. Se si risale il corso di questo canale, andando a ritroso, bisogna superare una serie di meandri e poi ci si infila in una gola, la Gola di Pratantico. Se si osserva il lato sinistro della Gioconda, si vede un corso d'acqua con meandri che si infila in una stretta gola. Inoltre i rilievi a sinistra della Gioconda sono verticali, aguzzi, scavati dall'erosione e in effetti, oltre il ponte, continuando la vecchia via Cassia, si arriva in un'area in cui si possono osservare i calanchi, delle bizzarre formazioni rocciose, erose dalle piogge e dai millenni.

Leonardo deve essere rimasto molto colpito da queste forme, come artista per la loro spettacolarità, e come studioso, per il modo in cui si sono formate, che ben si adattava al suo pensiero, cioè che la terraferma non è immobile, ma si rimodella e si trasforma in modo tumultuoso sotto l'azione erosiva dell'acqua. È un tipo di rilievi, verticali e frastagliati, che si ritrovano in altre opere di Leonardo, come la Madonna dei Fusi, il Cartone di sant'Anna e la Vergine delle Rocce. Grazie ai vari elementi individuati, ponte, confluenza e gola, è stato possibile ricostruire con un computer, l'angolo di prospettiva, e capire il punto esatto dell'osservazione di Leonardo: corrisponde al borgo di Quarata che aveva allora un castello, oggi scomparso, e che forniva un ottimo punto di osservazione rialzato.

Si tratta ovviamente di un'ipotesi, gli indizi sono molto incoraggianti ma non si tratta di "prove schiaccianti"; in effetti, alcuni ritengono che i paesaggi di Leonardo non siano aretini, ma prealpini, dei dintorni di Lecco, delle Paludi Pontine o, come è forse più probabile, di luoghi inventati ed idealizzati sulla base di ricordi e sensazioni e della composizione di elementi appartenenti ad aree diverse che l'artista aveva potuto osservare nel corso dei suoi viaggi.

Altre ipotesi hanno pensato che il paesaggio vada letto attraverso uno specchio: forse venne ricavato con la camera oscura leonardiana. In questo caso potrebbe assomigliare al Lago di Iseo col profilo della Corna Trentapassi.

Alcuni hanno affermato, confrontando i paesaggi del dipinto con alcune fotografie, che i paesaggi sarebbero quelli del Montefeltro, nell'antico Ducato di Urbino. Sarebbero infatti riconoscibili il fiume Marecchia, il Sasso Simone e Simoncello e il Massiccio del Fumaiolo.

Stato di conservazione

La Gioconda fu dipinta su una tavola di pioppo molto sottile e col tempo il pannello è andato incurvandosi; si è inoltre aperta una fessura, ben visibile sul retro. Altri danni sono stati causati dagli attacchi vandalici (si veda la sezione Storia). Per questo il dipinto è oggi conservato dietro una teca di vetro infrangibile, in un'atmosfera a temperatura e umidità controllate. Ne consegue che il prestito dell'opera ad altri musei è divenuto un evento alquanto improbabile: nel 2011, ad esempio, ne è stato negato il prestito agli Uffizi, che volevano esporla nel 2013, in occasione del centenario del ritrovamento dopo il clamoroso furto.

fonte: Wikipedia

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